Recensione Dopo mezzanotte (2003)

Un piccolo gioiellino, la dimostrazione che anche un film a basso budget può toccare le corde dell'anima e farle vibrare lievemente come quelle di un'arpa

Il magico rifugio del cinema

Un piccolo gioiellino, la dimostrazione che anche un film a basso budget, seppur girato in digitale ad alta definizione, può toccare le corde dell'anima e farle vibrare lievemente come quelle di un'arpa: è questo Dopo mezzanotte, un'opera in cui Davide Ferrario (che ha anche autoprodotto il film) ha messo tante cose, su tutte l'amore per il cinema allo stato puro, che poi è quello per le immagini, perchè sono quelle che ti mostrano la vita come è, senza tanti artifizi verbali. E non è un caso che Martino, l'introverso protagonista ben interpretato da Giorgio Pasotti, ami sopra ogni cosa il film muto, mozzichi una parola ogni tanto, riprenda la realtà con una piccola cinepresa a manovella d'altri tempi, e spesso si muova come Buster Keaton, il suo "eroe" preferito. Il cinema non più come ragione di vita quindi, ma come vita stessa, perchè ne permea ogni istante, ogni movimento e pensiero.

Martino è il guardiano notturno della Mole, la sede del Museo del Cinema di Torino. Una sede che diventa praticamente la sua casa: non solo ama la solitudine del suo lavoro, ma le notti le trascorre guardando vecchi film del cinema muto. Ma poi entrano in scena gli altri due personaggi del film: Amanda (Francesca Inaudi), che fuggendo dalla polizia si rifugia proprio nella Mole ed entra nel mondo di Martino, e il suo ragazzo Angelo (Fabio Troiano), un ladro di auto che proprio per questo evento si vede sfuggire di mano Amanda.
E' l'inizio di un triangolo di quelli tipici di Francois Truffaut (e non a caso Jules e Jim è chiamato direttamente in causa dallo stesso Martino). Ma Dopo mezzanotte è un po' anche The dreamers - I sognatori, anche se in Ferrario la cinefilia appare nuda e cruda, depurata da sesso e politica e da ogni contaminazione di tipo sociale.
Nella Torino notturna, il film si muove così leggero tra le illusioni delle immagini e la bassa realtà di lavori precari e piccola delinquenza, alla ricerca di un senso logico a questi amori incrociati, magari attraverso i numeri di Fibonacci, cercando una "matematica dei sentimenti", come la chiama Martino. Ma anche i piccoli destini sono gestiti e shakerati inevitabilmente dal caso, anche se ad accettare tutto può servire magari il caldo rifugio del cinema, a volte più reale della stessa realtà, realtà che a sua volta diventa film.

E così, questa particolare magia fatta soprattutto di immagini che dicono più di tante parole (a quelle ci pensa il narratore Silvio Orlando), trova il suo momento più alto nel filmino girato dallo stesso Martino e mostrato ad Amanda. Atmosfere, modi e stili del cinema muto, applicate alle immagini reali del mondo moderno e delle sue nevrosi: un momento di rara poesia. In conclusione un film davvero originale e soprattutto coraggioso: in un panorama del cinema italiano che troppo spesso si limita a raccontare con patinata superficialità conflitti generazionali e familiari, appurare che si può volare più in alto e ricordarsi che il cinema è soprattutto magia, non può che far piacere.

Movieplayer.it

4.0/5