Il 24 ottobre 1978 arrivò nelle sale Halloween - La notte delle streghe, il terzo lungometraggio di John Carpenter. Un horror dalle ambizioni modeste, che riuscì a fare breccia nei cuori degli spettatori grazie al suo efficace minimalismo all'insegna della tensione pura e finì per generare un franchise dalla longevità paragonabile a quella del suo protagonista, l'indistruttibile Michael Myers: in quasi quarant'anni l'opera di Carpenter ha dato vita a sette seguiti, un remake targato Rob Zombie con annesso sequel e, proprio quest'anno, un nuovo Halloween di David Gordon Green che torna alle origini della saga horror, eliminando la mitologia contorta creata dal 1981 in poi e focalizzandosi sull'essenziale. Per festeggiare la doppia ricorrenza abbiamo voluto ripercorrere la storia del franchise passando in rassegna gli alti e bassi di una saga che, come il suo killer mascherato, non ne vuole sapere di morire.
Cosa ha funzionato
Il dr. Sam Loomis
Per certi versi è stata lui la vera anima del franchise fino all'uscita del sesto episodio, e il suo nome era il primo ad apparire nei credits fino al 1995. Parliamo dell'attore inglese Donald Pleasence, nucleo "umano" della saga già nel prototipo di Carpenter, dove il suo personaggio, lo psichiatra Sam Loomis, spiega la vera natura di Michael Myers: non è un giovane disturbato, ma semplicemente l'incarnazione fisica del male puro. La presenza di Pleasence regalò un minimo di dignità anche ai sequel, sempre più ridicoli sul piano narrativo, e persino Halloween 20 anni dopo, che doveva concludere la saga nelle intenzioni dei partecipanti, non poté astenersi dal menzionarlo nel prologo, con tanto di cameo vocale nei titoli di testa (ed è stato confermato che sentiremo ancora la sua voce, imitata da un doppiatore, nel film di David Gordon Green). E sebbene il compianto Christopher Lee, a cui la parte fu offerta inizialmente, abbia affermato che il suo rimpianto professionale più grande fu il rifiuto di quel ruolo, è difficile immaginare un altro attore al posto di Pleasence, che trattò il materiale con rispetto e passione anche quando non c'era motivo di farlo. Persino il remake di Rob Zombie, che ha fondamentalmente snaturato il franchise, ebbe l'intuizione giusta nella scelta dell'interprete di Loomis: l'istrionismo di Malcolm McDowell conferisce al nichilismo del dittico di Zombie un fattore entertainment non trascurabile.
Leggi anche: Christopher Lee: 10 ruoli indimenticabili
La colonna sonora
Stando allo stesso John Carpenter, le prime proiezioni test di Halloween - La notte delle streghe non andarono benissimo, perché mancava un elemento imprescindibile: la colonna sonora. Il cineasta facendo tesoro di una lezione imparata a suo tempo dal padre musicista, giocò con alcune variazioni di un tema semplice, di cinque note, e scrisse l'intero accompagnamento musicale in appena tre giorni. Se si pensa ad Halloween e all'universo di Michael Myers, le immagini sono inscindibili da quel tema brutalmente semplice, incalzante, che carica di tensione anche le sequenze più apparentemente banali e segnala l'arrivo ineluttabile della forza omicida che è Michael. Tutti i film successivi (escluso Halloween III - Il signore della notte, dove Myers non appare) si sono divertiti a reinventare parzialmente l'identità sonora della saga, senza però mai allontanarsi da quell'essenza elementare, la cui ripetizione non può non far venire i brividi. Non per niente, quando Carpenter ha approvato la realizzazione del nuovo film, gli è stato chiesto di tornare a firmare le musiche, un incarico che lui ha accettato con piacere, fondendo il classico e il moderno nel ritorno di uno dei brani cinematografici più celebri al mondo.
Jamie Lee Curtis
Al di là della partecipazione attiva di Carpenter, la notizia che ha maggiormente scatenato l'entusiasmo dei fan per quanto riguarda il film di Gordon Green riguarda la presenza di Jamie Lee Curtis, storica interprete di Laurie Strode, oggetto principale della furia ossessiva omicida di Michael. Anche lei, come Pleasence, non ha mai trattato il franchise con sdegno, anche quando le fu chiesto, per obblighi contrattuali, di apparire in Halloween la resurrezione. Vulnerabile e al contempo agguerrita, virginale nel primo film e poi figura materna nei sequel (nella versione del 2018 è diventata nonna), l'attrice, una delle più grandi scream queen del cinema, ha dato all'eroina centrale del franchise l'umanità giusta per contrastare il male assoluto che è Michael, un aspetto che nel remake, dove Laurie ha le fattezze non altrettanto solide di Scout Taylor-Compton, è stato portato al massimo del simbolismo dando al personaggio il vero nome di battesimo Angel.
