Non è mai semplice collocare correttamente l'avvio e la fine di un genere cinematografico. A volte, però, alcuni film ne identificano l'ideale conclusione, consacrando definitivamente un periodo narrativo.
Il lungo addio, diretto da Robert Altman nel 1973 e tratto dal romanzo di Raymond Chandler, omaggiava il noir classico e arrivava molto in anticipo rispetto al genere poliziesco contemporaneo, chiudendo un'epoca nella quale le storie di detective avevano appassionato il pubblico, in particolare quelle ispirate da libri intramontabili.
The Long Goodbye (titolo originale) è uno dei titoli di riferimento del cinema americano degli anni Settanta e, oltre ad essere forse l'opera più celebrata di Altman, racchiude molteplici aspetti che lo rendono ancora adesso un film affascinante.
A distanza di cinquant'anni dalla sua uscita, andiamo a riscoprire Il lungo addio nel dettaglio. Buona lettura.
In una Los Angeles crepuscolare
Una notte, dopo aver dato da mangiare al suo capriccioso gatto, l'investigatore privato Philip Marlowe (Elliott Gould) vede bussare alla porta il suo amico Terry Lennox (Jim Bouton), il quale gli chiede di essere accompagnato da Los Angeles a Tijuana, al confine con il Messico. Tornato a casa, la mattina seguente Marlowe riceve la visita di due detective della polizia, che accusano Lennox di aver assassinato la ricca moglie Sylvia e, di fronte al rifiuto dell'investigatore di dare loro ulteriori informazioni, lo arrestano per favoreggiamento. Qualche giorno dopo, Marlowe verrà però rilasciato, dopo che sarà arrivata la notizia della morte di Lennox, che si sarebbe tolto la vita.
Mentre l'investigatore cerca di delineare meglio i contorni di questa anomala vicenda, viene chiamato da Eileen Wade (Nina Van Pallandt), moglie del romanziere alcolista Roger Wade (Sterling Hayden), il quale è andato via da casa da qualche giorno senza più farvi ritorno. Seguendo gli indizi a sua disposizione, in breve tempo Marlowe ritrova lo scrittore all'interno di una clinica privata, dedita alla disintossicazione per ricchi clienti dipendenti dall'alcol. Riportando a casa Wade, Philip avrà modo di entrare più in confidenza con Eileen, scoprendo inoltre che la coppia conosceva i Lennox. Marlowe si farà sempre più convinto che dietro l'uccisione di Sylvia e il suicidio di Terry vi sia qualcosa di fortemente sospetto...
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Un Marlowe in chiave moderna
Scritto da Leigh Brackett, Il lungo addio è tratto dal sesto romanzo di Raymond Chandler, pubblicato nel 1953 ed erede del racconto d'esordio, quel Il grande sonno che era stato trasposto al cinema da Howard Hawks nel 1946, con Humphrey Bogart nel ruolo dell'investigatore. Tra gli anni Quaranta e Sessanta, Marlowe era stato già portato sia al cinema che in televisione con diversi interpreti e registi, e nel prosieguo degli anni Settanta verrà ripreso in due occasioni da Robert Mitchum. Non v'è dubbio, però, che Il grande sonno e Il lungo addio siano le due pellicole più importanti della serie. La sceneggiatura di Brackett, in collaborazione con la visione di Robert Altman, differisce sotto molti aspetti dal romanzo originale, rendendo ancora più sfaccettata la narrazione. Non cambiano soltanto alcuni dettagli (anche importanti) della trama, ma soprattutto il senso profondo dell'intera opera.
