Il cosiddetto cinema di impegno civile è stato un sottogenere importante nella Storia del nostro Paese dal Secondo Dopoguerra fino, più o meno, alla fine del secolo scorso, salvo poi ridimensionarsi a poco a poco. Probabilmente con la sola eccezione del fenomeno C'è ancora domani, ad esso ascrivibile in una certa misura.
È stato importante perché in passato si avvertiva una certa urgenza nel riabilitare il linguaggio cinematografico come espressione di libertà, usandolo per occuparsi di aspetti scomodi che ci riguardavano da vicino e anche perché è stato sostenuto da una folta schiera di autori specializzati. Tutte cose che sono andate man mano scomparendo. Tra gli ultimi esempi il più importante è, ancora oggi, I cento passi di Marco Tullio Giordana, uscito ormai 25 anni fa e di nuovo in sala dal 1 dicembre con FilmClub Distribuzione, restaurato in 4K.
La pellicola, basata sulla vita di Giuseppe "Peppino" Impastato, un attivista membro di Democrazia Proletaria ucciso da Cosa Nostra il 9 maggio 1978, è stata l'ultima ad avere un impatto reale sull'immaginario popolare perché ha dato vita a qualcosa di più grande di un simbolo della lotta alla mafia: un simbolo generazionale. Oltre ciò, il titolo ha segnato il debutto di Luigi Lo Cascio e lanciato definitivamente la carriera del cineasta milanese.
La genesi de I cento passi
La carriera di Marco Tullio Giordana inizia sulle orme di coloro che hanno fatto grande il nostro cinema, nello specifico Rodolfo Sonego, uno dei più grandi sceneggiatori italiani di tutti i tempi, per il quale comincia a fare il ricercatore. L'esperienza con lui lo porta nel processo di lavorazione del documentario Forza Italia! di Roberto Faenza, lo stesso che poi produrrà il suo debutto, Maledetti vi amerò, un film sul terrorismo e la sulla crisi ideologica del '68 che vinse il Pardo d'oro.
Il canonico "sguardo sugli altri" del cinema di Giordana cominciò a formarsi da lì, anche se, andando avanti, esso comincia a posarsi sempre di più su di noi, sviscerando gli episodi tragici del nostro Paese e le loro radici per ripresentarceli in modo da analizzare l'eco che hanno nel presente. In questo senso I cento passi è stato il suo film più riuscito perché, oltre a trovare una storia tragica e significativa, è stato in grado di toccare delle corde di sensibilità molto presenti nella cultura italiana con un linguaggio cinematografico tra l'epica e l'antropologia. Che è poi il sunto del cinema di impegno civile.
Già il titolo, il numero di passi che occorreva fare a Cinisi per arrivare dalla casa della famiglia Impastato e quella del famigerato boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti, indica questa sintesi in cui si cerca una certa evocatività connaturata nel realistico più afferrabile e basso, come può essere la misura di una strada di una cittadina siciliana. Lo sguardo sugli altri diventa uno sguardo che cerca l'oltre in ciò che c'è di più vicino.
Impastato, simbolo di una generazione
I cento passi è un film che serve per scuotere dalla passività e dall'omertà che nasce presentando metodicamente una storia vera e familiare e solo dopo ampliare lo sguardo, mostrando come il valore sociale di ciò che si racconta nasce dalla dimensione privata. Un privato che era quello di Impastato come poteva e può essere quello di ognuno di noi.
Peppino era un ragazzo che affrontava le più o meno comuni difficoltà nell'emanciparsi, che si misurava con il canonico scontro con la figurava paterna e che cercava se stesso nella consumazione di un senso di colpa persecutorio. Persecutorio come la consapevolezza di stare cenando poco distante da un boss di Cosa Nostra, che si faceva beffe di tutto ciò di cui lui e i suoi coetanei avevano disperatamente bisogno, arrivando fin dentro la sua famiglia. Dentro questa dinamica architettata da Marco Tullio Giordana c'è tutto quello che può facilmente essere universale per chi è animato da un sentimento revanscista.
Il tragico sta nelle scelte del protagonista, interpretato al meglio da un Luigi Lo Cascio indimenticabile, simbolo di una generazione intera, del suo sentimento e del suo desiderio di lotta per opporsi al proprio triste destino. Consapevole che il triste destino stava proprio nel suo vedere la lotta come una necessità. I cento passi, imparando soprattutto dalla lezione di Rosi e Damiani, porta in scena tutto questo trovando nel racconto di mafia il chiavistello definitivo per entrare nella mente di uno spettatore sensibile a tale argomento e acquisisce così una voce come non si sono viste più dopo nel suo sottogenere nella nostra tradizione.