Il corpo della sposa, Michela Occhipinti: “c’è un divario enorme tra libertà reale e libertà percepita”.

Intervista a Michela Occhipinti, regista de Il corpo della sposa: film sul cammino di una donna attraverso i canoni di bellezza in conflitto tra modernità e tradizione.

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Il corpo della sposa: Verida Beitta Ahmed Deiche in una scena

Dopo ben tre documentari realizzati in giro per il mondo, dal Sud America al Malawi, Michela Occhipinti cede al fascino del lungometraggio di finzione dirigendo Il corpo della Sposa, presentato nella sezione Panorama alla 69esima Berlinale. Un film di produzione italiana ma ancora una volta ambientato all'estero, nella Mauritania cittadina, apparentemente così lontana ed estrema per tradizioni e costumi ma vicina a noi nel risultato finale: i condizionamenti che apertamente (nel caso della Mauritania) o subdolamente (nel caso dell'Italia e di altri paesi occidentali) si impongono alle donne nel loro concepire il proprio corpo. In questa intervista a Michela Occhipinti, la regista racconta la scelta della protagonista, l'esordiente Verida Beitta Ahmed Deiche, per un viaggio attraverso il contrasto tra usanze e modernità. Come potete leggere nella nostra Come potete leggere nella nostra recensione de Il corpo della sposa, Verida è stata promessa in matrimonio ma per diventare come il suo fidanzato la vorrebbe deve praticare il gavage, un rituale di ingrassamento che vien fatto fare alle giovani donne prima di sposarsi.

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Le rughe come punto di partenza

Alla base del film un punto di partenza molto personale: la percezione che ha avuto Michela Occhipinti dei cambiamenti del suo corpo per gli anni che passavano. "Tutto è nato dal fatto che anni fa mi stavo guardando allo specchio e mi vedevo le rughe, stavo invecchiando. Perché questa cosa mi creava disagio?" si interroga la regista e prosegue a raccontare: "da lì è partita una riflessione più larga sul corpo delle donne, sui canoni estetici che cambiano nei decenni e di cultura in cultura. La questione non è la forma che devi ottenere alla fine, il vero punto è il percorso, quello di autoflagellazione e di sofferenza".

Una vita come la nostra

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Il corpo della sposa: una scena del film

Dato che ha sempre lavorato all'estero sui precedenti lavori ed anche sul primo lungometraggio di finzione ha preferito un paese straniero all'Italia, Michela Occhipinti anticipa la curiosità di tutti e spiega le ragioni della sua scelta di puntare la macchina da presa sempre al di là dei confini italiani: "provo un disagio nella mia realtà e quindi ho bisogno dell'avventura, di scoprire qualcosa di nuovo, le similitudini tra la mia realtà ed altre. Io credo che siamo così simili tutti e non capisco perché stiamo andando a finire così".

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Il corpo della sposa: una sequenza del film

Ed a proposito di similitudini, la regista spiega, usando se stessa come esempio, il nesso tra il percorso di Verida e quello di una qualsiasi donna italiana o occidentale: "Facciamo la stessa identica vita, ci mortifichiamo. Io voglio togliermi le rughe e lei vuole ingrassare, ovvio che la mia sofferenza è minore ma le mie imposizioni sono più subdole". Sul perché abbia deciso di ritrarre una donna di città invece che una di provincia o di un villaggio Michela Occhipinti chiarisce: "Abbiamo deciso di unire passato e presente e il gavage è ancora praticato nei villaggi e nel deserto soprattutto con ragazze molto giovani. Non volevamo però raccontare la storia di una ragazza di un villaggio perché lo spettatore l'avrebbe ritenuta una cosa tribale che non lo riguardava, invece nella capitale, a metà tra tradizione e modernità, volevamo che la protagonista facesse la vita che facciamo noi".

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Un film di donne

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Il corpo della sposa: una scena con Verida Beitta Ahmed Deiche, Amal Saad Bouh Oumar, Aminetou Souleimane

Il corpo della sposa è un film sulle donne, costruito sulle donne ed intorno a loro. Non solo Verida ma le sue amiche (chi come lei subisce le imposizioni del posto e chi invece in contrapposizione è schiava dei canoni di bellezza occidentali), sua madre e la sua sorellina. "Volevo che fosse un film di donne" spiega infatti Michela Occhipinti, "in Mauritania esiste il patriarcato in società e il matriarcato in famiglia. Il padre è d'accordo ma lascia che sia la madre a mettere in atto le cose". All'interno di questo schema che sembrerebbe di totale sottomissione della donna a tradizioni e machismo, c'è comunque una variante sul tema che agli occhi di un occidentale può apparire come una contraddizione: "i primi matrimoni sono quasi sempre combinati ma si divorzia con facilità" commenta Occhipinti tutt'ora incredula e aggiunge: "è una contraddizione fortissima, più divorzi e più sei considerata appetibile perché hai esperienza". Con minuziosa attenzione ai dettagli, Michela Occhipinti segue, quasi con devozione documentaristica, il rituale a cui Verida viene sottoposta dalla madre. Una bilancia arriva in casa ogni settimana, portata da un ragazzo preposto al compito, per controllare che l'aumento di peso sia veloce e cospicuo. Il conflitto tra tradizione e modernità è tutto nel crescendo di disappunto e ribellione che in Verida si fa strada. Lo conferma la regista: "La ribellione parte dalla reazione fisica del suo corpo e il disgusto del cibo."

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Quando la finzione è più reale di un documentario

Il Corpo della Sposa si presenta come uno di quei rari casi in cui la finzione può rappresentare la realtà meglio di un documentario. La vita di Verida doveva poter essere un veicolo per ritrarre un piccolo esempio di quella società, di quell'angolo di mondo e delle persone che lo compongono. Michela Occhipinti spiega la necessità di fare un lungometraggio di finzione: "È nato come documentario, poi però è stato obbligatorio per me fare un film poiché se la ragazza che avessi scelto non avesse avuto tra le amicizie per esempio una che si vuole sbiancare la pelle, una che non fa il gavage, avrei dato del paese un'immagine sbagliata e parziale quindi la finzione in questo caso mi ha permesso di rappresentare la realtà e quel paese meglio di se avessi fatto un documentario".

Libertà reale e libertà percepita

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Il corpo della sposa: un'immagine del film

Vivere con Verida la sua presa di coscienza, il suo osservare il suo corpo cambiare non per sua volontà, vederla a doversi confrontare con una società che le impone dei canoni di bellezza e che la confonde su cosa desideri veramente, sortisce l'effetto di invitare anche lo spettatore a chiedersi se tutto ciò che fa per il suo aspetto fisico è dettato dalla sua volontà e i suoi gusti o da quelli imposti dalla società. La prima a farsi questa domanda è stata Michela Occhipinti che sul tema commenta: " La famiglia di Verida dorme nel salotto ma la mattina disfa tutto e copre crepe per farsi vedere migliore degli altri. Il tema importante per me è il divario enorme che c'è tra libertà reale e libertà percepita e io mi sono resa conto dopo questo film di essere molto meno libera di quanto pensavo".