Se si pensa ai cineasti europei più importanti del Novecento nella lista non può non figurare, ad un certo punto, il nome di Wim Wenders. Lui che del Novecento si è occupato, cercando di trovare un senso alle sue trasformazioni mettendosi in ascolto dei luoghi e delle persone, interrogandosi sulle loro decisioni, elevandole ad universali. Un intellettuale che con il cinema ha sperimentato fino a farne spazio di riflessioni quasi puramente accademiche con il passare del tempo, ma che ha anche dimostrato una sensibilità enorme durante la sua carriera, dote grazie alla quale è riuscito ad includere nelle sue pellicole produzioni letterarie fortemente evocative.
Il cielo sopra Berlino (Wings of Desire per il mercato internazionale) è stato, per gli aspetti sopra elencati, il film prototipo del cinema di Wenders, essendo una pellicola che si occupa non solo della città che è stata il riflesso della storia del Novecento, ma anche l'opera in cui il cineasta è riuscito a far dialogare immanenza eterea e umana condizione e a riflettere sulle concezioni di spazio e tempo. Non solo, il titolo rappresenta anche un film crocevia per la carriera del regista il quale, tornato provvisoriamente dalle esperienze statunitensi concluse con umana delusione(farà ritorno in terra americana all'alba degli anni duemila, ma con tutti altri presupposti), trovò riscatto con il successo di Paris, Texas e il rilancio definitivo col quello proprio con la pellicola del 1987. Un successo non solo legato alla vittoria del Premio alla regia al Festival del Cinema di Cannes.
Tramite Il cielo sopra Berlino, Wenders poté mettersi in contatto con la parte spirituale e umana del suo Paese. Nel film riversò le sue passioni universitarie, le sue scelte di vita, le sue esperienze professionali, le sue inclinazioni letterarie, ma anche passionali e, dulcis in fundo, le sue angosce esistenziali. Non è un caso che questa pellicola sia stata anche la lettera d'amore del regista al cinema e che, come tale, decise di dedicarla ai suoi angeli custodi: Yasujirō Ozu, François Truffaut e Andrej Tarkovskij. Il capolavoro di Wenders torna al cinema 2 ottobre nella versione restaurata dalla Wim Wenders Foundation, grazie alla collaborazione con la Cineteca di Bologna, e ci racconta ancora in modo straordinario l'importanza di mettersi in contatto con gli altri per costruire il senso della propria esistenza.
La figura dell'angelo
L'idea de Il cielo sopra Berlino balenò nella mente di Wim Wenders un po' per caso, dato che al ritorno in patria aveva tra le mani la sceneggiatura di Fino alla fine del mondo (altro film bellissimo uscito quattro anni dopo), che per motivi legati ai costi non riuscì a realizzare subito. Cerco dunque l'ispirazione proprio nelle sue origini, sia interne che esterne. Oltre alla capitale tedesca, il cineasta trovò spunti nelle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke, uno dei più importanti poeti del secolo scorso, anche se l'elemento che definì al meglio l'idea del film fu proprio l'angelo.
L'angelo che è L'angelo Novus di Paul Klee, soggetto del quadro che ispirò L'Angelo della storia, saggio fondamentale del filosofo tedesco Walter Benjamin, che del dipinto scrisse: "L'angelo della storia deve avere questo aspetto." L'angelo è stato ciò che unì questi due artisti e Wenders, che lo mise al centro del suo film, scritto insieme al premio Nobel Peter Handke, ed elevando la sua poesia/filastrocca, Elogio dell'infanzia, a metronomo per scandirne gli attimi più significativi. I suoi angeli li affidò a Bruno Ganz, Damiel, e Otto Sander, Cassiel, (entrambi torneranno ad interpretare i medesimi ruoli nel sequel del film, Così lontano così vicino) custodi con i cappotti lunghi che solo i bambini possono vedere e che accompagnano la vita emotiva di tutti gli abitanti di Berlino, guardandoli dall'alto. Loro sono in ascolto, quando possibile anche in aiuto del genere umano e nel corso del loro tempo, che è quello eterno, cominciano ad invidiarlo.
La leggerezza della dimensione in cui vivono gli angeli diventa un vuoto insostenibile che diventa sensato solamente quando riempito degli episodi della vita terrena, eppure ciò non basta a lungo andare, perché i racconti acquistano senso effettivo solamente se vissuti in un tempo che è quello dell'uomo. Wenders, attraverso i suoi protagonisti, pone allo spettatore i suoi interrogativi su ciò che fa acquisire realmente senso ad un'esistenza che sia umana o angelica. D'altra parte l'uomo desidera guardare verso l'alto, preso da un desiderio ascensionale che nei bimbi è più fresco e che si perde man mano che si invecchia, quando si diventa memoria della propria umanità, che è una cosa ugualmente preziosa, come testimonia la figura dal vecchio Homer, ma non permette più di accedere al desiderio di volare. Eppure qualcuno, ci dice Wenders, esiste ancora, tipo un'acrobata (interpretata dalla sua compagna di allora, Solveig Dommartin), colei che spingerà Damiel a compiere la decisione di cambiare piano di esistenza.
Un dialogo oltre ogni tipo di separazione
Gli uomini vivono in una città divisa. Costretta da un'imposizione del passato ad essere separata, scissa, racchiusa in due spazi definiti da un muro che cadrà qualche anno dopo. Il cielo, d'altro canto, unisce tutti perché non conosce confini. Il cielo ascolta tutti in maniera equa, li guida, li sfiora, li consola persino, eppure, finché rimane nel suo, non può fare di più né per loro né per se stesso.
Bruno Ganz: i grandi ruoli dell'attore de Il cielo sopra Berlino
Il tipo di punto di contatto a cui Il cielo sopra Berlino ambisce si può indentificare con l'incontro con gli altri e nell'Altro nella sua accezione più concettuale possibile. Ciò che simboleggia l'unione non può esistere se non riesce ad avere una relazione con ciò che invece rappresenta la separazione. La loro naturale tendenza a guardarsi non può conoscere ostacoli, neanche quando si tratta di piani esistenziali differenti. Gli angeli guardano verso il basso, i bambini guardano verso l'alto e in questo scambio di posture comunicanti è raccolto il senso delle vite che riempiono il tempo e lo spazio.
L'amore che interessa a Wenders è quello verso gli altri, che diventa amore verso un Altro in senso lato, verso l'estraneo, lo straniero, magari verso un qualcuno che vive dall'altra parte della propria città, posta al di là di un muro. Di tutti questi significati è caricato l'amore dell'angelo verso l'uomo, anzi verso una donna che rappresenta l'umanità tutta, lei che per vivere vola rischiando di cadere, esattamente il contrario dell'esistenza di Damien, che per questo si innamora di lei. Quella di Wenders è una pellicola fortemente stratificata, dalla grande carica poetica e che vuole celebrare la natura umana, fatta di conflitti e profondi turbamenti, ma che ha in sé le potenzialità di mettersi in ascolto e di entrare in contatto con l'anima degli altri, che sta nella loro storia e nei luoghi che abitano. Un modo per divenire veramente un tutt'uno, come il cielo sopra Berlino.