"È difficile testimoniare la bellezza": comincia così, con la voce fuori campo di Vincenzo Salemme, Il contagio, adattamento dell'omonimo romanzo, pubblicato nel 2008, di Walter Siti, diventato uno spettacolo teatrale e ora un film, presentato nella sezione Giornate degli Autori della 74esima Mostra Internazionale d'Arte cinematografica di Venezia e in uscita nelle sale italiane il 28 settembre.
È difficile testimoniare la bellezza dicevamo, soprattutto se la si cerca in posti che ne sono privi: Marcello (Vinicio Marchioni, che per il ruolo ha messo su diversi chili di muscoli) è un uomo semplice, sposato ma senza amore per la moglie (Anna Foglietta), che occupa il suo tempo tra i pesi in palestra e (molte) strisce di cocaina. Incapace di mantenere un lavoro a lungo, Marcello vive di espedienti al limite della legalità, finendo puntualmente per cercare l'aiuto, economico ma anche morale, di Walter, professore, interpretato da Salemme, con cui instaura una relazione clandestina. Quando nel palazzo in cui vive arriva Mauro (Maurizio Tesei), Marcello si innamora forse per la prima volta, ma, a differenza di lui, l'uomo è proiettato verso il futuro, verso guadagni facili e case più belle, determinato a lasciarsi alle spalle la puzza della periferia, passando senza rimpianti dal quartiere Laurentino a Prati, lasciandosi alle spalle affetti e origini scomode.
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"Il cinema è un'altra cosa"
"Il cinema è un'altra cosa", afferma uno dei personaggi: i registi Matteo Botrugno e Daniele Coluccini cercano di portare sul grande schermo il romanzo di Siti rimanendo fedeli ai personaggi e, nella prima parte, ci riescono soprattutto grazie al lavoro, notevole, di Marchioni: non solo sui muscoli, ma anche sulla postura, il suo corpo diventa lo strumento grazie a cui raccontare questo personaggio, che si sente chiuso in gabbia e non riesce a uscire da se stesso, il suo più grande nemico. La sua interpretazione è l'aspetto migliore del film, insieme a quella di Salemme, per una volta in un ruolo drammatico, che si dimostra sensibile e perfettamente in grado di esplorare sfumature più cupe e introspettive dell'animo umano. Quando però il film si sposta tre anni in avanti, cercando di cambiare pelle insieme al quartiere, tutto sfuma in una parodia involontaria della Roma criminale che in questi ultimi dieci anni di cinema e televisione ha riempito il nostro immaginario.
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"Ma lei ci crede in Dio?"
Il "salto dello squalo" di Il contagio arriva quando Anna Foglietta, di solito un'ottima interprete, chiede, nel ruolo della moglie repressa e dimenticata, ingobbita dal peso dei rimpianti, al professore di Salemme: "Ma lei ci crede in Dio?". Questa scena, che nelle intenzioni degli autori dovrebbe esser intensa e drammatica, uno degli apici emotivi del film, fa partire una reazione a catena per cui diventa davvero difficile credere a questi personaggi. La costruzione del dialogo tra i due, i tempi, tutto sembra sbagliato: quei personaggi nella vita reale non parlerebbero in questo modo, magari si porrebbero anche quella domanda, ma non la formulerebbero in quei termini. Da qui, tutto sembra posticcio e frasi come "Mauro ammira chi gratta e vince e chi trova parcheggio subito" non aiutano.
Il finale segna definitivamente la caduta del film, stando addosso al personaggio di Mauro quasi ossessivamente, per renderne il dramma interiore, il dubbio di chi è combattuto tra la sua vera natura e le apparenze, e il senso di colpa di chi ha volutamente voltato le spalle a qualcuno che ama, finendo però per farlo sembrare un leone nella gabbia di uno zoo, palesemente fuori contesto rispetto all'habitat naturale del personaggio. Il piano sequenza della festa in discoteca, con le tirate di coca a scandire l'azione, la faccia stravolta dell'attore Maurizio Tesei, sembra davvero una versione maccheronica di un film di Michael Mann, per poi sfociare nella metafora cristologica girata a rallenty che, purtroppo, sfocia nel comico involontario. Adattare un romanzo non è mai facile, perché bisogna dimenticarsi le pagine originali e adattare il vero spirito della storia con un mezzo completamente differente: come si dice all'inizio, il cinema è un'altra cosa.
Movieplayer.it
2.0/5