Recensione La velocità della luce (2007)

Il film d'esordio di Andrea Papini è un atipico thriller on-the-road mai scontato che miscela elementi drammatici, sentimentali e psicanalitici regalando anche lucidi sprazzi di humor nero.

Il delitto perfetto è in autostrada

Chissà quante volte, viaggiando da casello a casello per motivi diversi, abbiamo desiderato sapere qualcosa di più sul tipo alla guida della lussuosa auto che ci ha appena superato, di quello alla guida dell'utilitaria che ci sta dietro appiccicata o ancora di quello alla guida del camion che ci sta davanti e procede dall'alto della sua postazione. Persone che sfrecciano e si scrutano alla velocità della luce, racchiuse in una corazza di metallo più o meno appariscente, pianeti diversi, mondi a sé stanti che per un bizzarro scherzo del destino si ritrovano nello stesso posto nello stesso momento, sfiorandosi senza mai toccarsi, arrivando a pochi centimetri l'una dall'altra senza mai entrare in contatto fisico e tanto meno emotivo. Una distanza al giorno d'oggi colmata solo dalla tecnologia, dai telefoni cellulari, dai palmari e dal web, strumenti che aiutano ad entrare in contatto con tutto e tutti, apparecchi che accelerano di mille volte la conoscenza tra gli individui bruciando tappe importantissime per la normale evoluzione dei rapporti umani. Uomini e donne come particelle autonome che viaggiano più veloci della luce lungo sterminati binari d'asfalto, che tracciano percorsi strani e talvolta sconclusionati, viaggi che hanno sempre capo ma a volte non hanno coda su serpentoni grigiastri che attraversano montagne, che collegano culture, abbracciano luoghi e fanno da sfondo a piccole grandi migrazioni. Questa l'idea di fondo su cui è costruito La velocità della luce, il piccolo gioiello noir tutto italiano diretto e co-sceneggiato dal regista piemontese Andrea Papini, finora dedito a spot pubblicitari e documentari per la TV di Stato.

Il noir, genere troppo poco sfruttato in Italia, incontra il thriller in questa intrigante storia dalle atmosfere claustrofobiche, un triangolo amoroso (e delittuoso) ambientato tra gli interni di due automobili e che si snoda pian piano attraverso conversazioni telefoniche tra i tre protagonisti. Caratteri spigolosi, personalità sfuggenti, entità ambigue che cullate dalla monotonia autostradale sembrano pian piano aprirsi al dialogo, divenire disponibili ad un confronto vocale e dialettico con il mondo esterno, anche solo per ingannare il tempo e combattere la solitudine. E' quel che cerca di fare Mario, un ladro professionista di auto di lusso che 'soffre' le gallerie e 'lavora' in autostrada facendo su e giù per l'Italia in cerca di 'vittime'. A tal proposito, come farsi scappare la Bentley coupé nera del 1992 guidata da un misterioso signore dai capelli bianchi? Ecco che allora Mario inizia a indagare e, grazie alla sua voce seducente e all'aiuto di una zelante telefonista di call-center di nome Beatrice, riesce ad avere il numero di cellulare della sua potenziale preda che gli risponde al telefono con un tono a dir poco inquietante. Un gioco pericoloso quello di Mario che farà cadere nella rete la persona sbagliata, un cacciatore travestito da preda che sarà capace di stravolgere gli eventi in maniera del tutto inaspettata. I tre si inseguono, talvolta in senso lato e talvolta in senso stretto, sul labile filo di un telefono e si sfidano in un gioco al massacro fatto di inganni, di trabocchetti, di mezze bugie e mezze verità, di seduzioni cui è difficile resistere, tutto nel tentativo di giungere al proprio obiettivo.

Andrea Papini sceglie il digitale ed uno stile hitchcockiano fatto di giochi di luce, musiche avvolgenti e ambienti ovattati per raccontare al meglio l'inquietudine contemporanea, quel deleterio scudo di incomunicabilità che l'era dei telefoni cellulari ha creato irrimediabilmente attorno ad ognuno di noi. I suoi personaggi sono fragili, estremi, ironici, smaliziati ma allo stesso tempo ingenui, tutti loro cercano una vendetta, una rivalsa nei confronti della vita, cercano di sopravvivere nella giungla che inghiotte tutto e tutti al di fuori del microcosmo in cui ognuno di loro si è rinchiuso. La velocità della luce è un atipico thriller on-the-road mai scontato che miscela sapientemente elementi drammatici, sentimentali e psicanalitici regalando anche lucidi sprazzi di humor nero. Ottime le prove degli attori e ben delineati i personaggi, su tutti quello che fa da fulcro a tutta la storia interpretato da Patrick Bauchau, attore dalla presenza scenica e dall'espressività davvero fuori dal comune.
Di tanto in tanto, grazie a qualche talentuoso nuovo cineasta, il cinema italiano rinsavisce e riesce anche a proporre qualcosa di interessante. Questo piccolo film di genere ne è la dimostrazione.

Movieplayer.it

2.0/5