I due Papi, la recensione: Bergoglio, Ratzinger e i segreti del “gran rifiuto”

La recensione de I due Papi, il film Netflix con Jonathan Pryce ed Anthony Hopkins: il faccia a faccia fra Jorge Bergoglio e Benedetto XVI, fra tensione e ironia.

"Era una battuta!" "Una battuta?" "Una battuta tedesca... non deve far ridere."

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I due Papi: una scena del film con Jonathan Pryce

Nella scena d'apertura de I due Papi, Francesco I tenta di prenotare un biglietto aereo tramite un centralino, ma quando dichiara il suo nome e la sua residenza si sente attaccare il telefono in faccia; più o meno quanto capitava al fittizio Capo di Stato interpretato da Michael Douglas nella commedia Il Presidente mentre provava a ordinare un mazzo di fiori. Per introdurre la nostra recensione de I due Papi siamo partiti da questo brevissimo prologo comico, un momento in apparenza banale ma che anticipa uno dei temi al cuore del film di Fernando Meirelles: l'aspetto più 'umano' degli uomini di potere, nascosto nelle pieghe di una quotidianità invisibile al resto del mondo.

D'altra parte, chi può vantare un potere maggiore di quello del Papa? Un potere forte di una tradizione plurimillenaria; legittimato, per i cattolici, da Dio stesso; rafforzato dal dogma dell'infallibilità papale; e destinato ad accompagnare chi lo detiene per tutta la vita. A meno che, come nel caso di Benedetto XVI, non si decida di ricorrere a quell'impensabile "gran rifiuto" che da sei secoli nessun altro Pontefice aveva più osato esercitare per sottrarsi al proprio compito. Una scelta le cui ragioni, tuttora misteriose al di là delle versioni ufficiali, costituiscono lo spunto alla base della nuova pellicola del regista brasiliano, disponibile su Netflix dopo i positivi responsi raccolti ai festival di Telluride e Toronto.

Jorge Bergoglio vs Joseph Ratzinger

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I due Papi: una scena del film

Una piccola folla di cardinali percorre i Musei Vaticani, diretta alla Cappella Sistina, mentre in sottofondo risuona una versione strumentale di Dancing Queen; la stessa melodia che, nella scena precedente, il cardinale Jorge Bergoglio fischiettava allegramente, e che il cardinale Joseph Ratzinger dichiarava di non conoscere. Siamo nell'aprile 2005, pochi giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II e la fine del suo lunghissimo pontificato, e i due uomini si riveleranno essere i rispettivi candidati delle due opposte fazioni del conclave: quella minoritaria, più progressista, e quella intenzionata invece a proseguire sulla scia del rigoroso conservatorismo di Karol Wojtyla. Ratzinger sarà proclamato Papa il 19 aprile, mentre Bergoglio farà ritorno nella natia Argentina.

The Two Popes Netflix
I due Papi: Anthony Hopkins e Jonathan Pryce nel film

Il "dietro le quinte" della politica del Vaticano e quelle note di dissonante umorismo (gli Abba, i Beatles, le battute sul calcio) che identificano istantaneamente Bergoglio come un uomo di chiesa legato però a interessi e passioni 'secolari': due elementi che il film di Fernando Meirelles porta in evidenza fin da subito, anticipando con qualche scintilla ironica l'incontro/scontro che avverrà da lì a poco. Perché dopo il prologo dedicato all'elezione di Benedetto XVI, il racconto compie un salto temporale di sette anni per descrivere, in un'ampia sezione centrale, il faccia a faccia fra Papa Benedetto e il cardinal Bergoglio nel 2012, secondo un meccanismo in cui si riflette l'origine teatrale del film, ovvero la pièce The Pope di Anthony McCarten.

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L'ora più buia di Benedetto XVI

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I due Papi: Anthony Hopkins e Jonathan Pryce in un'immagine

Il neozelandese McCarten, autore anche del copione, adotta per I due Papi un approccio non dissimile da un'altra sua sceneggiatura di due anni fa, quella de L'ora più buia di Joe Wright, focalizzata sulla manciata di giorni in cui il neo-Primo Ministro britannico Winston Churchill si trovava a soppesare una scelta fatidica. E pure nel caso de I due Papi, tale approccio si dimostra maggiormente funzionale ed efficace rispetto al carattere più formulaico dei copioni di McCarten per altri "biopic da Oscar" come La teoria del tutto e il recente Bohemian Rhapsody: lontani dagli occhi del pubblico, nella bucolica solitudine di Castel Gandolfo o sotto gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, Ratzinger e Bergoglio mettono a confronto le proprie visioni della Chiesa e del suo ruolo nel mondo contemporaneo.

