Recensione Il mio capolavoro: l’arte del delitto, fra noir e ironia

La recensione de Il mio capolavoro, diretto dal regista de Il cittadino illustre: un gallerista d'arte e un pittore in declino al centro di una graffiante commedia nera.

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Il mio capolavoro: una scena del film con Luis Brandoni

Una delle più belle sorprese della Mostra del Cinema di Venezia 2016 era stata Il cittadino illustre, commedia argentina realizzata a quattro mani da Gastón Duprat e Mariano Cohn e incentrata sulle peripezie di un scrittore premio Nobel impegnato in una visita tutt'altro che entusiasmante nel proprio paese natale: una corrosiva ed esilarante riflessione sul rapporto fra un intellettuale e la società a cui appartiene, nonché sulla ricezione e la fruizione, spesso problematiche, di un'opera creativa. Tematiche che si ritrovano in gran parte anche nel nuovo film di Gastón Duprat, Il mio capolavoro, presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2018 e basato anch'esso su un copione di Andrés Duprat, già autore della folgorante sceneggiatura de Il cittadino illustre.

Il pittore e l'assassino

La premessa de Il mio capolavoro, rivelata nell'incipit dalla voce narrante del gallerista Arturo Silva (Guillermo Francella), consiste nell'anticipazione di un elemento noir al cuore della trama: Arturo ci confessa di essere un assassino. Subito dopo il racconto torna indietro di cinque anni: Arturo gestisce con qualche difficoltà una galleria d'arte a Buenos Aires, tentando senza troppo successo di vendere i dipinti di un anziano pittore, Renzo Nervi (Luis Brandoni). Fra Arturo e Renzo c'è un'amicizia di lunga data, logorata però dal pessimo carattere di quest'ultimo: un uomo burbero ed egocentrico, per nulla disposto a scendere a compromessi con le leggi del mercato, né tantomeno a 'modernizzare' uno stile percepito ormai dal pubblico come vetusto e fuori moda.

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Il mio capolavoro: una scena con Guillermo Francella
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Il mio capolavoro: Luis Brandoni in una scena

Sommerso dai debiti e sul punto di essere sfrattato, il bisbetico Renzo accetta con scarso entusiasmo una remunerativa proposta di Arturo: una grande tela commissionata da un'importante società finanziaria per celebrare il suo anniversario. Ma il lavoro, ovviamente, non andrà come previsto, mentre al fianco di Renzo un aspirante pittore, Alex (Raúl Arévalo), tenta di raccogliere qualche consiglio utile dall'uomo che considera il proprio maestro. Da qui in poi, tuttavia, è bene non rivelare nulla di un intreccio contraddistinto da numerose svolte: perché una delle peculiarità dello script di Andrés Duprat risiede proprio nel modo in cui il film, pur mantenendosi sempre sul filo di una beffarda ironia, si smarca costantemente dalle attese dello spettatore, puntando verso una direzione per poi prendere invece una piega imprevista e rovesciando la nostra prospettiva sui due comprimari.

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Ritratto dell'artista da vecchio, fra satira e sberleffi

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Il mio capolavoro: Luis Brandoni in una scena del film

Renzo Nervi, a cui dà vita con strepitosa verve il veterano Luis Brandoni, rispecchia per molti versi il romanziere Daniel Mantovani de Il cittadino illustre: l'artista celebrato per il suo glorioso passato ma incompreso nel presente, costretto a vivere in una società per la quale prova diffidenza (se non addirittura repulsione) e gravato da qualche rimpianto in merito alle proprie scelte esistenziali. Se però in Mantovani prevaleva una lucida, composta e disincantata malinconia, Renzo Nervi è una figura più eccentrica e buffonesca, a cui fa da emblematico contraltare l'Arturo Silva di un sopraffino Guillermo Francella: un personaggio splendidamente ambiguo, sospeso fra opportunismo e sincerità, l'autentica benevolenza nei confronti del suo (insopportabile) amico e un pragmatismo spregiudicato, quando non addirittura feroce.

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Il mio capolavoro: Guillermo Francella in un momento del film

A fare da cornice al turbolento sodalizio fra il pittore sul viale del tramonto e il suo fedele gallerista è l'ambiente dell'arte contemporanea: un microcosmo gretto ed effimero, descritto da Gastón Duprat con uno sguardo satirico analogo a quello de Il cittadino illustre. Rispetto al film del 2016, Il mio capolavoro non mostra un meccanismo altrettanto perfetto, e stavolta la 'cattiveria' dei Duprat è stemperata dall'affetto per i personaggi; ma resta ammirevole la loro capacità di costruire un umorismo grottesco attorno alle contraddizioni dell'essere umano, alle sue miserie morali e alle sue frustrazioni, in un mondo in cui il concetto di "arte" si rivela spesso drammaticamente labile, fin quasi a rimanere un simulacro privo di significato.

Movieplayer.it

3.5/5