Recensione Infection (2004)

Il primo episodio del J-Horror Theatre ci porta all'interno di un ospedale dove un virus sconosciuto miete vittime. Questa volta, però, lo spettatore resta immune da qualsiasi "infezione"...

Il finto contagio del J-Horror

Il grande successo mietuto in occidente dalle saghe di Ringu e Ju-On: Rancore (con tanto di remakes), non poteva che portare ad un'inevitabile invasione di prodotti del cinema horror orientale, molti dei quali di dubbia qualità. Non fa eccezione, purtroppo, questo Infection, primo episodio del J-Horror Theatre, una serie di sei film prodotti da Takashige Ichise (nome che da solo dovrebbe rappresentare una garanzia per i patiti del genere) e che prevede, per alcuni dei successivi capitoli, la partecipazione delle "stelle" Hideo Nakata, Takashi Shimizu e Kiyoshi Kurosawa.

Per la pellicola d'esordio diretta da Masayuki Ochiai (già autore della trasposizione cinematografica di Parasite Eve) dobbiamo accontentarci, invece, di un'opera ambiziosa solo nella tematica affrontata e, se non altro, per il continuo tentativo di far sfaldare i tanti intrecci narrativi presenti nella trama. Questa gioca sulle mutazioni genetiche e sul contagio virologico evocato dal titolo, mischiando malamente le carte della ghost story, dello splatter, della science fiction e delle recenti conquiste del thriller psicologico di marca americana (con l'abbondante impiego dei colori in funzione tematica). L'ambientazione ospedaliera, che dovrebbe costituire il fulcro dell'horribilis, non è per nulla accattivante come ci si attenderebbe. Anche i pochi "spaventi" presenti sono creati con forzature che rasentano la ruffianeria più sfacciata.

Siamo molto ma molto lontani dall'oculato centellinamento della tensione presente in modo efficace nelle ormai storiche saghe di Ringu e Ju-On, seppur idee interessanti non manchino. L'atmosfera tipica del J-Horror in Infection è infatti solo di maniera, e le mura dell'ospedale, invece di trasudare un senso fatale di oppressione (come nelle insuperate scene del videogame Silent Hill), ricreano un ambiente quasi domestico, dove le sorprese (poche) vengono accolte quasi con un sospiro di sollievo. Dipenderà dalla natura "teatrale" della saga, ma il "virus" dell'horror nipponico questa volta contagia poco e resta invischiato in mezzo a quel liquido verdastro fuoriuscito dai corpi che sarebbe imbarazzante anche in uno dei peggiori B-movies d'annata...