Recensione Agents secrets (2004)

Un discreto noir spionistico, privo di particolari fronzoli e con il pregio dell'essenzialità narrativa, combinata ad un buon gusto per le inquadrature e a una soddisfacente scrittura dei personaggi.

Il mondo oscuro dello spionaggio francese

Un gruppo di quattro agenti segreti comprendenti il capitano Georges Brisseau (Vincent Cassel) e la sua collega Barbara (Monica Bellucci) vengono inviati in Marocco, per distruggere la "Anita Hans", una nave di proprietà di un certo Lipovsky, un losco trafficante clandestino di armi e gioielli in Africa. Se Gorges nonostante le dure restrizioni causate dal suo tipo di lavoro è sempre convinto della sua scelta, Barbara è stanca di non avere una vera vita ed è ossessionata dalla scarsa moralità del suo mondo. Decisa a prendere la strada dell'anonima esistenza comune ed abbandonare la sua professione dovrà scontrarsi con l'impossibilità di uscire dai servizi segreti, pronti con ogni mezzo ad ostacolarla.

Secondo film di Frédéric Schoendoerffer, Agents Secrets, è un discreto noir spionistico, privo di particolari fronzoli, come nelle intenzioni dichiarate del regista (amante di un cinema di genere adulto come il poliziesco americano degli anni '70), che ha il pregio dell'essenzialità narrativa, combinata ad un buon gusto per le inquadrature e a una soddisfacente scrittura dei personaggi. Una scelta che paga bene in termini di originalità, quella di non cedere a nessuna spettacolarizzazione gratuita, e che fornisce al cast un terreno fertile per dare credibilità ai personaggi interpretati (buone le prove dei protagonisti, Bellucci compresa, se non fosse per l'ormai atavico problema della voce). Allo stesso tempo, però, purtroppo, il film manca del fascino dei migliori noir, di quell'alone di incodificabile magia che da sempre contraddistingue i migliori titoli del genere. Inoltre, la stessa scelta a favore del realismo (maniacale lo studio del soggetto da parte del regista) e dell'asciuttezza, lodata poco prima, in un cinema che va sempre più indissolubilmente verso la saturazione visiva , può in alcuni momenti dare l'impressione di assistere ad una pellicola leggermente anonima e sotto ritmo.

In ogni modo un prodotto interessante ed importante in una cinematografia troppo spesso asfittica e ripiegata spesso su un anacronistico autorialismo. Un segno evidente, in altre parole, dell'importanza di non confrontarsi moralisticamente con i prodotti di intrattenimento e di non snobbare un cinema più di richiamo popolare (non per questo meno interessante o banale) che attiri gli spettatori con il ricorso alla spettacolarità insita nel mezzo stesso o facendo anche leva su un cast accattivante. Una scelta che in Francia è presa in considerazione da un buon numero di registi e che in Italia dovremmo fare qualche volta nostra, invece di spendere tante inutili parole sulla crisi del nostro cinema, facendo finta di non ricordarci che gli splendidi film dei bei tempi passati (da Federico Fellini a Michelangelo Antonioni per finire a Bernardo Bertolucci) avevano possibilità di esistere in quanto parte integrante di un contesto produttivo che faceva del poliziesco, del western, dell'horror e della commedia leggera, la base di un cinema redditizio e vicino ai gusti di ogni tipo di pubblico.