Dal film firmato Joe Wright nel 2011 alla serie arrivata lo scorso anno su Amazon Prime Video alla seconda stagione appena aggiunta al catalogo c'è un filo conduttore forte e evidente: David Farr, il suo autore. Hanna è nata dalla sua mente, è diventata prima un film, è stata espansa una prima volta in una serie tv e poi ulteriormente per la seconda stagione, con una visione consapevole e coerente che abbiamo avuto modo di discutere insieme a lui in una chiacchierata che è partita dall'importanza dei personaggi femminili nel mondo della serialità contemporanea e si è spinta nel dietro le quinte di Hanna 2, nella scrittura e regia condivisa con le colleghe Eva Husson e Ugla Hauksdóttir.
Hanna e le altre
**La golden age delle serie ci ha regalato molti personaggi femminili importanti. Pensi che ci sia stato un cambiamento nel modo in cui questi sono trattati?
David Farr: Non c'è dubbio che ci sia stato un grosso cambiamento dall'inizio di questo secolo e penso che il film Hanna, che ho scritto, sia stato un precursore in questa tendenza. Penso che ci siano molte copie di Hanna nei film che sono seguiti e la mia unica perplessità, se devo essere onesto, è che a volte questi personaggi siano delle specie di killer un po' freak. E Hanna non è nulla del genere. Credo che il punto di Hanna sia di creare una eroina esistenzialista, una specie di cowboy nel senso tradizionale del western, consentendo a una donna di entrare in quello spazio narrativo. È una giovane donna che non sa chi sia ed era importante darle delle abilità fisiche non solo per una questione d'azione. Se pensate ai grandi gangstar, i grandi killer, hanno sempre una qualche abilità ed è questo che permette ad Hanna di entrare in quello spazio cinematografico prettamente maschile. Ho due figlie e sin da giovanissime hanno cercato modelli che non fossero Tutti insieme appassionatamente o Mary Poppins o altri che indicano alle ragazze come dovrebbero essere. È una cosa che va combattuta, ma non si tratta di dire che le donne dovrebbero andare in giro a sparare a tutti, ma che se un uomo può farlo, allora anche le donne dovrebbero poterlo fare liberamente. Ovvero permettere che ci sia spazio per questo nell'immaginario femminile. In questa seconda stagione ho lavorato con altre donne perché affronta il tema dell'identità femminile in senso ampio. Non è solo la storia di Hanna, ma anche di queste altre apprendiste e ne abbiamo approfittato per ampliare il discorso a come funzioni l'identità femminile nel mondo moderno.
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Nella prima stagione Hanna partiva come un'eroina esistenzialista, ma ora il suo percorso è andato in direzione della vendetta e più guidato dall'emotività. Come hai collaborato con le altre sceneggiatrici per raccontare questa storia?
È stata una collaborazione importante. Per come la vedevo io, quello che stavamo esplorando era il concetto di voce femminile. Esmé è un'attrice molto impegnata politicamente, per esempio, e credo che sia un qualcosa che accade sempre più spesso. Il film Hanna si collocava all'inizio di questo percorso, in un momento in cui non si parlava ancora così tanto di questi argomenti, anche se si tratta soltanto di dieci anni fa. In questa seconda stagione non solo Hanna ha un ruolo più attivo dal punto di vista politico, ma anche il contesto lo è con tutto il discorso delle altre ragazze addestrate per essere inserito nel mondo. Il tutto è intrinsecamente politico, non c'è bisogno di dichiarare che lo sia. E perciò per me è stato naturale esplorare questi aspetti insieme a delle scrittrici, perché inevitabilmente aggiungono la propria voce politica. Non volevamo fare la predica, alla fine si tratta di un action thriller, ma parla di identità ed ha le sue sfumature politiche. Alla fine io sono uno scrittore politico di natura. Ma quando abbiamo iniziato a scrivere questi personaggi, le altre autrici hanno messo sul tavolo cose che non avrei mai pensato e questo è lo scopo di avere una collaborazione tra vari autori: non si tratta di imitare lo stile dello showrunner e quello che lui scriverebbe, ma permettere a ogni voce di dare il suo contributo. Ovviamente io mi occupo di guidare il racconto, è il mio ruolo ed è quello che faccio, ma per la natura della stagione, e penso in particolare al blocco centrale ambientato nel luogo in cui questa ragazze si addestrano, ho dato alle altre autrici l'opportunità di esplorare questi personaggi e svilupparli. Hanno tutte un background teatrale, come me del resto, e penso che sia importante in questo caso, perché una storia d'azione può sfociare facilmente nel cliché e l'attenzione ai personaggi può salvarti da questa deriva.
