Nel marzo del 1963 esordiva un film che avrebbe fatto la storia: Il Gattopardo, per la regia di Luchino Visconti. Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes, questa pellicola è oggi universalmente considerata come uno dei capolavori del cinema italiano, e un ritratto di un'epoca: quella risorgimentale, data l'ambientazione collocabile tra il 1860 e il 1862 circa.
Tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo racconta il passaggio dal potere nobiliare, che in Sicilia era ancora predominante fino allo sbarco dei mille di Garibaldi, al potere politico del nuovo Regno d'Italia, con l'Unità che verrà proclamata nel 1861 (mancheranno ancora i territori dello Stato della Chiesa, che diverranno italiani dopo il 1870). La rievocazione prende forma attraverso il protagonista dell'opera, il Principe Fabrizio Corbera di Salina, interpretato da uno straordinario Burt Lancaster, e la regia di Visconti, che aveva una particolare sensibilità per le tematiche storiche, più volte affrontate nella sua carriera cinematografica.
A distanza di sessant'anni dalla sua uscita, riscopriamo nel dettaglio Il Gattopardo, un capolavoro intramontabile e per molti versi unico, considerato l'imponente sforzo produttivo ancora adesso difficilmente eguagliabile nel panorama italiano.
I sogni del Principe
Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr'otto. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.
Sicilia, 1860. I mille uomini guidati da Garibaldi sbarcano sull'isola per liberarla dal dominio borbonico. Ai combattimenti si uniscono anche forze locali, che si formano tra una città e l'altra e si mettono agli ordini del Generale. Tra di essi vi è anche il giovane Tancredi Falconeri, appartenente alla casata nobiliare dei Salina, il cui vertice è suo zio, il Principe Fabrizio Corbera, il quale guarda con apparente distacco alle scelte del nipote e alla rapida avanzata dei garibaldini, che porteranno a termine la missione dopo alcune battaglie, in particolare quella di Palermo. In realtà, il Principe è un uomo profondamente colto e intelligente, e sa bene che l'avanzata dei combattenti in camicia rossa non è che il primo passo verso l'annessione a quello che sarà il Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II di Savoia. L'epoca delle dominazioni straniere in Sicilia è ormai terminata, e con essa il potere a completo appannaggio di nobiltà e clero, che dovranno lasciare spazio alla nuova politica italiana.
Il Principe di Salina, però, è ancora legato alle tradizioni. Trasferitosi per l'estate nella villa di Donnafugata con la propria famiglia e con il prete della casata, padre Pirrone, nella cittadina egli troverà come sindaco il borghese Calogero Sedara, un uomo rozzo e poco istruito ma dalle grandi capacità di amministratore, tanto da avere la quasi totale fiducia della popolazione e possedere ingenti risorse terriere. Don Calogero è riverente nei confronti del Principe ma sa bene che, con la nuova situazione, non dovrà più dipendere dalle decisioni della casta nobiliare. Dopo un confronto schietto con l'amico Ciccio Tumeo, che di Donnafugata conosce tutto e tutti, il Principe prenderà una decisione: far avvicinare Tancredi alla figlia di Sedara, la bellissima Angelica. Il giovane avrebbe i giusti appoggi per la carriera politica cui ambisce, oltre alle disponibilità finanziare del futuro suocero. Tra Tancredi e Angelica sarà amore al primo sguardo, nonostante la cocente delusione di Concetta, figlia maggiore del Principe da sempre innamorata del cugino. Ma i sogni di Fabrizio e le aspirazioni per il nipote potrebbero così diventare realtà...
Fine di un'epoca
Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.
Adattato dal romanzo e sceneggiato da Luchino Visconti con Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa, il significato profondo de Il Gattopardo è molto più complesso di quanto spesso si sia scritto. Il film racconta la fine di un periodo storico, ma in esso vi è anche la disillusione per quanto avrebbe potuto essere (di meglio), e non è stato. Da una parte, vi è la figura carismatica del Principe, e tutto ciò che egli rappresenta: la nobiltà, la vecchia dominazione borbonica, la netta distinzione tra caste. Fabrizio di Salina, in realtà, sfugge dagli schemi predefiniti: uomo di larghe vedute, si fregia sì del proprio titolo ma non lo ostenta, anche perché consapevole dei tempi che stanno cambiando. Sono diversi infatti coloro che stanno avanzando verso il futuro: i garibaldini, i piemontesi (così chiamati perché i Savoia erano all'apice del Regno di Piemonte e Sardegna, e diverranno "italiani" solo con l'Unità nel 1861) e tutti coloro che di questo nuovo sistema politico saranno gli esponenti, che siano amministratori locali o dell'intera nascente nazione. Tra di essi vi è Calogero Sedara: non certo uomo dai modi garbati, ma figura nuova che sa esattamente come scalare la società. Ambizioso e possidente, adesso può guardare a testa alta i nobili dinanzi cui si è sempre dovuto inchinare. Rispetta enormemente il Principe, ma sa bene che quest'ultimo ha bisogno di lui per raggiungere i suoi ultimi obiettivi: assicurare un futuro a Tancredi, che significa anche conservare per la propria casata un ruolo pubblico che altrimenti sarebbe destinato a svanire.
