"Uccidere o morire in montagna o nel Vietnam è esattamente la stessa cosa, ma deve succedere lealmente." "Come? Un colpo solo?" "Un colpo solo."
In uno dei dialoghi iniziali fra Mike Vronsky e Nick Chevotarevich, in procinto di intraprendere la loro ultima battuta di caccia prima di partire per il Vietnam, vengono introdotti due elementi cardine del film di Michael Cimino: il confronto con la morte e il senso di lealtà, verso il proprio nemico e verso se stessi. È l'enunciazione di tematiche che risulteranno centrali ne Il cacciatore, tanto da averne ispirato addirittura il titolo (in originale The Deer Hunter, "il cacciatore di cervi"). Tematiche che richiamano una sorta di atavico rito di passaggio e che, sul piano narrativo, daranno vita ad alcune delle scene più famose di un'opera entrata giustamente nell'immaginario collettivo: un fondamentale punto d'arrivo della New Hollywood, ma anche uno dei massimi capolavori del cinema americano di ogni epoca.
Il cacciatore: gli Oscar, le polemiche e la questione vietnamita
Il cacciatore debuttava nelle sale statunitensi esattamente quarant'anni fa, il 23 febbraio 1979, a un mese e mezzo di distanza da una première entusiastica a Los Angeles (l'8 dicembre 1978) e tre giorni dopo aver ricevuto nove candidature agli Oscar. Preceduto da una serrata compagna promozionale e da accesi dibattiti, prima ancora di uscire Il cacciatore è già uno dei titoli più attesi e discussi dell'annata: il 27 gennaio Michael Cimino viene premiato con il Golden Globe per la miglior regia, mentre quasi tutti i critici americani, da Leonard Maltin a Roger Ebert, da Gene Siskel a Vincent Canby, non esitano a riservare al film elogi appassionati. Più cauta Pauline Kael, che ne mette in discussione alcune ambiguità morali, cogliendo l'aspetto più controverso dell'opera di Cimino.
Le controversie relative al conflitto in Vietnam avranno una risonanza ancora maggiore quando, in quegli stessi giorni, Il cacciatore viene rimosso dal programma del Festival di Berlino in seguito alle proteste contro una descrizione dei vietcong giudicata razzista e manichea. Queste proteste ottengono riscontri pure presso l'establishment hollywoodiano, ma ciò nonostante Il cacciatore si trasforma in un autentico fenomeno: il pubblico, attirato in massa nelle sale, fa registrare alla pellicola di Cimino venti milioni di spettatori e quasi cinquanta milioni di dollari d'incasso solo sul mercato nazionale. Il 9 aprile Il cacciatore si aggiudica cinque premi Oscar per miglior film, regia, attore supporter, montaggio e sonoro, in un'edizione che si svolge nel segno della guerra del Vietnam: quell'anno il principale concorrente di Cimino è infatti Tornando a casa di Hal Ashby, altro film dedicato al difficile reinserimento dei reduci del Vietnam. E a mantenere aperta la 'ferita' provvederà, pochi mesi più tardi, Francis Ford Coppola con il suo leggendario Apocalypse Now.
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Il capolavoro di Michael Cimino, fra classicismo e modernità
Della New Hollywood, movimento consacrato dal successo travolgente di Bonnie and Clyde, Il cacciatore costituisce allo stesso tempo sintesi, apogeo ed evoluzione. Innanzitutto per il modo in cui Michael Cimino, al suo secondo film dopo Una calibro 20 per lo specialista, e lo sceneggiatore Deric Washburn riescono a fondere il rigoroso realismo alla base della New Hollywood con un'epicità tragica e sommessa, che a tratti sembra quasi recuperare lo spirito del western classico. La passione per il cinema classico, del resto, è una componente ineludibile dell'opera di Cimino: basti pensare al suo progetto a venire, la grandiosa e sventurata epopea western I cancelli del cielo, destinata nel 1980 a un drastico fallimento commerciale e alla reputazione di "film maledetto". E proprio nel solco del classicismo, le tre ore di durata de Il cacciatore corrispondono a una canonica divisione in tre atti ben distinti.
