Recensione Si può fare (2008)

Un'opera significativa e senza pretese su temi importanti, che emoziona per la solidarietà che anima i suoi personaggi.

Il lavoro è possibilità

C'era una volta l'Italia del lavoro e dello spirito collaborativo, c'erano matti in libertà per legge e sindacalisti dalle idee troppo innovative, c'era un tempo dove le possibilità avevano ancora un esito felice nei fatti. "Una storia che sembra una favola, ma che è accaduta davvero": così parla di Si può fare il suo bravo protagonista, Claudio Bisio, perché l'idea alla base del film è tratta sul serio da una storia realmente accaduta. Quella che Giulio Manfredonia traduce dalla realtà è una vicenda di riscatto collettivo ricca di speranza, in cui un gruppo di 'svitati' si ritrova in una cooperativa che grazie all'aiuto di un sindacalista, messo alla porta dai suoi superiori, si ritrova a scoprire il mondo del lavoro montando parquet che nel loro piccolo diventano vere e proprie opere d'arte concettuale.

Sono tanti i temi affrontati in Si può fare: dalla legge Basaglia, che approvata nel 1978 determinava la chiusura dei manicomi, alla fatica dei sindacati di sinistra ad accettare i mutamenti, dalle possibilità di reinserimento dei malati mentali nella società ai traguardi dell'aiuto e del rispetto verso l'altro come riscatto personale. Il tono utilizzato dal regista e dagli sceneggiatori è quello della commedia, che trova in Bisio e negli attori (professionisti e si vede) che compongono il gruppo di matti un'aderenza totale ai personaggi che interpretano. La tentazione di cedere alla virata tragica era sicuramente forte, ma il film si limita solo a una svirgolata, quantunque fondamentale, che nella parte finale va a chiedere quel sacrificio di commozione allo spettatore che in fondo ci può anche stare. D'altra parte, sarebbe bastato anche solo lo spirito solidale che anima tutti i personaggi a fare del film un'opera toccante dalla quale poter trarre tanto.

Interessante è il contesto nel quale si gioca Si può fare e cioè la Milano dei primi anni Ottanta, periodo in cui i sindacati devono trovare compromessi ai propri imperativi etici per aprirsi al mercato. Nel mezzo del dilemma si colloca il protagonista Bisio, espressione di idee più moderne con le quali la sinistra ha fatto fatica a rapportarsi. Il tema poi del lavoro che nobilita l'uomo va a collegarsi con i problemi dei malati mentali che la legge 180 ha appena tirato fuori dai manicomi. Quale futuro per persone simili, delle quali la società e le famiglie si erano agilmente sbarazzate nel passato, rinchiudendoli in gabbie spesso intollerabili? Il film trova proprio nel lavoro e nelle sue possibilità creative una soluzione istruttiva. Manfredonia ce lo dice con uno stile fin troppo semplice, rendendo poco invasiva la regia non dissimile dai migliori prodotti televisivi, e con una storia asciutta che ammette solo qualche svarione inverosimile (la sventola bionda che accetta la corte di uno dei ragazzi non afferrando la sua 'stranezza') ma sono peccati che in un'opera significativa e senza troppe pretese come questa possono essere facilmente perdonati.