Recensione Confidenze troppo intime (2004)

Un film riuscito a metà, che risulta piacevole soprattutto quando assume i toni della commedia e nei momenti di comicità lieve sapientemente disseminati per tutta la sua durata allo scopo di evitare lo spettro della noia.

Il capriccio della confessione

Tema da sempre caro al cinema è quello della comunicazione tra uomo e donna, labirinto rigoglioso di difficoltà da risolvere nella gioia dello scoprirsi passo dopo passo.
La distanza tra un uomo e una donna viene spesso riempita dal silenzio, mentre nel rincorrere le parole si finisce per mordersi la coda. Parole che si fermano sulle labbra e vengono lavate via da baci distratti cosicché l'insofferenza fa nevicare polvere a coprire il cuore. Il parcheggio per la propria quiete è allora tra le lenzuola del letto, nel posto riservato al comune desiderio.

Anna (Sandrine Bonnaire) ha dimenticato il brivido di una mano che le accarezza la pelle perché un banale incidente, da lei stessa provocato, ha spento suo marito Marc (Gilbert Melki) rendendolo zoppo e derubandolo della passione. Così si è convinta che la libertà sia ritrovare lui e la sua concupiscenza dimenticata. Decide perciò di rivolgersi a uno psicanalista, ma sbaglia porta e finisce con il raccontare i suoi problemi a William (Fabrice Luchini), un consulente finanziario che ascolterà incredulo quelle confessioni.
Lo scambio di persona è solo un pretesto per giustificare un capriccio recondito (rivelare i segreti più intimi ad uno sconosciuto) e l'equivoco, com'è giusto che sia, viene ben presto svelato. Gli incontri tra Anna e William però continuano fino a diventare un'importante molla per il cambiamento di entrambi.

William vive da sempre in una casa che è anche il suo studio, circondato da una collezione di giocattoli di latta che rivela la sua difficoltà nel superare lo stadio infantile. E' tutto in ordine nella sua vita: i mobili spolverati scrupolosamente ogni giorno, la scrivania organizzata con estrema precisione e la cravatta ben annodata da indossare anche di domenica. Impossibile è però riempire i vuoti aggrappandosi alla sicurezza degli oggetti. Sarà Anna, inconsapevolmente, a tirarlo fuori da una casa che col tempo si è trasformata in gabbia, saranno i sospetti che una donna così misteriosa suscitano a portarlo, suo malgrado, faccia a faccia con Marc, per cercare di fare chiarezza in una faccenda che si fa via via sempre più oscura e per afferrare le nuove sensazioni che cominciano ad agitarsi dentro di lui.

E' curioso come un film fatto di confidenze intime si regga soprattutto sul non detto, sulla comunicazione non verbale. Mentre non conosceremo mai veramente a fondo Anna, i gesti quotidiani di William rivelano tutto del suo carattere. La prova di Fabrice Luchini è maiuscola. Attraverso lo sguardo, la tenera goffaggine, la malinconica sincerità assistiamo al risveglio dell'uomo dalla sua solitudine. Difficile invece affezionarsi al personaggio di Anna, le cui apparizioni in video, per quanto frequenti, durano il tempo di una sigaretta, quella che fuma mentre sciorina senza pudore le confessioni, di carattere prevalentemente sessuale, che, paradossalmente, poco o niente dicono di lei.

Un film riuscito a metà questo Confidenze troppo intime[/FILM] di Patrice Leconte, che risulta piacevole soprattutto quando assume i toni della commedia e nei momenti di comicità lieve sapientemente disseminati per tutta la sua durata allo scopo di evitare lo spettro della noia. Macchiette come la segretaria impicciona, il culturista zen e il fobico, per quanto stereotipate, strappano più di una risata.
Incomprensibile è invece l'ostinazione del regista francese nello spacciare il suo ultimo lavoro per un thriller, brutalizzando la macchina da presa fino a renderne nervosi i movimenti, orchestrando in maniera confusa la traiettoria degli sguardi e avvalendosi di una colonna sonora ripetitiva che vorrebbe amplificare una tensione che in realtà non c'è.
La mancanza di pathos è un grave difetto delle intenzioni di Leconte che cerca nelle suggestioni del noir un'escamotage per tappare i buchi di una sceneggiatura senza dubbio originale come quella scritta da Jérome Tonnerre, ma alla cui base c'è un'idea il cui fascino è destinato ad esaurirsi troppo rapidamente.