Abbiamo aspettato a lungo questo momento, ovvero l'arrivo su Netflix della serie Il Mostro, in cui si affronta il caso dell'assassino che ha terrorizzato Firenze per molti anni e che ha catalizzato l'attenzione mediatica in particolare negli anni '80. Un'attesa che per noi è iniziata già a inizio 2024, quando eravamo stati sul set della serie ed eravamo rimasti colpiti dalla ricostruzione storica e dall'approccio che ci era stato raccontato, ma che era montata inevitabilmente dopo aver potuto guardare la serie alla Mostra del Cinema di Venezia: lì abbiamo avuto la conferma delle nostre sensazioni iniziali, ma siamo rimasti insieme spiazzati e affascinati da un racconto che affronta una parte di storia meno nota, una strada meno battuta, che abbiamo avuto modo di approfondire anche con Stefano Sollima nell'intervista che potete leggere, e guardare, in questa pagina.
Iniziare dalle origini
La nostra chiacchierata non poteva non iniziare da una curiosità di base: perché si è scelto di affrontare la pista sarda di cui tanti conoscono poco? Ed è stata una scelta definita a priori o è nata lavorando a Il Mostro? "Da subito, nel senso che anch'io mi sono avvicinato al caso del mostro di Firenze pensando di sapere, perché avevo dei nomi, delle suggestioni in mente. Ma poi inizi a studiare quello che è successo e ti rendi conto che è una storia complessissima. È una tragedia, molto delicata da raccontare e anche rispetto a tutte le innumerevoli tesi che ci sono state nel corso dei decenni, il modo più rispettoso per raccontare quella storia era cominciare dall'inizio, cioè raccontarla in ordine. E quindi siamo partiti dalla pista sarda, dove peraltro abbiamo trovato dei personaggi in un contesto sociale, culturale che erano molto forti. Quindi mi sembrava giusto cominciare da lì. Come si fa una storia raccontata bene? Cominci dall'inizio."
I mostri della storia
Sentiamo Stefano Sollima citare i personaggi e ci ricolleghiamo subito, perché la serie è intitolata Il Mostro, al singolare, ma di mostri ce ne sono diversi nella storia, tante incarnazioni del male in un contesto sociale che riflette anche l'Italia di oggi, che ha fatto dei passi avanti ma ha ancora tanto cammino da fare. "Dovendo raccontare una storia così complessa, non puoi pretendere di dare delle risposte, forse neanche di capire, l'unica cosa che devi fare è raccontare esattamente quello che è successo. Da un certo punto di vista non devi tu essere portatore di una tesi, ma devi abbracciarle tutte, e per farlo ovviamente non puoi raccontare solo la caccia al mostro di Firenze, ma devi raccontare tutti coloro che sono stati sospettati di essere il mostro di Firenze. Erano dei personaggi comunque incredibili e per quanto alcuni di loro sicuramente non fossero il mostro di Firenze, erano il pretesto per raccontare una mostruosità che fosse a livello di personaggio e anche di contesto e di società nella quale vivevano."
Si mostra un'Italia in cui le donne erano trattate in un certo modo, di un contesto socio-culturale strutturato in un certo modo. "Questo ovviamente rende attuale anche il racconto della violenza di genere, perché raccontiamo una storia ambientata negli anni '60/'70 con un preciso contesto culturale dove avvenivano dei delitti che erano degli omicidi verso le donne, era una violenza verso le donne. L'uomo veniva ucciso molto probabilmente semplicemente perché era un ostacolo, infatti era il primo che veniva ucciso. Quando racconti la storia ambientata negli anni '60/'70 pensi di essere salvo, perché c'è una distanza enorme da quell'Italia, invece questa distanza incredibilmente non c'è, perché la cultura del paese è rimasta lì. Se apri i giornali oggi, ogni giorno c'è un omicidio e stai sempre su quel tema, quindi quello che troviamo fosse interessante e rendesse moderno il racconto, è l'attualità del tema."
Il rispetto de Il Mostro
Non potevamo chiedere un ulteriore aspetto che troviamo notevole, come mi abbiamo raccontato nella nostra recensione de Il Mostro: la messa in scena e l'equilibrio tra la fedeltà del racconto e della ricostruzione e il rispetto per le vittime. "Quella è stata la parte più difficile e più faticosa" ha confermato Sollima, "perché noi abbiamo ricostruito i delitti esattamente come sono avvenuti, quindi basandoci sulle perizie balistiche e le ricostruzioni. I vestiti e tutto il resto sono esattamente come erano, ma allo stesso tempo era un orrore visivamente troppo forte per essere rappresentato e soprattutto probabilmente non necessario. Mi è venuto così istintivamente di creare una sorta di distanza, un filtro, di tenerci un po' lontani da quell'orrore, non tanto per non avere il coraggio di raccontarlo, ma perché per rispetto delle vittime era una cosa che andava rappresentata al minimo possibile, per non infliggere altro dolore rispetto a quello che già è stato inflitto negli anni".