Recensione Azur e Asmar (2006)

Una favola moderna e fortemente attuale, capace d'incantare per la bellezza e la purezza delle immagini, e al tempo stesso in grado di suscitare profonde e quanto mai attuali riflessioni.

I colori della tolleranza

Con uno stile d'animazione asciutto e decisamente tendente al figurativo (le influenze della scuola nipponica non sembrano averlo minamene contagiato) Michel Ocelot, al suo quarto lungometraggio dopo i successi di Kirikù e la strega Karabà (1998), Principi e Principesse (2000) e Kirikù e gli animali selvaggi (2005), ci regala una fiaba che colpisce il cuore e la mente.

Azur e Asmar, presentato in anteprima al Festival di Cannes e recentemente alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città, racconta attraverso un'animazione 3D semplice ed essenziale, la storia di due bambini, uno biondo con gli occhi azzurri (Azur) figlio del castellano, l'altro moro con gli occhi neri (Asmar) figlio della nutrice, cresciuti come fratelli da piccoli e poi separati da ragazzi. Azur, tuttavia, non può dimenticare i suoi "amici d'infanzia" e, soprattutto, non può scordare i racconti sul "paese al di là del mare", né tanto meno la storia della Fata dei Jinns che è stata imprigionata e che bisogna liberare. Così diventato adulto decide d'imbarcarsi e di tentare il grande viaggio. Saranno molte le disavventure alle quali andrà incontro, l'impatto con il paese straniero non sarà facile, e i suoi occhi blu (lì portano sfortuna) non gli renderanno la vita semplice. Alla fine, però, grazie anche all'aiuto del simpatico e buffo personaggio di Rospù, riuscirà a ritrovare sia la sua nutrice che il fratellastro Asmar. L'ultima parte della storia, poi, è dedicata al viaggio e alle prove che i due protagonisti dovranno affrontare per liberare la Fata dei Jinns e realizzare il sogno con cui sono cresciuti fin da quando erano bambini.

Come ogni fiaba che si rispetti, anche questa, raccontata con grande sensibilità dall'animatore, illustratore, autore e regista francese, procede su un doppio binario: quello del racconto in sé, e quello simbolico, in cui entrano in gioco tutti i discorsi relativi al rapporto tra l'occidente e il mondo arabo, ai differenti modi di vedere le cose, d'interpretare la vita. Il fatto che il regista stesso, dopo aver visto i natali in Costa Azzurra, abbia vissuto la sua adolescenza in Africa (Guinea) prima di ritrasferirsi definitivamente in Francia, lo ha reso particolarmente sensibile al tema del dialogo tra culture diverse. In questo senso la pellicola è piena di messaggi positivi e non è un caso che Ocelot abbia deciso di prendere a modello per la sua storia la civiltà islamica medievale: splendida nei suoi colori, vivace, ricca di profumi e di cose meravigliose, e soprattutto capace di accogliere persone provenienti da un altro paese e con un diverso credo religioso. La sequenza in cui la piccola principessa mostra ad Azur la sua città, facendogli vedere in rapida successione la moschea, la sinagoga e una chiesa cattolica da questo punto di vista è emblematica. Il modello auspicato dal regista francese è quello di un mondo in cui la convivenza tra culture diverse sia pacifica e non conflittuale, armoniosa e non bellicosa. In questo senso il personaggio della nutrice appare centrale. Sarà lei infatti che avrà il compito di far crescere Azur e Asmar in armonia amandoli e trattandoli allo stesso modo, e sarà ancora lei a stemperare gli atteggiamenti di ostilità che i suoi concittadini e servitori avranno nei confronti dello "straniero" Azur al momento del suo arrivo e, infine, sarà ancora lei a fare da paciere tra i due giovani e a smorzare il loro atteggiamento a volte eccessivamente competitivo.

Nel segno del dialogo e dell'armonia tra occidente ed Islam, Ocelot decide di sviluppare il suo racconto utilizzando un doppio linguaggio: il francese (doppiato nell'edizione italiana) e l'arabo. Durante il periodo della loro infanzia, infatti, la nutrice comunica con entrambi i bambini nella loro lingua madre, in francese con Azur e in arabo con Asmar, con il risultato che tutti e due i ragazzi sono alla fine in grado di parlare perfettamente le due lingue, e di comunicare tra di loro indifferentemente con l'una o l'altra lingua. Durante il procedere del racconto poi, i due linguaggi vengono spesso usati in successione, prima il francese e poi l'arabo, in modo da non rendere necessari i sottotitoli. Oltre che risultare efficace per la messa in scena e donare al film un tocco di grande eleganza formale la scelta del regista appare carica di un significato simbolico che ci riporta al dialogo tra culture diverse.

L'eleganza formale e sostanziale di questa fiaba rappresentano uno dei punti di forza del film, a cui lo stile dell'animazione 3D contribuisce in maniera determinante. Le 1300 scene di cui si compone l'intera pellicola sono il frutto di un lavoro protrattosi per circa sei anni e risultano curate nei minimi dettagli. Sotto questo aspetto Ocelot si muove in controtendenza rispetto all'uso che storicamente è stato fatto e si fa del tridimensionale preferendo alla spettacolarità e alle immagini ad effetto, la purezza espressiva e la semplicità. Anche la scelta di usare una colorazione pastello va esattamente in questa direzione.

Una favola moderna e fortemente attuale, capace d'incantare per la bellezza e la purezza delle immagini, e al tempo stesso in grado di suscitare profonde e quanto mai attuali riflessioni.