Quella in cui Philip Marlowe si muove è una Los Angeles cinica, spietata e senza scrupoli. Ciascuno punta esclusivamente ai propri interessi: sia che si tratti di una donna apparentemente impaurita come Eileen o di un criminale sadico come Marty Augustine (un altro personaggio che Marlowe incontrerà sulla sua strada), tutti nascondono qualcosa e non si pongono alcun problema a superare i limiti pur di proteggere la propria posizione o ottenere quanto si siano prefissati. Altman presenta l'investigatore come scanzonato e ironico, e questo spirito spesso lo aiuterà a tirarsi fuori da alcune situazioni sconvenienti o, addirittura, pericolose: ma anche lui, in un finale imprevedibile e amaro, diverrà consapevole di quanto sia stato costretto a scendere nel torbido pur di arrivare alla verità.
Magistrale, da questo punto di vista, la prova attoriale di Elliott Gould: il suo Marlowe è dinoccolato, pungente e arguto. Conosce in ogni particolare la sua città e, soprattutto, conosce le persone. Del resto, il suo mestiere lo porta a confrontarsi con personaggi di ogni tipo, e Philip ha accumulato tanta esperienza da prevedere esattamente cosa attendersi. Non è più il Marlowe tutto d'un pezzo dell'epoca di Bogart, ma quello di Gould (che venne scelto da Altman nonostante fosse reduce da alcuni insuccessi) è adatto tanto alla sua epoca quanto alla dimensione cittadina nella quale si muove, pronto a parare anche i colpi più inattesi.
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L'addio al vecchio noir
Ma cosa significa esattamente "Il lungo addio"? Secondo alcuni critici, Altman volle riferirsi più semplicemente al commiato di Marlowe dal suo amico Lennox, sul cui destino solo lui potrà fare luce. Secondo altri, ed è l'ipotesi che sente di sposare anche chi Vi scrive, il titolo si riferisce al saluto definitivo a un genere: il vecchio noir.
Esso, tipicamente, ha come fulcro un'inchiesta condotta da detective o investigatori in un'ambientazione urbana, e le cui implicazioni psicologiche sono sempre fondamentali nella descrizione dei personaggi in scena. Ma vi è anche una questione puramente stilistica, poiché, negli anni Quaranta e Cinquanta - ovvero il periodo di maggiore successo del genere - i film noir erano quasi esclusivamente in bianco e nero, e i chiaroscuri utilizzati da registi e direttori di fotografia evidenziavano il contrasto indissolubile tra bene e male, tra protagonisti e antagonisti: basti pensare a opere quali Il mistero del falco (1941), La fiamma del peccato (1944) e La scala a chiocciola (1946), solo per citare alcune delle più significative.
Concluso quel fortunato e irripetibile periodo, l'avvento della New Hollywood dal 1967 in avanti ha riproposto il noir sotto un'altra chiave, e Il lungo addio è probabilmente il primo titolo di grande rilevanza. Verrà seguito, solo per restare agli anni Settanta, da altri capolavori come Chinatown (1974), La conversazione (1974) e Taxi Driver (1976), diretti da maestri del calibro di Roman Polanski, Francis Ford Coppola e Martin Scorsese che condividevano con Robert Altman la capacità di ricreare delle atmosfere rarefatte e una narrazione essenziale, oltre a omaggiare il classico declinandolo al contemporaneo. Se nei film più moderni la critica sociale, un certo giudizio negativo sugli individui e sulle istituzioni è più che evidente, non sfuggirà all'osservatore più attento che nel noir classico quasi tutti i personaggi in scena erano negativi, come se il male fosse insito in ciascuno di essi. Una visione cupa della società, che del resto era ancora coinvolta nella Seconda guerra mondiale o ne era appena uscita, considerando il periodo 1940-1959 quello indicativo per l'apice del noir al cinema.
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Dagli anni Ottanta in avanti, il genere poliziesco ha prevalso decisamente sul noir, che nel panorama attuale, se riproposto con i giusti stilemi, potrebbe coinvolgere le nuove generazioni. Anche per questo, rivalutare film come Il lungo addio ha un'importanza fondamentale, per riassaporare un genere intramontabile e straordinariamente raffinato.