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Espandere il mondo di Hanna
Per la seconda stagione hai un team di registi diverso e tu stesso hai diretto due episodi. Come hai scelto le tue collaboratrici e come avete lavorato per costruire insieme Hanna 2?
La televisione si affida sempre al primo regista per definire una struttura. Ovviamente noi avevamo già una prima stagione e un riferimento importante è quello che ha fatto Sarah Idina Smith, la regista degli episodi iniziali della serie, perché ha creato questo ambiente filmico combinato all'approccio psicologico molto intimo, tenendosi molto vicina ad Hanna, ma allo stesso tempo capace di fornirci il contesto. E credo che l'abbiamo mantenuto con Eva Husson, che è molto intima e l'ho voluta per i suoi film in Francia e la sua tendenza naturale a esplorare la psicologia femminile. Era molto interessata all'intimità di Hanna e Clara, in particolare nel primo episodio nella foresta. È una regista molto istintiva e capace di un'attenzione ai momenti e ai giovani attori. È stata brava a sintetizzare questo approccio da film indipendente molto europeo con la logica del processo produttivo televisivo, che era necessario. Ugla Hauksdóttir, la regista islandese che si è occupata della parte centrale, viene dallo stesso background, dalla stessa tradizione europea di saper cogliere i momenti e approfondire i personaggi attraverso di essi, ma ha anche una preparazione americana nel racconto e nel cinema classico. E poi ci sono io, che sono probabilmente il più classico del trio e ho cercato di fare qualcosa di simile. I miei episodi sono i più narrativi della stagione ed è forse la ragione principale per cui ho scelto di occuparmene in prima persona, perché mi è sembrato che in quelli fosse dominante quell'approccio classico hollywoodiano, la tensione, il tempismo delle rivelazioni, mentre nei precedenti la componente thriller era più interiorizzata. È comunque il tono dominante, che si esteriorizza negli ultimi due episodi diventando un thriller assoluto.
Sin dalla prima stagione c'è una forte mitologia in Hanna. Puoi anticiparci qualcosa di una possibile terza stagione? Ci sono voci che sia già stata confermata... ci sarà un terzo atto, vero?
Quel che posso dire è che non è ancora confermata. Siamo speranzosi, perché ho tutto in mente sin dall'inizio. Se ho scelto di fare la serie non è per rifare quello che è stato il film. Siamo partiti da lì ovviamente e la prima stagione racconta più o meno la stessa porzione di storia andando un po' oltre, ma Hanna 2 va oltre e nella mia mente c'è un terzo atto. Niente però è sicuro, perché stiamo vivendo un periodo strano e niente appare certo. Mi sta piacendo espandere il mondo di Hanna oltre il film e la parte che più mi piace della seconda stagione è il Meadows, un ambiente totalmente nuovo, che non è distopico in senso classico, truce e cupo come appariva alla fine della prima stagione. È stranamente bello e pittoresco, terribilmente inglese, e ospita queste ragazze che stanno imparando a essere delle assassine, ma anche a essere americane. È qualcosa che avevo in mente da tantissimo tempo. Perché stanno sviluppando questi bambini? Qual è il piano? Ho un'idea in mente che il film non ha affrontato e vedere quell'idea prendere vita è il piacere di questa stagione in particolare.
Quando pianificato i contenuti della stagione, come decidete il ritmo e l'equilibrio tra azione e attenzione ai personaggi senza cadere nella trappola di trascurarli?