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I due Papi: Anthony Hopkins, Jonathan Pryce in un momento del film

Un confronto innervato da una tensione ineludibile, che non tarderà ad esplodere negli scambi più aspri fra i due ecclesiastici: perché la ferrea rigidità di Benedetto XVI e la necessità di rinnovamento postulata dal cardinal Bergoglio sono i due poli di una dicotomia in cui sembra difficile trovare un punto di congiunzione. Qual è la differenza fra cambiamento e compromesso, e quale l'opportunità di far sì che sia la Chiesa a muoversi incontro al mondo, e non viceversa? Sono gli interrogativi che riverberano nei dialoghi fra i due protagonisti, intervallati da momenti più quotidiani e distensivi: Bergoglio che non perde occasione per guardare una partita di calcio, mentre Ratzinger abbandona la sua formale compostezza per un unico guilty pleasure, la serie poliziesca Il commissario Rex.

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I dubbi di Ratzinger e i rimorsi di Bergoglio

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I due Papi: una scena del film con Anthony Hopkins

E ovviamente, pur senza sottovalutare i meriti della regia di Meirelles, che evita la staticità da "teatro filmato", a trasformare I due Papi in un 'duello' serrato e vivacissimo sono i magnifici interpreti, due attori gallesi capaci di alternare inglese, italiano, spagnolo, tedesco e perfino latino. Jonathan Pryce sfodera una delle sue migliori performance nei panni del futuro Papa Francesco I, lasciandone trapelare la sanguigna determinazione dietro la giovialità e la dolcezza, mentre Anthony Hopkins è a dir poco perfetto nell'indossare la maschera di severità di Benedetto XVI: un volto segnato da rughe che, nel corso del film, diventano crepe di fragilità sempre più profonde, fino all'amara confessione in cui il Pontefice ammetterà la propria inadeguatezza nell'arginare la piaga della pedofilia nella Chiesa Cattolica.

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I due Papi: Anthony Hopkins, Jonathan Pryce in un'immagine

Non a caso la vera forza del film risiede nelle interazioni fra Hopkins e Pryce, nel senso di spontaneità con cui i loro personaggi reagiscono l'uno alle provocazioni dell'altro, fino a raggiungere quella dimensione di confidenza e di fiducia che sarà il prodromo di un imminente "passaggio di testimone". Al contrario, allor quando abbandona i due protagonisti per immergersi nelle analessi ambientate in Argentina, con la dittatura di Jorge Videla e gli ambigui rapporti fra Bergoglio e il regime militare, la pellicola tende a perdere ritmo e ad assumere un tono più didascalico, pur aggiungendo interessanti sfumature ad un ritratto morale in cui non mancano cupe pennellate di rimorso.

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Conclusioni

Pur con qualche concessione umoristica più accentuata (l’epilogo davanti alla finale dei Mondiali), il film di Fernando Meirelles utilizza le conversazioni private fra il Pontefice tedesco e il suo successore come strumento per elaborare una riflessione sul peso e la posizione della Chiesa nella società nuovo millennio e sul contrasto apparentemente insanabile fra tradizione e modernità. Come indicato nella nostra recensione de I due Papi, la sfida di Meirelles e di McCarten può dirsi vinta quasi su tutta la linea, e ci consegna fra l’altro uno dei più superbi duetti recitativi dell’intero 2019.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • L’intelligenza dello script di Anthony McCarten, in grado di amalgamare profondità, realismo e numerosi spunti di ironia.
  • L’efficace regia di Fernando Meirelles, che riesce a infondere tensione ad un film tutto imperniato sui dialoghi.
  • Le magistrali prove d’attore di Jonathan Pryce ed Anthony Hopkins, entrambi perfetti nei rispettivi ruoli.
  • La capacità di disegnare un intrigante “dietro le quinte” del pontificato di Benedetto XVI e del suo “gran rifiuto”.

Cosa non va

  • Le sezioni dei flashback sull’Argentina degli anni Settanta e Ottanta, che risultano eccessivamente lunghe e didascaliche.