Vogliamo iniziare questa recensione di Hollywood affrontando subito la questione più spinosa: è vero, la miniserie che vede la seconda collaborazione tra Ryan Murphy e Netflix (dopo The Politician) sembra in qualche modo riprendere l'idea dell'ultimo film di Quentin Tarantino, ovvero una personale, ideale e fantasiosa rielaborazione del vecchio sfavillante mondo del cinema losangelino. Ma è bene dire che le somiglianze sono davvero molto sottili, perché l'intento dei due autori è ben diverso, così come lo è, ovviamente, anche il risultato finale.
Se C'era una volta a... Hollywood vuole essere soprattutto un omaggio ad un mondo che non esiste più, l'Hollywood di Ryan Murphy è un vero e proprio tentativo di immaginarne uno che in realtà non è proprio mai esistito, nemmeno lontanamente. Sì, anche il film di Tarantino nel finale divergeva dalla realtà, non mostrando però quali sarebbero state le conseguenze di quel "what if", che lasciava semplicemente alla nostra immaginazione. In questa serie Ryan Murphy fa l'esatto opposto: prende la vecchia e sfavillante Hollywood dei ricordi, ma la guarda e la racconta con gli occhi e la consapevolezza di oggi. Il risultato è una serie che avvince e intrattiene proprio grazie al suo buonismo, alle sue esagerazioni e al suo essere assolutamente implausibile e fuori da ogni contesto; ovviamente, per questi precisi motivi, è anche facilmente attaccabile e criticabile soprattutto dagli spettatori più cinici.
(Non) C'era una volta a Hollywood: una trama da fiaba
Siamo nel 1947 e nella città dei sogni sono in tanti a tentare una carriera nello show business e a cercare di diventare una stella del cinema. Tra questi c'è anche il giovane regista esordiente Raymond Ainsley, un ragazzo talentuoso che ha sempre avuto una fascinazione e un'attenzione particolare per coloro che non ce l'hanno mai fatta a sfondare, come ad esempio l'attrice Anna May Wong, la prima star asiatica di Hollywood che nella sua carriera ha subito tante ingiustizie. O Hattie McDaniel, la celebra Mami di Via col vento, premiata sì con l'Oscar ma troppo poco considerata a causa del colore della sua pelle. Anche la fidanzata di Raymond, la splendida Camille Washington, è afroamericana, nonché una delle giovani attrici più brillanti e promettenti dei fittizi Ace Studios. Il loro sogno sarebbe riuscire a produrre un film sulla tragica, vera storia di Peg Entwistle, una giovane attrice che un decennio prima si suicidò gettandosi dalla monumentale scritta Hollywood(land).
Ovviamente, così come loro, ci sono tanti altri che sognano ad occhi aperti e aspettano che arrivi il loro momento: come lo scrittore (sempre di colore) Archie Coleman, l'ex soldato Jack Castello, la biondissima Claire Wood ed una futura star quale Rock Hudson. Per tutti loro le difficoltà sono sempre le stesse, farsi notare e riuscire a convincere i potenti capi degli studios, ma ovviamente alcuni sono più avvantaggiati degli altri, e non solo per il loro talento. D'altronde quando ad avere il potere sono sempre i soliti uomini bianchi gretti e dalla mentalità ristretta, come si può pensare che dei veri e propri outsider possano riuscire a coronare il loro sogno, giusto? E invece no, perché lo scopo di questo nuovo progetto di Ryan Murphy è proprio quello di riuscire a sorprendere e rovesciare ogni nostra certezza. Provare ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se alle persone di colore, agli omosessuali e alle donne fosse stata data anche solo una piccola possibilità in più. Se, insomma, quello che ancora oggi molti riescono a fatica a cominciare ad accettare, fosse stato stato alla base di una vera e propria rivoluzione più di settant'anni fa, quando Hollywood era nella sua età d'oro.
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Cambiare il cinema per cambiare il mondo
Se a molti tutto questo sembrerà terribilmente ingenuo e buonista, beh, possiamo capirlo, perché in fondo lo è. Questa serie può contare su personaggi affascinanti, scenografie sfarzose e dialoghi spesso brillanti; di certo però non si può dire che la verosimiglianza sia il suo punto di forza, né tanto meno l'equilibrio: esattamente come in tante altre opere di Ryan Murphy, anche in Hollywood ogni cosa è portata all'esasperazione, senza vie di mezzo, prendere o lasciare. Ma ciò non toglie che all'interno della trama e dello script si celino alcune interessanti riflessioni sul potere che l'arte cinematografica ha avuto sulla società occidentale dello scorso secolo e di come fin troppo spesso si sia abusato di questo potere per fare in modo che certe "minoranze" rimanessero di fatto tali per molto, molto tempo.
