In uscita il 31 ottobre, Il pasticciere è un noir surreale con accenni di commedia che vede protagonista Antonio Catania nei panni di un maestro dolciario coinvolto suo malgrado in un misterioso intrigo con omicidi, file da vendere al miglior offerente e donne perdute da salvare. Il tutto nello scenario oltre-confine dell'Istria, in terra croata. Abbiamo incontrato Catania in compagnia del regista Luigi Sardiello, alla sua seconda regia dopo Piede di Dio (2009), della protagonista femminile Rosaria Russo e del produttore Alessandro Contessa della Bunker Lab.
Come avete approcciato un tema così inusuale che mischia il noir con l'arte dolciaria?
Luigi Sardiello: Le intenzioni erano quelle di prendere un genere, il noir, di utilizzarne i topoi - dalla presenza del male al luogo isolato, alla dark lady - e di far attraversare questi spazi dall'assoluta antitesi del classico, cioè la presenza di un protagonista come il nostro pasticciere, un Candide, un puro, una sorta di Mr. Magoo. Quindi la torta si ibrida, diventa agrodolce, ora più delicata, ora più forte. Vale a dire che, dentro gli schemi di un noir anni Quaranta, subentra il grottesco e il surreale.
Antonio Catania: Sì, come diceva Sardiello, il mio personaggio, Achille Franzi, è un candido, un foglio bianco praticamente. È come se si trattasse di un uomo che fino all'inizio del film è sempre rimasto chiuso nella sua pasticceria, conosce solo il suo mondo perciò. Certo, è difficile trovare oggi una persona così, completamente ignara di tutto, però succede a noi, a chiunque, di avere la necessità di volersi chiudere di fronte a una vita troppo spietata. Può capitare di fronte a una realtà, come la nostra odierna, così complessa da decifrare. E poi affrontare questa dimensione, quella del noir per l'appunto, con gli strumenti di ricette e dolci crea uno straniamento, un po' come il giardiniere di Oltre il giardino [il film di Hal Ashby del 1979 con Peter Sellers, in cui il protagonista, proprio grazie alla sua ingenuità, entra nelle segrete stanze del potere, n.d.r.]. Il riferimento a quel film ovviamente c'è e le massime sul giardinaggio di Peter Sellers qui diventano le ricette per preparare un dolce. La differenza è che in Il pasticciere il candore del protagonista, il suo essere un cavaliere senza macchia, ad un certo punto si colora del suo contrario. Non riesce cioè a vivere sino in fondo in una campana di vetro. Così Achille Franzi si macchia, con l'obiettivo però del sacrificio estremo di salvare una donna, la prostituta interpretata da Rosaria Russo. Se vogliamo questa figura donchisciottesca è un po' la nostra, quella cioè di chi ha fatto questo film. Viviamo in un tempo - nel nostro cinema ma non solo - fatto di strizzatine d'occhio. Strizzare l'occhio è quello che fanno un po' tutti oggi. Lo fanno fino alla nausea, facendo sempre lo stesso tipo di cinema, e alla fine, quando non ci sarà più niente, diranno: ma esiste un altro modo di fare cinema? Ecco, secondo me, Il pasticciere è un film che non strizza l'occhio a nessuno, è un film coraggioso, e noi siamo qui anche per poter dire che vogliamo continuare a fare questo tipo di cinema.
Una curiosità sul ruolo di Antonio Catania: hai imparato a fare dolci, visto il tuo personaggio? Antonio Catania: Purtroppo non ci sono riuscito. La cucina in senso generico e la pasticceria nello specifico sono infatti due mondi completamente separati. In cucina puoi sempre cavartela in qualche modo, con un dolce no, basta sbagliare una cosa che salta tutto. Infatti all'inizio del film si vede il pasticciere che, disturbato da un litigio, dimentica di mettere lo zucchero e deve ricominciare daccapo la preparazione di un dolce. Insomma, la pastafrolla non sono riuscito a stenderla e abbiamo dovuto chiamare un esperto per farlo.
Sempre a proposito del cibo è curioso che la Bunker Lab abbia prodotto in passato Focaccia Blues di Nico Cirasola (2006). Tra l'altro è vero che una delle foto ritrae proprio Cirasola? Alessandro Paonessa: È vero, è proprio lui. In realtà però la costante del tema del cibo è assolutamente casuale. Il pasticciere mi ha incuriosito da subito, l'ho trovato attuale per la scelta che pone al protagonista, quella di doversi schierare tra l'onestà e la disonestà.
Infatti, il protagonista di Il pasticciere alla fine la sua strada la sceglie, ed è quella di smettere di essere buono. In fase di scrittura avete riflettuto su questo? Cioè alla possibilità che il personaggio prendesse un'altra strada? E, più in generale, vi siete posti il problema di rendere credibili tutte le disavventure che gli capitano? Luigi Sardiello: So che ci sono una serie di cose non credibili, ma è stata una scelta assolutamente voluta. Questo non è un film che si può leggere in maniera tradizionale, è un film che spiazza. Per quel che riguarda invece il protagonista, non saprei come spiegarlo. Scelta una certa direzione della storia, Achille Franzi andava necessariamente per quella strada. In qualche modo era imposto. Al di là di tutto, volevo che si riappropriasse simbolicamente della sua identità, che si riappropriasse del sé bambino, che smettesse insomma di rinunciare a vivere. Dal mio punto di vista lui non diventa cattivo, se non proprio nel pre-finale. Riacquista, o anzi acquista per la prima volta, la sua identità.Come mai avete scelto la Croazia come set? Luigi Sardiello: Volevo un non-luogo, una terra di nessuno, dove ci fosse un mescolamento di lingue e che fosse legato in qualche modo al recupero dell'identità del protagonista. In particolare, ho sempre avuto un grande fascino per l'Istria, per il suo essere allo stesso tempo italiana e terra straniera. Anche se in realtà non ci sono riferimenti diretti al luogo in cui ci si trova, ho voluto comunque tematizzarlo in qualche modo. Un po' ne parla il personaggio di Fantastichini di questo trovarsi in terra straniera pur essendo italiano, ma soprattutto ho voluto rendere questo tema in modo simbolico con gli anziani, tutti vestiti di bianco, che ballano in cortile. Sono dei fantasmi che rappresentano la nostra memoria.
Nel film ci sono due caratteri femminili molto forti, la prostituta interpretata da Rosaria Russo e la poliziotta incarnata da Sara D'Amario. È stata una scelta voluta quella di rendere questi personaggi forse più forti, più decisionisti, dei caratteri maschili?
Luigi Sardiello: Mah, non saprei se sono più forti. Comunque, sono due personaggi per i quali, in maniera diversa, ho simpatia. Mi piaceva costruire questi percorsi molto diversi fra di loro. Quando scrivo, strutturo le storie così. Prendo dei personaggi molto diversi e vedo come reagiscono facendoli incontrare e scontrare. La donna interpretata da Rosaria Russo è una donna che non ha mai potuto scegliere e ha utilizzato quello che poteva, il suo corpo, per sopravvivere. L'altra, il poliziotto, avrebbe voluto fare forse anche lei delle scelte diverse, ad esempio avere una famiglia, ma non ha potuto. La volontà di sopravvivere, questo attaccamento alla vita, le porta ad un certo punto ad incontrarsi. E volevo che a quel punto finissero per avvicinarsi, per empatizzare.