Luchino Visconti guarda con ammirazione il Principe Fabrizio e con nostalgia quel mondo destinato a scomparire. Così era avvenuto, peraltro, nell'Italia repubblicana, che attraverso le disposizioni transitorie della Costituzione aveva cessato ogni riconoscimento dei titoli nobiliari. L'Unità d'Italia aveva invece mantenuto lo status quo della casta, che però aveva dovuto rinunciare progressivamente alla gestione del potere condiviso con il clero, entrambi soppiantati dal nuovo ordinamento statale. Visconti, di origini nobiliari, era stato uno dei massimi esponenti del neorealismo ed era vicino alle posizioni del Partito Comunista ma, nel suo animo, vi era ancora uno spazio per l'aristocrazia che egli rappresentava, e alla quale non intendeva rinunciare del tutto. Il Gattopardo è così un affresco lucido e arguto di un periodo storico, e vi è in esso un'ampia riflessione su quel cambiamento sopraggiunto nella Sicilia dal 1860 in avanti, ma vi è anche un magnificente omaggio a una tradizione andata perduta, qui rievocata dagli splendidi palazzi e dagli straordinari abiti di scena, mostrati soprattutto nella lunga sequenza finale dell'opera.
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La rinuncia del Principe
Il sonno, caro Chevalley, un lungo sonno, questo è ciò che i siciliani vogliono. Ed essi odieranno sempre tutti quelli che vorranno svegliarli, sia pure per portare loro i più meravigliosi doni.
Il Gattopardo è, però, un film che parla di Sicilia e dei siciliani. Tra le sequenze della pellicola, tutte indimenticabili come fossero parti di un bellissimo dipinto, ve n'è una molto importante, e ovvero quella dell'incontro tra Fabrizio e il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, un funzionario piemontese inviato dal Regno per chiedere al Principe di candidarsi al nuovo Senato. Una proposta che il Salina declinerà, perché egli si sente ancora legato a quel vecchio mondo che sta scomparendo, e perché forse non in grado di contrastare quei personaggi emergenti, certo più abili di lui all'interno dell'agone politico. Tra questi, vi è certamente l'opportunista Sedara, ma anche lo stesso nipote Tancredi. Se, infatti, Visconti è estremamente generoso con il Principe, lo è meno con Falconeri, che dapprima si schiera sul fronte garibaldino ma poi, dopo i fatti dell'Aspromonte (quando, nel 1862, l'esercito del Regno fermò Garibaldi e i suoi uomini, che stavano tentando un colpo di mano verso Roma nel tentativo di detronizzare Papa Pio IX e il suo potere temporale, ndr), non esiterà a disconoscere coloro con i quali aveva combattuto per allinearsi con il nuovo potere, per assicurarsi una rapida ascesa politica, ben sapendo di essere ormai ben sostenuto. Il Principe, uomo integerrimo e non certo disposto a compromessi, non può far parte di un nuovo mondo dove capacità relazionali e di adattamento, se non addirittura il trasformismo, sono essenziali per prevalere. Come già nel romanzo, anche nel film vi è una visione non esattamente nobile della politica italiana, che tutt'ora è contraddistinta dagli stessi difetti che aveva ai suoi albori.
Ma non solo. Il Principe è critico nei confronti della propria terra, e crede che nessuno sforzo personale possa cambiarla. Accompagnati da diverse dominazioni nel corso dei secoli, i siciliani sono "stanchi, svuotati, spenti", ed è "un lungo sonno" quello che essi vogliono, perché "odieranno sempre tutti quelli che vorranno svegliarli, sia pure per portare loro i più meravigliosi doni. E, detto tra noi, io dubito sinceramente che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel suo bagaglio", dirà Fabrizio, rivolgendosi a Chevalley. "Da noi ogni manifestazione, anche la più violenta, è un'aspirazione all'oblio. La nostra sensualità è desiderio di oblio. Le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte. La nostra pigrizia, la penetrante dolcezza dei nostri sorbetti, desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte". Egli parlerà di violenza del paesaggio, della crudeltà del clima, della continua tensione in ogni cosa, e soltanto andando via i siciliani potranno migliorare loro stessi. Sorpreso e attonito, Chevalley non saprà opporre una risposta concreta al Principe, ricordando però che con il nuovo Regno tutto potrà cambiare. La storia, purtroppo, darà ragione a Fabrizio.
