Recensione The Resurrection (2002)

In bilico tra commedia e film d'azione, il plot disperso in mille rami che ben presto si rivelano rivoli secchi, con dozzine di personaggi secondari grossolanamente caratterizzati, The Resurrection è un film visionario confuso e confusionario.

Il cybercialtronismo made in Korea

Con un costo di circa dieci milioni di dollari e quattro anni di riprese, The Resurrection è fino a oggi il più grande film mai prodotto in Corea e insieme uno dei maggiori fiaschi al botteghino nella storia del cinema di Seoul.

Quando non consegna cibo a domicilio, il giovane Ju passa il suo tempo libero allenandosi per diventare un giocatore professionista di videogames. Uscendo dalla sala giochi gestita da He-mee, di cui è invaghito, incontra Seongso, una venditrice ambulante di accendini. Incuriosito, la segue, per perderne poco dopo le tracce e trovarsi coinvolto in prima persona nel misterioso "La resurrezione della piccola fiammiferaia". Scopo del videogioco è quello di assicurarsi che Soengso muoia esattamente come nella fiaba di Andersen, e di essere l'ultimo dei suoi pensieri prima di morire. Molti bizzarri personaggi si contendono la vittoria, nonostante il rischio di non ritornare più nel mondo reale. Ben presto chi governa il gioco si rende conto di come Ju non sia un normale giocatore e cerca di correre ai ripari. Aiutato da un'entità interna, il progettista del gioco, e minacciato da un suo amico esperto di videogames assoldato per farlo fuori, Ju vivrà fantastiche avventure.

In bilico tra commedia e film d'azione, il plot disperso in mille rami che ben presto si rivelano rivoli secchi, con dozzine di personaggi secondari grossolanamente caratterizzati, The Resurrection è un film visionario, confuso e confusionario. Veramente troppi i cambi di direzione, troppe le citazioni, troppi gli stereotipi - orientali e non - riportati. Alla fine si fa veramente fatica a tirare le fila del discorso, tra richiami taoisti incomprensibili (a un pubblico occidentale), simbolismi oscuri, tirate demenzial-parodistiche. Rimane un banale discorso sulla perdita dell'individualità e della libertà nella società moderna informatizzata, e cascami della più bieca (in)cultura cyberpunk.

Visivamente ipervitaminizzato, parossistico, frenetico, procede per accumulazioni successive, fino all'eccesso, fino alla noia provocata dalla reiterazione infinita di scene d'azione, esplosioni, capriole, piroette, schivate di proiettile alla Matrix, e poi ancora da capo.
Certamente ben girato, ben fotografato, ben diretto; la mano c'è, si vede tutta. Le scene d'azione sono convincenti, alcuni dialoghi molto divertenti, alcune invenzioni (il grande maccarello) assolutamente esilaranti.
Quello che manca è la scelta di un punto di vista, una cosa grave per un film che si propone abbastanza esplicitamente come autoriale; così che si è ben presto preda della noia (due ore che sembrano tre), sospesi in un territorio senza emozioni, in un cinema assolutamente inumano e lontano, fino agli estenuanti e infiniti pseudofinali.

Il cinema coreano è giovane, fresco, fecondo e pieno di risorse. Sarebbe
auspicabile scegliere più oculatamente le pellicole da distribuire in
Italia, magari curandone maggiormente l'adattamento dei dialoghi e il
doppiaggio (pessimo, in particolare per ciò che concerne la giovane
protagonista, dotata di un accento dialettale romano che enfatizza
eccessivamente l'intonazione cantilenante già presente nella traccia audio
originale).