Siamo tra i mercatini di Varsavia, agli inizi degli anni Novanta. Gli appassionati di videogame si incontrano qui, tra bancarelle improvvisate e affari al limite del clandestino, per vendere e comprare giochi importati dall'estero. Tra loro, due ragazzi si distinguono particolarmente, perché capiscono che la distribuzione e la localizzazione dei titoli potrebbe essere un business intelligente. Contemporaneamente, sempre in Polonia, un ex rappresentante si cimenta nella scrittura di un romanzo antologico, dando vita ad un mondo fantasy con protagonista uno Strigo, un mutante senza paura e senza futuro, assoldato per uccidere i mostri che popolano le sue terre.
Difficile da prevedere, ma oltre quindici anni dopo questi signori, provenienti da realtà così diverse, si incontrano per dare vita alla saga videoludica di The Witcher, capace di vendere milioni di copie in tutto il mondo. L'incontro tra la penna ispirata di Andrzej Sapkowski e le grandi capacità della software house CD Projekt RED dà così inizio ad un fenomeno di narrazione transmediale, confluito anche in una serie TV (Wiedzmin ), un film dimenticabile (The Hexer), fumetti e giochi da tavolo, in attesa di una nuova scommessa cinematografica di qualità.
Parlando delle sue origini, è evidente come questo videogioco provenga da un gruppo di grandi appassionati che col tempo sono diventati anche dei professionisti stimati dai fan. Un'onda di sincero trasporto per il fantasy e per il mezzo videoludico che ha proprio nel coraggio e nella sfrontatezza alcuni dei suoi meriti più evidenti, assieme ad una complessità tematica e narrativa talmente significativa e densa da meritare una riflessione approfondita. E allora, rigorosamente privi di scudo e armati di sole due spade (d'argento e d'acciaio), tuffiamoci in un viaggio epico nei meandri del fantasy e andiamo a conoscere meglio Geralt di Rivia.
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Witcher is coming
Magnifici draghi pronti a dominare l'orizzonte, i regni degli uomini in perenne stato di guerra, le conseguenze del potere al centro dell'azione. Lo potremmo definire "Il trono di spade dei videogame", non solo per la sua matrice letteraria, ma soprattutto per il suo approccio crudo e immediato, accompagnato da personaggi in cui il Bene il Male non sono immediatamente riconoscibili. Come tutti gli accostamenti e i paragoni, questa definizione è efficace nel rievocare atmosfere comuni alle due epopee, ma è parzialmente inesatta (il primo gioco è uscito nel 2007, per cui si potrebbe parlare di un "The Witcher delle serie tv") perché la saga polacca ha delle peculiarità uniche che la caratterizzano. Certo, come in Westeros, anche tra le terre di Temeria e di Nilfgaard prevalgono tonalità di grigio, argentee come la chioma del Lupo Bianco Geralt, assoluto protagonista del racconto, personaggio dal carisma invidiabile e dall'atteggiamento schivo ma allo stesso tempo attento ad ogni persona che incrocia il suo cammino. Se le vicende narrate da George R.R. Martin sono cadenzate da una grande varietà di personaggi importanti, la saga di The Witcher, per quanto corale, ha nello strigo il punto di vista attraverso cui il videogiocatore si aggira per il mondo.
I witcher sono uomini di mezzo, né umani, né mostruosi, né guerrieri, né maghi; individui modificati geneticamente per trasformarsi in abili cacciatori di mostri. Il popolo non li accoglie, ma li accetta come mezzi necessari per estirpare entità malefiche dalle loro terre. Così gli strighi vivono ai margini della società, percepiti come mercenari da usare all'occorrenza, il male necessario per combattere un male più grande. Sulla scia di questa difficile condizione esistenziale, i ragazzi di CD Projekt hanno subito incentrato l'attenzione sullo scontro sociale, uno dei temi più ricorrenti nella loro saga avviata con The Witcher, un gioco nel quale vestiamo i panni di un personaggio privo di memoria, costretto a schierarsi o con gli umani di un ordine cavalleresco o con una minoranza elfica alla ricerca di accettazione e diritti. Nel sequel The Witcher 2: Assassin's of the King l'area d'azione si allarga ancora di più, parte da un "semplice" regicidio di cui svelare il colpevole, per poi trasformarsi in un intricato susseguirsi di complotti, tradimenti, promesse e ricatti che, coinvolgendo umani, streghe, nani, elfi e troll, richiamano tematiche come la tolleranza e la segregazione razziale.