Elegante semplicità
Molte intuizioni narrative e/o registiche nacquero da esigenze pratiche legate al budget piuttosto misero, ma il fascino dell'Halloween originale sta proprio nella sua elegante, brutale semplicità: un film lineare, fluido, dove tutto è studiato con l'unico scopo di arrivare dritto al punto e regalarci una tensione costante, senza spiegazioni eccessive o fiumi di sangue. Come il suo antagonista senza voce, il film procede con un ritmo sostenuto e implacabile, senza dilungarsi in chiacchiere inutili, e rimane impresso nella mente anche dopo che hanno finito di scorrere i titoli di coda e abbiamo sentito le ultime note del tema musicale. Perché Halloween, il primo, è esattamente come Michael: è spuntato dal nulla, ci ha trafitto senza pietà e non morirà mai.
Leggi anche: Babadook e gli altri: 10 film indipendenti che hanno trasformato il cinema horror
Cosa non ha funzionato
Mitologia, portami via
Capita, a volte, che la continuità di un franchise vacilli, ma raramente a tal punto da giustificare non uno ma due film dove gli eventi dei lungometraggi precedenti vengono annullati in toto. La prima volta fu nel 1998, quando si decise - saggiamente - di rimuovere gli eventi del quarto, quinto e sesto film, dove Michael tormenta la nipote Jamie Lloyd (figlia di Laurie, che in questa linea temporale è morta dopo il secondo episodio) ed è controllato da una misteriosa setta, la cui maledizione conferisce a Myers la sua presunta immortalità e lo spinge a uccidere la sua famiglia. Una svolta a dir poco contorta, la cui eliminazione tenne però conto di un suggerimento di Kevin Williamson su come integrare quei film nella cronologia del settimo capitolo: Laurie aveva finto la propria morte per poter vivere in pace. Il secondo retcon è quello che vedremo in sala quest'anno, ad opera di David Gordon Green e Danny McBride con l'approvazione esplicita di Carpenter: questa volta, sono stati rimossi tutti i sequel, compreso il famigerato Halloween II - Il signore della morte dove venne svelato che Michael e Laurie erano fratello e sorella (anche se va detto che una scena del secondo film è stata replicata nel film di David Gordon Green). Un dettaglio che attenuò non poco la natura arbitraria del male rappresentato da Myers, e che ora non fa più parte del canone. Come spiegato già nel primo trailer, il rapporto di parentela tra i due personaggi, nella nuova continuità, è solo una leggenda urbana.
Leggi anche: Oscar da brivido: da L'esorcista a Scappa - Get Out, gli horror che hanno conquistato l'Academy
Halloween III
Dopo l'uscita del secondo film, dove Michael moriva definitivamente (almeno sulla carta), Carpenter e la co-produttrice Debra Hill optarono per una storia completamente diversa per il terzo episodio, dove il cattivo di turno vuole portare a compimento un rituale celtico servendosi delle maschere di Halloween indossate dai bambini. Nelle intenzioni di Carpenter e Hill, questo doveva inaugurare un nuovo filone antologico: ogni anno sarebbe uscito un film horror autoconclusivo, ambientato nel periodo di Halloween, senza alcun legame con i capitoli precedenti (tant'è che nel terzo film il capostipite viene considerato un prodotto di finzione). Questo approccio non diede i frutti sperati, poiché il pubblico non voleva vedere un film di Halloween senza Michael Myers, e così si tornò alla vecchia formula, nel bene e (soprattutto) nel male.
Leggi anche: Incubi sullo schermo: i film (non solo horror) che hanno terrorizzato la redazione
Il remake
Era inevitabile, dopo il successo di Non aprite quella porta, che gli altri franchise horror venissero travolti dalla febbre da remake, e nel caso di Halloween: The Beginning fu chiamato in causa Rob Zombie, il cui approccio è l'esatto opposto del tocco misurato di Carpenter. Un approccio che può anche funzionare nella prima parte del film, che devia dal prototipo per approfondire l'infanzia di Myers prima che lui uccidesse la sorella (e, in questa versione, anche il compagno di lei e il patrigno), ma già lì è riscontrabile il problema di fondo che si manifesta pienamente quando si passa alla sezione che è il remake vero e proprio, relativamente fedele al canovaccio originale: quella di Zombie è una rilettura nichilista, intrisa di misantropia, dove praticamente tutti i personaggi sono insopportabili e il dottor Loomis è, a tratti, decisamente più mostruoso di Michael. E pur distanziandosi dalla continuity d'altri tempi, anche questa nuova versione si portò appresso qualche contraddizione interna: il sequel, uscito nel 2009, ha senso solo se si tiene conto del Director's Cut del predecessore, anziché la versione cinematografica.