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Un cast straordinario
L'amore? Già, certo, l'amore... Fuoco e fiamme per un anno, e cenere per trenta.
La fotografia di Giuseppe Rotunno, la scenografia di Mario Garbuglia, il montaggio di Mario Serandrei, i costumi di Piero Tosi (candidati all'Oscar nel 1964): ogni aspetto creativo de Il Gattopardo rappresenta l'eccellenza del cinema italiano. Il cast artistico, del resto, è altrettanto di prim'ordine: Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale sono qui all'apice della loro bravura e del proprio fascino, con in particolare l'attore statunitense nel ruolo del Principe. Lancaster, dalla presenza scenica imponente, era a proprio agio nei ruoli in cui poteva essere riferimento unico del film, e quello di Fabrizio era assolutamente perfetto da questo punto di vista. Delon e la Cardinale, dal canto loro, sono ancora adesso parte dell'immaginario collettivo come coppia cinematografica d'altri tempi: i loro Tancredi e Angelica sono semplicemente unici.
A completare il cast tantissimi altri grandi interpreti: uno straordinario Paolo Stoppa nel ruolo di don Calogero Sedara; un altrettanto magnifico Serge Reggiani in quello di don Ciccio Tumeo, protagonista di una spassosa sequenza con Burt Lancaster, mentre si trovano a caccia tra i campi; e Romolo Valli nel ruolo di padre Pirrone, il prete della famiglia Salina come da usanza per le più ricche casate nobiliari dell'Ottocento. Troviamo anche Giuliano Gemma, nella parte di un generale garibaldino; Mario Girotti, che non era ancora diventato il popolare Terence Hill e qui ha il ruolo del simpatico conte milanese Cavriaghi, militare amico di Tancredi; Rina Morelli è la principessa Maria Stella di Salina, moglie del Principe, mentre Lucilla Morlacchi è la figlia Concetta. Insieme a loro anche Ida Galli (che successivamente avrà il nome d'arte di Evelyn Stewart), Ottavia Piccolo, Pierre Clémenti, Maurizio Merli, Carlo Valenzano e molti altri ancora. Menzione particolare va poi a Ivo Garrani, nella parte del colonnello Pallavicino: un altro personaggio non particolarmente benvoluto da Visconti, che lo disegna come un tronfio fanfarone, tanto da suscitare l'evidente antipatia del Principe durante la scena del ballo finale. Nella nuova Italia c'è (purtroppo) spazio anche per figure controverse e discutibili.
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La musica de Il Gattopardo
O Stella, o fedele stella, quando ti deciderai a darmi un appuntamento meno effimero, lontano da tutto, nella tua regione di perenne certezza?
L'abbiamo citata diverse volte: la sequenza che conclude Il Gattopardo è lunga oltre quaranta minuti, e rappresenta l'ideale commiato del Principe da quel mondo che sta per svanire, lasciando spazio ai nuovi personaggi che saranno parte integrante del Regno. Ma a rendere intramontabile quei momenti del film non sono soltanto la magistrale regia di Luchino Visconti, le scenografie e i costumi d'epoca, ma anche la colonna sonora di Nino Rota, che impreziosisce ogni scena del film con la sua firma inconfondibile.
Occorre soffermarsi in particolare nella solenne terza parte della pellicola, quella che vede tutti i protagonisti invitati a un grande ballo, per il quale Rota compose una Mazurka, una Controdanza (Balletto), una Polka, una Quadriglia, un Galop, un Valzer del Commiato ma, soprattutto, un Valzer Brillante, ripreso da un brano inedito di Giuseppe Verdi e che si pone al centro della lunga sequenza, poiché accompagna al centro del salone Angelica e il Principe, che si concedono un momento insieme nonostante la malcelata gelosia di Tancredi, che però sa bene che non avrebbe mai conosciuto la ragazza se non fosse stato per lo zione (come egli affettuosamente chiama Fabrizio).
Vi è anche una consistente partitura che viene inserita da Visconti e Rota nella prima e nella seconda parte de Il Gattopardo, ed è altrettanto splendida quanto malinconica, anche qui per porre l'accento su quel passaggio tra mondi che sta inevitabilmente avvenendo. Sia Titoli di testa/Viaggio a Donnafugata che Angelica e Tancredi esprimono i vari stati d'animo del Principe, oltre all'amore che nasce tra i due giovani. La suite conclusiva I sogni del Principe, che contiene sei tracce, racchiude la parte restante della colonna sonora, che espande ulteriormente i temi principali già introdotti nelle prime sequenze dell'opera.
Il Gattopardo, a sessant'anni dalla sua uscita, è un film totalmente contemporaneo, sia nella sua realizzazione che nel suo straordinario contenuto narrativo.