La trilogia si chiude con l'appena uscito The Witcher 3: Wild Hunt (leggi la recensione del videogioco su Multiplayer.it), meno politico e più sociale del suo predecessore, un capitolo introspettivo e personale dove, mentre il nostro Geralt cerca la sua figlia adottiva Ciri, è impossibile non fare i conti con le conseguenze della guerra su tutta la popolazione. Miseria, paura e disperazione collettiva caratterizzano una storia cupa e a tratti raccapricciante che ha il coraggio di mettere in mostra argomenti difficili come lo stupro e l'aborto. Il lato distintivo della saga resta quindi quell'indissolubile legame della missione personale dell'eroe con il mondo che lo circonda. Per quanto lo scopo iniziale possa essere recuperare la propria memoria o ritrovare una persona cara, bisogna sempre fare i conti con qualcosa di più vasto e di conseguenza imprevedibile, un tessuto sociale e politico più grande di qualsiasi necessità individuale, nel quale bisogna schierarsi.
Una scelta, tante vie
Giocare a The Witcher non significa solo spingere dei pulsanti per sconfiggere dei nemici, non comporta soltanto essere spettatori di un racconto complesso e appassionante, ma diventare co-sceneggiatori di una vicenda nella quale le nostre scelte hanno un peso decisivo per la reputazione di un eroe emarginato e determinante per il destino del mondo. Come in un corposo film interattivo, curato da una fotografia satura e impreziosito da una colonna sonora quanto mai ispirata ed evocativa, ogni titolo possiede diversi finali possibili (il secondo sedici, il terzo più di trenta), rappresentando di fatto una strada tortuosa e piena di sentieri nella quale orientarsi non è affatto facile. Il giocatore viene calato nel bel mezzo di dilemmi morali e scelte etiche che andranno poi a definire la moralità dell'eroe. Credere ai progetti dei regni imperiali o appoggiare i rivoluzionari "non umani"? In questa grandiosa saga polacca vivere equivale a scegliere, evitando il fascino delle facili apparenze e cercando di affidarsi al buon senso e all'istinto. In un tempo falcidiato dai pregiudizi, in cui tutti covano vecchi rancori per antichi conflitti, Geralt si distingue come uomo del presente, per cui conta soltanto l'oggi. Senza ricordi e impossibilitato a pianificare un suo futuro familiare (è sterile per colpa dell'addestramento dei witcher), il Lupo Bianco si affida alle sensazioni del momento, alla decisione più consona in quel preciso istante, senza farsi influenzare dai preconcetti di cui il mondo è stracolmo.
Il witcher è un eroe che vive il mondo nella sua interezza, muovendosi con disinvoltura tra le alte stanze del potere e i bassifondi popolari, tra il potere dei ricchi e lo sconforto dei poveri, senza dimenticare le derive fanatiche di religioni piene di superstizione e paura. Per lui non conta che il suo interlocutore sia un celebre re o un povero contadino, che tu sia nato in un porcile o cresciuto in un castello. Il suo eroismo è questo: considerare tutti, concedere a chiunque il beneficio del dubbio, nel bene o nel male. Una virtù che fa di Geralt un eroe che si destreggia nell'arte della diplomazia prima che in quella della spada. Infatti sono proprio i dialoghi a caratterizzare la grande narrazione di The Witcher, con lunghe sessioni di gioco dedicate a conversazioni in cui carpire il valore di un singolo termine e il peso di una piccola esitazione.
Come degli investigatori della parola, ci si muove tra una miriade di nomi e riferimenti spazio-temporali (non sempre facili da seguire, anzi) che danno l'idea di vivere un'avventura epica degna della migliore letteratura. Tra duelli e cospirazioni, il libero arbitrio emerge come valore assoluto, massima espressione di una grande libertà (di movimento e di comportamento) che è uno dei segreti del successo della serie. Soprattutto in Wild Hunt il mondo di gioco è sconfinato, al limite dal labirintico, pieno zeppo di punti di interesse e luoghi nascosti che non vedono l'ora di essere esplorati. Le missioni principali (e con loro la storia primaria) vengono quasi minacciate da questa vastità che interrompe il racconto con momenti in cui ci si ferma a parlare con un mercante come curiosi antropologi o ad ammirare, estasiati, gli straordinari scorci naturali del mondo di The Witcher, quanto mai vivo, realistico e per questo pieno di orrori e di meraviglie.
C'è di mezzo il male
Abile alchimista e guerriero assai capace, Geralt non è il classico, irreprensibile paladino della giustizia. Per questo, più che un classico fantasy abitato da un eroe del Bene, The Witcher sembra una storia medievale più terrena, dove molti personaggi si sporcano le mani pur di sopravvivere, alle prese con la corruzione e il desiderio (e qui si torna con la mente ai Sette Regni). Lo strigo utilizza dei metodi poco ortodossi come la violenza e cade facilmente nel diletto del sesso spinto con sconosciute. Seppur legato ad un romanticismo di fondo e a pochi, ma saldi affetti, il nostro non disdegna il piacere della carne. Precisato questo, non deve sorprendere come la saga si sia distinta per una rappresentazione del malefico molto particolare e complessa. Per prima cosa è bene precisare che nell'universo narrativo di The Witcher gli umani sono "alieni", ovvero una razza arrivata nel mondo in seguito alla Congiunzione della Sfere, un incrocio tra realtà prima lontane che ha permesso l'arrivo di mostri, magia e uomini in un luogo dapprima abitato pacificamente solo da gnomi, nani ed elfi. L'essere umano è quindi percepito come un elemento di disturbo aggressivo e prevaricatore, tanto da aver ribaltato la sua minoranza in predominio nell'arco di soli cinquecento anni, relegando i "non umani" ai margini della società.