Per esperienza ti dico che è importante aver pianificato la storia, è necessario avere un forte senso narrativo di dove si sta andando. Ho iniziato il viaggio di Hanna ed Erik con un'idea chiara della direzione che avrei preso, se me l'avessero permesso. Per quanto riguarda l'equilibrio, non credo che sia un qualcosa di conscio, non pensi "qui devo mettere un combattimento". Naturalmente in questo tipo di storia il conflitto tra i personaggi arriva a punti in cui lo scontro è inevitabile e lotteranno perché entrambi sono capaci di farlo. Tu e io discuteremmo e basta, ma non è quello che farebbero loro, perché sono troppo bravi a combattere e portano il conflitto a un livello dal quale noi ci terremmo lontani. Ma è necessario che ci sia la stessa intensità emotiva. La posta in gioco è sempre stata molto alta in Hanna perché c'è qualcuno, di cui ancora non sappiamo molto, che è dietro questa organizzazione, c'è quella sensazione che esista un piano di lungo termine per queste ragazze e che si sia investito molto su di loro e si farebbe di tutto per impedire che qualcuno possa rovinare questo progetto. Erik l'ha fatto portando Hanna nella foresta, fuggendo e correndo dei rischi. Il motivo per cui questa serie è un tale piacere da scrivere è che, messa semplicemente, Hanna è il vero rischio per questa organizzazione e la posta in gioco resta sempre altissima. Le persone cambiano, guardate l'evoluzione di Marissa per esempio, ma i pericoli attorno a loro restano. Non pensiamo mai che abbiamo bisogno di una sequenza d'azione dopo 26 minuti perché è quello che la gente vuole, ma è un pensiero inconscio che ci portiamo dentro perché è la natura di Hanna. Può uccidere la gente. Può sembrare una giovane americana, ma è capace di uccidere. Quindi questa idea è qualcosa di sempre presente, anche se non ci pensiamo in modo consapevole.
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Crescere e trovare la propria identità
Hanna si muove tra mondi e situazioni diverse. Come lavorate per scriverne?
Nella prima stagione c'erano due mondi molto distinti, da una parte il mondo freddo di Erik e Marissa, un thriller europeo monocromatico da tutti i punti di vista, cupo e segnato da una storia terribile per entrambi i personaggi. E poi c'era il mondo normale, quello dell'amicizia con Sofia, con Hanna che si muove da uno all'altro. Nella stagione due ci sono molti più mondi, perché Hanna sta crescendo rapidamente e cerca la propria identità in modo diverso. Ci diciamo spesso che nella prima stagione sta scoprendo chi è, mentre nella seconda sta decidendo chi è. E per farlo è stato necessario espandere le sue esperienze, metterla a confronto con le altre ragazze e farle capire che forse appartiene a quel mondo e che forse non sarebbe mai dovuta andar via con Erik e che quella può essere la sua casa. Queste idee sono un motore molto forte per questa stagione, mentre l'altro fattore chiave resta ancora Erik, anche se ormai è morto per il dolore. Hanna è combattuta tra l'onorare questa specie di padre da una parte ed esplorare il mondo di queste ragazze dall'altra. Il lavoro insieme alle altre scrittici ci ha permesso di trovare voci diverse per affrontare questo conflitto, più sfumature e toni diversi, e questo ha dato più colori differenti alla seconda stagione.
In questa sua decisione sulla propria identità, Hanna sembra essere meno figlia e più genitore. Sei d'accordo?
Hanna si trova in quel momento pericoloso e fragile tra l'infanzia e l'età adulta nella seconda stagione. Non è del tutto adulta, anche se a tratti pensa di esserlo e nel primo episodio cerca assolutamente di esserlo e questo si rivela un'idea sbagliata. Sta cercando di essere Erik nel primo episodio e credo che dipenda dal dolore che sta affrontando, ma questo non la rende ancora un'adulta compiuta, c'è bisogno di un processo più lungo ed è sicuramente il viaggio che deve compiere. Sta abbandonando l'infanzia e quella tela vuota che era nella prima stagione quando tutto era nuovo. Non lo è più, ha fatto molte esperienze, ma è ancora nel mezzo del processo di crescita. Le esperienze fanno male, è la natura stessa del crescere e impari dal dolore. Ma Hanna vive a un tale livello di pericolo che questo dolore può arrivare a ucciderla prima che giunga alla fine del percorso.