Il mio posto è qui, la recensione: Ludovica Martino in una storia di emancipazione femminile

La recensione de Il mio posto è qui, un film di Daniela Porto e Cristiano Bortone su una storia di riscatto e ribellione femminile nella Calabria del Dopoguerra.

Il mio posto è qui, la recensione: Ludovica Martino in una storia di emancipazione femminile

L'emancipazione femminile, la comunità nascosta degli omosessuali nelle campagne del secondo Dopoguerra, un piccolo villaggio della Calabria contadina affamata dalla guerra, le ragazze prossime alle nozze che sognano di avere i capelli di Rita Hayworth, ma che devono accontentarsi di impacchi d'uovo e merda di cavallo. E poi Marta e Lorenzo, che non potrebbero essere più distanti e che invece finiranno per essere più simili di quanto credano. Il mio posto è qui racconta questo "piccolo mondo antico" all'alba delle rivoluzioni che lo avrebbero sconquassato dalle fondamenta: il diritto di voto alle donne e la nascita della Repubblica. Tratto dall'omonimo romanzo di esordio di Daniela Porto che lo scrive e lo dirige insieme al marito Cristiano Bortone, il film arriva in sala il 9 maggio con Adler Entertainment dopo aver già vinto due premi all'ultimo Bif&st, per la miglior regia e la miglior attrice a Ludovica Martino (la rivelazione di Skam).

Una storia di emancipazione e riscatto

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Marco Leonardi e Ludovica Martino in una scena del film

Il mio posto è qui è una classica storia di ribellione e riscatto: la lotta al patriarcato, la conquista di una femminilità libera di esprimersi, l'affrancamento da padri e mariti in nome di un'indipendenza conquistata a colpi di ritagli di giornali, lettere dattiloscritte e macchine da scrivere. Per temi affrontati riecheggerà il celebratissimo C'è ancora domani, ma il terreno comune si limita ai contenuti: alla favola in bianco e nero di Paola Cortellesi Il mio posto è qui predilige i colori desaturati e lividi della campagna calabrese degli anni '40 e un realismo che contempla l'uso del dialetto dell'epoca. È il 1940 e a Fontenuova, un piccolo paese della Calabria, Marta (Ludovica Martino) e Michele, due giovani amanti, si scambiano promesse d'amore e trascorrono la notte insieme prima che lui parta per il fronte da cui non farà mai ritorno. Nove mesi dopo Marta, rimasta incinta, dà alla luce il piccolo Michelangelo; gli anni trascorrono tra le bombe e la fame e quando la guerra finisce la sua condizione di ragazza madre inizia a diventare scomoda. La sua è una famiglia contadina, di umilissime origini, Marta li "ha trascinati tutti nel fango, con una bocca in più da sfamare" e bisognerà pensare a come riparare al danno. Quando il signor Gino, un contadino vedovo con due figli, si offre di sposarla la famiglia di lei non potrà che mostrarsi entusiasta e la ragazza sapendo di non avere alternativa accetterà seppur controvoglia.

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Ludovica Martino in modo con Marco Leonardi in una foto

A cambiarle la vita ci penserà però l'incontro con Lorenzo (Marco Leonardi), "l'uomo dei matrimoni", omosessuale dichiarato che assiste il parroco nei preparativi dei matrimoni delle giovani spose del paese. Nonostante l'iniziale ritrosia nei suoi confronti, Marta imparerà a conoscere Lorenzo che si rivela l'unico in grado di capirla, aprendola a un mondo diverso e anticonvenzionale, ma autentico. Lui la sua occasione l'ha già avuta, ma non è ancora troppo tardi per aiutare Marta a trovare la propria. Alla viglia del primo voto delle donne e della nascita della Repubblica, la ragazza comincia ad avere sempre maggiore consapevolezza di sé e del suo essere donna, e grazie all'aiuto di Lorenzo, inizia a frequentare clandestinamente un corso di dattilografia nella sede del Partito Comunista di un paese vicino e a sognare un futuro diverso, magari al Nord dove "ci saranno quelli che parlano settentrionale".

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Una femminilità ribelle e consapevole

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Una scena de Il mio posto è qui

Daniela Porto e Cristiano Bortone scrivono e dirigono un'opera autentica che trova nei suoi interpreti e nel realismo estremo della messa in scena la propria forza: Ludovica Martino in un ruolo inedito e alle prese con il dialetto calabrese si rivela capace di toccare le corde più intime di una femminilità ribelle e battagliera, Marco Leonardi, attore fin troppo sottovalutato, è il suo perfetto controcanto. Solo insieme i loro personaggi riusciranno a trovare il coraggio per passare attraverso i fermenti sociali, culturali e politici che stanno cambiando il volto dell'Italia: entrambi malvisti dalla comunità locale, lei in quanto ragazza madre, lui per il proprio orientamento sessuale, sperimenteranno un cammino di liberazione da una cultura dove le donne possono solo assolvere ai propri doveri coniugali, bere limonata, partecipare alla messa della domenica o ai corsi prematrimoniali e ricordare che "il marito è il capofamiglia, porta il pane a casa. Il suo sudore è come acqua benedetta".

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Una scena del film con Ludovica Martino

Un film sull'istruzione come strumento di emancipazione, ma anche una storia di ricerca e affermazione della propria identità, sulla diversità come arricchimento; tutto intorno si propagano ancora gli echi del ventennio fascista, ma si assiste anche alle prime spinte libertarie di figlie, mogli e madri che cominciano a immaginare un'alternativa alla società patriarcale che le ha tenute a bada fino ad allora. Marta è una di loro e sa bene che la rinascita dell'Italia ha bisogno di "donne coraggiose, forti e motivate" come lei e non di "femmine mosce". Non è un caso poi che questa ricerca di libertà passi attraverso il ticchettio delle dita sui tasti di una macchina da scrivere, un'immagine quasi manifesto.

Conclusioni

Il mio posto è qui si conferma un film autentico e di straordinaria forza pur seguendo la narrazione classica di una storia di ribellione e riscatto. Al suo interno trovano spazio temi profondamente attuali come la conquista di una femminilità libera di esprimersi, la lotta al patriarcato e all’omofobia, l’affrancamento da padri e mariti attraverso l’istruzione, la militanza e l’incontro con l’altro. Un racconto di emancipazione femminile, ma anche di ricerca e affermazione della propria identità nella Calabria contadina degli anni ’40, di cui la coppia di registi sa restituire atmosfere e suggestioni.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Il crudo realismo e l’autenticità con cui i registi raccontano questa storia di emancipazione femminile e discriminazione.
  • La scelta del dialetto calabrese dell’epoca.
  • L’ambientazione: la Calabria rurale degli anni ‘40 affamata da anni di guerra, primordiale e livida.
  • Un cast sempre all’altezza e al servizio della storia.

Cosa non va

  • La resa del dialetto non è sempre immune da piccole forzature.