Se Quentin Tarantino con Bastardi senza gloria e C'era una volta a... Hollywood ci aveva mostrato il potere salvifico, e quasi magico, del cinema, qui si racconta di come questo potere sia stato spesso abusato, in tutti i modi possibili. In Hollywood, ovviamente, non si parla mai esplicitamente di temi come il #metoo, lo scandalo Weinstein o #oscarsowhite, ma è evidente che tutto il progetto sia chiaramente figlio di quanto successo in tutti questi anni e che voglia in realtà mostrarci come nulla di tutto questo sia una novità di adesso, ma di come abbia radici molto profonde ma, per certi versi, anche molto diverse da quelli che forse molti immaginano. Non è un caso che Ryan Murphy insista tantissimo sul tema dell'omosessualità celata, dei ben noti abusi da parte del potentissimo talent agent Henry Wilson, e su alcune attività da gigolò che realmente avevano caratterizzato quegli anni ma di cui si è sempre parlato, anche decenni e decenni dopo, troppo poco. La Hollywood di ieri, insomma, non era poi tanto meglio di quella di oggi, semplicemente si era più bravi magari a nasconderle certe cose. Ma se invece ci fosse davvero stato qualcuno in grado di cambiare il sistema, cosa sarebbe oggi del cinema e del mondo che conosciamo?
Per Ryan Murphy un cast di fedelissimi e qualche bella novità
Come tutte le serie che si rispettino, anche Hollywood vive dei suoi personaggi e in questo senso ha diversi assi nella sua manica, soprattutto perché all'evidente divertimento dei suoi autori aggiunge un cast di altissimo livello che finisce col nobilitare ogni singola scena. La maggior parte delle star proviene dalla "scuderia" di Ryan Murphy: Darren Criss l'abbiamo già visto e apprezzato in Glee e American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace, mentre rispettivamente da Pose e The Politician arrivano Jeremy Pope e David Corenswet; Dylan McDermott e la leggendaria Patti LuPone li abbiamo già visti nelle passate stagioni di American Horror Story, ma qui si fanno amare con due personaggi dal grande carisma e costruiti a pennello su di loro. I nostri due preferiti di tutto lo show sono però Joe Mantello e Jim Parsons, entrambi già al lavoro con Ryan Murphy nel premiatissimo The Normal Heart, e qui alle prese con due personaggi assolutamente complementari che insieme racchiudono il cuore e il significato dell'intero progetto.
Per quanto riguarda coloro che invece fanno il loro esordio nell'universo di Ryan Murphy è impossibile non citare sia Samara Weaving che Laura Harrier, entrambe attrici tra le più quotate della loro generazione, e l'altrettanto giovane Jake Picking a cui spetta l'onore e l'onere di (re)interpretare una vera star quale Rock Hudson. Anche in questo caso però, ancora più che i giovanissimi, sono state le vecchie guardie Holland Taylor e Rob Reiner ad averci conquistato. Forse anche questo è un messaggio del caro Ryan Murphy, quasi a dire che qui ad Hollywood quello che conta più di ogni cosa non sono bellezza e gioventù. Come dite, siamo ingenui? Forse sì, ma fantasticare non costa nulla, soprattutto nella città dei sogni.
Conclusioni
Come già scritto nella nostra recensione di Hollywood, la serie di Ryan Murphy è destinata a dividere e far discutere fin dalla sua premessa. Di sicuro non è una serie che potrà soddisfare in pieno chi si aspetta una ricostruzione storica rigorosa e precisa. Si tratta però di un progetto chiaramente molto sentito dagli autori, oltre che dagli attori stessi, e che proprio per questo motivo riesce a trasmettere quella passione che da sempre ha contraddistinto le loro brillanti carriere. Se siete pronti a farvi trascinare da un vortice di buonismo e ottimismo, Hollywood potrebbe rappresentare una piacevolissima sorpresa. Per tutti gli altri... beh, c'è sempre Viale del tramonto.
Perché ci piace
- Scenografie, costumi e trucco - sebbene a volte volutamente anacronistici - riescono a trasportarci in una coloratissima e sfavillante Hollywood del dopo guerra.
- Quasi tutti i personaggi, sia principali che secondari, sono ben caratterizzati e crescono episodio dopo episodio. Merito soprattutto dell'ottimo cast, in cui spiccano soprattutto un sorprendente e atipico Jim Parsons e i carismatici divi di Broadway Joe Mantello e Patti LuPone.
- La storia, per quanto facilmente intuibile fin da subito, è comunque appassionante e autoconclusiva: le sette ore di visione volano.
Cosa non va
- La scrittura non è sempre eccelsa, anche a causa di alcune scelte narrative ben precise, funzionali allo scopo ultimo del progetto, ma forse poco rispettose dell'argomento o del periodo storico.
- Chi in un'opera "in costume" ama realismo, autenticità e coerenza, difficilmente potrà apprezzare questo Hollywood.