Il primo ci mostra le esistenze di un gruppo di amici di Clairton, cittadina industriale del Sud della Pennsylvania, operai in un'acciaieria e appartenenti a una comunità ortodossa originaria dell'Europa dell'Est. È il 1967, alla vigilia delle nozze fra Steven Pushkov (John Savage) e Angela Ludhjduravic (Rutanya Alda); per Steven, così come per Mike Vronsky (Robert De Niro) e Nick Chevotarevich (Christopher Walken), si tratta anche degli ultimi giorni di normalità che precedono la partenza per il Vietnam. La celebrazione per il matrimonio, così come la battuta di caccia, assumono dunque un valore ulteriore: una forma di cesura, due tappe di un coming of age legato sia all'inizio di una vita familiare, sia a quei rituali di "amicizia virile" che rappresentano un tòpos del western classico.
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Il Vietnam e il ritorno dall'inferno
La sezione centrale de Il cacciatore segna il brusco salto temporale e spaziale dei tre protagonisti, catapultando noi e loro in medias res, nel cuore dell'inferno vietnamita. Non c'è alcuna progressione fra l'armonia della provincia della Pennsylvania e gli orrori del fronte: gli orrori portati dagli elicotteri statunitensi, gli stessi che in Apocalypse Now saranno immortalati dalla Cavalcata delle Valchirie e dall'odore del napalm, con i villaggi divorati dalle fiamme e la popolazione civile massacrata senza pietà; e gli orrori commessi dai vietcong, bersaglio delle polemiche contro il film. Le sequenze ambientate nel campo di prigionia, con la scioccante pratica della roulette russa, segnano un brutale apice di tensione e richiamano la filosofia del "colpo solo" professata da Mike. Nel più crudele dei riti di passaggio, ogni uomo sfida la morte a testa alta, pronto a vincere o a morire: che si tratti di sparare a un cervo o di premere il grilletto con una pistola puntata alla tempia.
La miracolosa sopravvivenza al Vietnam conduce al terzo atto: il ritorno a casa. Il modello più prossimo, in questo caso, è l'indimenticabile I migliori anni della nostra vita di William Wyler; ne Il cacciatore, tuttavia, rimane ben poco dell'ottimismo vitalistico dell'America uscita vincitrice dal secondo conflitto mondiale. Steven ha perso le gambe (nel film di Wyler, all'ufficiale Homer Parrish erano state amputate invece le braccia), mentre Mike si tiene alla larga dei festeggiamenti per il proprio rientro. Per entrambi, in compenso, il futuro può essere ricostruito: Steven viene riaccolto in famiglia e Mike instaura un rapporto sentimentale con Linda (Meryl Streep, appena al suo secondo film e alla sua prima candidatura all'Oscar). Per Nick, al contrario, tanto il passato quanto il futuro sono stati obliterati dall'esperienza della guerra: egli è imprigionato in un eterno presente, in una coazione a ripetere simile a una pena dell'inferno dantesco.
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'Un colpo solo': l'atto di uccidere
Non a caso è il personaggio di Nick, che vale a Christopher Walken l'Oscar come miglior attore supporter, a sperimentare l'arco narrativo più memorabile. Nick è l'amico sensibile e gioviale, che nel prologo del film si lancia sulle note di Can't Take My Eyes Off You ma in Vietnam, dopo aver partecipato alla roulette russa, finirà per smarrire se stesso, precipitando in un abisso di alienazione. Ed è impressionante la distanza fra il Nick che abbiamo conosciuto in principio e quello che Mike, ossessionato dal proposito di salvarlo, ritroverà nel 1975 a Saigon: un automa senza identità, che reagisce alle parole dell'amico con sguardo vitreo e un mutismo impenetrabile. Il fallimento di una generazione - e di un paese - viene trasfigurato da Cimino in un finale agghiacciante, inserito in una cornice talmente cupa e bestiale da apparire quasi metafisica.
È la duplice chiave di lettura de Il cacciatore: da un lato la fotografia di uno dei capitoli più dolorosi della storia americana, nonché del suo impatto a livello individuale e sociale; dall'altro una valenza metaforica che apre il racconto a un'esplorazione dell'essere umano, diviso fra i propri impulsi autodistruttivi e il richiamo salvifico della pietas. Da qui l'amore per la famiglia e per la patria, ribadito nell'epilogo quando i personaggi intonano in coro God Bless America (tutt'altro che una banale esibizione di sciovinismo), ma soprattutto il rinnovato, sacrale rispetto per la vita. Quel rispetto che Mike dimostrerà di aver assimilato nel momento in cui rinuncia ad uccidere un cervo, in una scena magnifica all'interno di un film straordinario.