Grazie a questa visione pessimistica dell'individuo, piena di re insolenti e condottieri guerrafondai, la serie ha evidenziato una sua predilezione per la diversità, accompagnata da una grande curiosità nell'approfondire ciò che il senso comune considera pauroso, deforme e inaccettabile, facendo trasparire un messaggio che forse non sarà pacifista, ma per lo meno è inclusivo nei confronti degli emarginati. Lo sguardo giallo di Geralt, personaggio che per primo ha dentro di sé una radice di mostruosità, osserva un male che assume forme insolite e imprevedibili, attraverso entità multiformi che sfuggono ad una definizione ben precisa. CD Projekt si è divertita nel mettere alla prova gli stereotipi che il videogiocatore porta con sé, perché spesso ciò che è bello poi si rivela cattivo (vedi il caso delle Tre Megere in Wild Hunt), mentre quello che appare brutto è invece buono. Il male è una scelta soprattutto per gli uomini, perché altrimenti si manifesta sotto forma di maledizioni o peggio, come proiezione degli errori altrui, incarnati in entità che non trovano pace e si straziano nel dolore (feti seppelliti senza nome, fanciulle abbandonate, esseri imprigionati negli alberi). Al videogiocatore spetta il difficile compito di orientarsi tra questa selva oscura nella quale filtrano pochi raggi di luce benevola. In questo clima di profonda incertezza Geralt, nonostante le sembianze di guerriero invincibile, risulterà difficilmente impeccabile. Così, il suo è un "errare" in senso lato, quello del viaggiatore instancabile ma anche di chi può sbagliare da un momento all'altro.
L'arte del racconto e delle citazioni
La saga dello strigo, oltre a rappresentare un grande esempio di narrazione, sottolinea di continuo l'importanza del narrare. Metanarrativa e citazionista, l'opera di CD Projekt enfatizza di continuo l'importanza delle storie, intese come esempi da cui imparare o credenze mitizzate da cui fuggire. Il mondo di gioco pullula di testi, lettere, intere enciclopedie che rendono credibile il tessuto culturale di ogni singolo popolo o ordine magico. I miti, le leggende e persino le canzoni cantate dai bardi rendono l'esperienza di gioco totalmente immersiva, agevolata anche da uno studio maniacale di architetture e costumi ispirati al medioevo europeo. E a proposito di ispirazioni, è impossibile non notare citazioni e rimandi a testi appartenenti a generi totalmente diversi. Sull'impronta di Sapkowski, gli sviluppatori polacchi hanno ridefinito la narrazione fantasy con una sapiente rivisitazione del patrimonio favolistico e fiabesco, combinato a grandi classici della narrativa. Le atmosfere disturbanti dei fratelli Grimm (con tanto di bambini persi nel bosco lasciandosi alle spalle dei biscotti) incontrano le visioni del Macbeth di William Shakespeare, senza dimenticare omaggi evidenti a Il Trono di Spade (resi sotto forma di easter egg) e a Il Signore degli Anelli, citato più volte nei dialoghi e da un intero atto di The Witcher 2: Assassin's of King in cui è davvero impossibile non pensare alla Battaglia del Fosso di Helm visto ne Il signore degli anelli - Le due torri.
Il tutto raccontato con un ritmo lento, che richiede a chi gioca pazienza e attenzione ai particolari. A controbilanciare i tanti momenti in cui la storia si svela attraverso lunghe conversazioni, troviamo tante scene d'azione spettacolari dove non mancheremo di decidere i destini di draghi, streghe e creature maledette. Questa continua dicotomia tra il racconto e l'azione, i personaggi e gli ambienti, vengono resi alla perfezione da una regia equilibrata che alterna primi piani strettissimi sulle espressioni dei personaggi ad ampie panoramiche su un paesaggio talmente grande da ospitare paludi, prati, sabbie e montagne innevate. Se, come abbiamo visto, nel mondo di The Witcher a regnare non sono i re, ma l'incertezza derivata dal peso delle nostre scelte, possiamo sicuramente dire che non vi è alcun dubbio sul valore narrativo di un'opera significativa e ardita grazie alle potenzialità del mezzo videoludico. Mai come in questo caso "play" non si traduce solo in "giocare", ma anche e soprattutto in "recitare", nei panni di un assoluto protagonista del fantasy moderno.