Settimo passaggio in concorso a Cannes per il veterano Michael Haneke. A chi lo accusa di occuparsi poco dell'attualità, il regista austriaco risponde confezionando Happy End, pellicola implacabile che racconta la crisi dei migranti attraverso l'indifferenza ostentata di una famiglia borghese del nord della Francia. Jean-Louis Trintignant torna a lavorare con Haneke nel ruolo del cinico patriarca del nucleo composto da Isabelle Huppert, Mathieu Kassovitz, Toby Jones e Fantine Harduin. A chi gli obietta come la sua visione della famiglia, in Happy End, appaia terribilmente cupa, Michael Haneke risponde con un risata: "Ma come? Io la trovo molto realista".
Il regista, alla quarta collaborazione con Isabelle Huppert e alla seconda, dopo Amour, con Trintignant, confessa di aver pensato fin da subito ai due interpreti: "Mentre scrivevo la sceneggiatura, il mio obiettivo era convincere ancora una volta Jean-Louis e Isabelle a lavorare con me. Sono un regista fedele e pensare a interpreti come loro mi aiuta a trovare la giusta ispirazione". La stima, naturalmente, è ricambiata. Trintignant dichiara convinto: "Sono fortunato a lavorare con Michael, è il miglior regista con cui abbia mai collaborato. Adoro il suo cinema, è sempre così inaspettato, sconvolgente. E' fantastico, ho scoperto la sua opera tardi, ma adesso adoro il suo lavoro. I suoi film sembrano così semplici, ma sono implacabili. E poi sul set lavorare con lui è un piacere. Michael è il primo regista che non pensa a fare in fretta, ma mi dice sempre di predermi tutto il tempo di cui ho bisogno".
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Isabelle Huppert, musa indomita
L'ironia amara della situazione che vive la Francia spaccata in due tra migranti che lottano per un futuro migliore e cittadini benestanti arroccati nella difesa dei loro privilegi è un ingrediente che appartiene alla visione di Haneke e stavolta emerge con maggior incisività in un film radicato nel presente. "Finora non avevo mai inserito i social media nei miei film perché non ne avevo avuto bisogno" ammette il regista. "Il mondo è cambiato in un modo che non era previsto, i social media sono qualcosa che fa parte del mondo di oggi e quindi ho sentito il bisogno d'inserirli". Nello stesso modo Michael Haneke afferma di essersi accostato al tema dell'immigrazione nel modo più naturale possibile: "Non voglio essere io a spiegare la presenza del tema dell'immigrazione nel film, credo che questo sia il lavoro dello spettatore. Quando ho un'idea cerco di svilupparla in modo tale da dire qualcosa sulla società con il mio film".
Musa di Haneke ormai da quattro pellicole, Isabelle Huppert ci tiene a sfatare un mito legato alla proverbiale freddezza del cineasta austriaco. "Non è vero che il cinema di Michael è freddo o che non c'è sentimento. Quello è il suo modo di vedere il mondo, Happy End contiene una violenza trattenuta, c'è qualcosa di incredibilmente selvaggio, ma questa è la forza del film". Parlando del lavoro di Haneke con gli attori, la Huppert prosegue: "Come per tutti i grande maestri, la libertà totale è il corollario della precisione. Michael ha il controllo totale, il suo cinema è fatto di quadri ben definiti, è la precisione del quadro. Recitare per lui è un'esperienza fisica. La sua precisione è tale da permettere agli attori di essere completamente liberi".
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Haneke il "freddo" e il lavoro con gli attori
Attore e regista, Mathieu Kassovitz conosce molto bene le problematiche della direzione degli attori. Sarà per questo che Haneke ama lavorare con lui, perché come ammette: "Gli attori che sono anche registi non creano mai problemi, non discutono mai le mie richieste perchè conoscono entrambi i lati della barricata". Kassovitz aggiunge: "Michael ci ha donato grande libertà, è sempre molto difficile per un regista controllare tutto, ma lui riesce a spingere gli attori a restituire determinate emozioni nella compostezza totale. Mi fa comprendere meglio i film che ho già visto e mi trasmette l'amore per il cinema. Da lui ho imparato moltissimo". Jean-Louis Trintignant interviene nella discussione precisando: "Penso che i film di Michael abbiano un eccezionale approfondimento psicologico. Non so se deriva dal suo amore per la letteratura o dall'influenza del Noveau Roman, ma Michael è un maestro di questa tecnica".
Cosa è cambiato in questi anni nello stile registico di Haneke? Secondo Isabelle Hupper molto poco. "Il cinema di Michael è vario nei soggetti, a volte fa film più politici, a volte film più storici, ma il suo modo d'essere e il suo stile sono rimasti gli stessi. Si interessa alle persone, ascolta quello che un attore vuole proporre, ma è soprattutto in grado di rispettare l'essenza della persona". "Per ogni film uso un metodo diverso di costruzione" precisa Haneke. "Nel caso di Happy End, per scrivere i dialoghi mi sono basato sulla costruzione delle sequenze. Siccome ci sono molte scene corali, il rischio era descrivere troppo quindi volevo raccontare i meno possibile per stimolare al massimo la fantasia della spettatore".