Dati alla mano, sembra che i primissimi risultati derivanti dalle vendite del nuovo film in DVD di Alex Infascelli, H2Odio, siano assolutamente sorprendenti. Incredibili se si considerano i tanti problemi che il pianeta cinema sta attraversando ormai da anni. Meno eclatanti, magari, se si attribuisce questo successo al fattore novità, dovuto alla scelta da parte della società di distribuzione 52 S.r.l. (fondata dallo stesso Infascelli) d'invertire la filiera distributiva, dando priorità alle edicole (in cui allegati e gadgets vari, nel frattempo, sono diventati più numerosi di quotidiani e periodici) e, successivamente, alle PayTv e, forse, alle stesse sale cinematografiche.
La questione pone seri interrogativi sul futuro, e sul presente, del cinema. Se quella propinata da H2Odio (con il precedente americano di Bubble di Steven Soderbergh e la coeva uscita di AD Project di Eros Puglielli, quest'ultimo in regime di autofinanziamento) sia una "formula" adeguata è difficile da dire. Se l'obiettivo è quello di riportare un po' di ossigeno nei bilanci delle case di produzione cinematografica (che, fuor di metafora, sembra facciano acqua dappertutto), bisogna comunque chiedersi che fine farà il "paziente" cinema: morirà "annegato" nel tentativo di salvare il salvabile, in una situazione di per sé critica (tra pirateria e calo del pubblico nelle sale), o dovrà aggrapparsi alla boa di salvataggio lanciata furbescamente da operazioni del genere? Catastrofismi a parte, l'idea di Infascelli ci sembra adeguata per pellicole che, avendo un atteggiamento sperimentale, non catturerebbero l'attenzione di larghe fasce di pubblico favorendo, altresì, una deleteria sperequazione tra blockbusters e film di nicchia. H2Odio, pur appartenendo a quest'ultima categoria di pellicole, è comunque collocabile nell'ambito di un genere come l'horror-thriller che in Italia può contare su parecchi proseliti. Va da sé, invece, che con il progetto della 52 S.r.l. la pirateria informatica non subisce alcun colpo, uscendone forse addirittura rafforzata, grazie al famelico peer-to-peer (quello illegale, ovviamente).
Resta quindi da stabilire se il caso H2Odio sia da considerare come uno dei tanti sintomi del malessere in cui è immerso il cinema nostrano o come una cura per lo stesso. Perché nel secondo caso la conseguenza sarebbe quella di "annacquare" lentamente la magia della proiezione in sala, impigrendo ancor di più un potenziale pubblico che alle serate al cinema preferisce altro. Nel primo caso, invece, la "malattia" non ci sembra incurabile. Autorevoli critici cinematografici, come Paolo Mereghetti, insistono da tempo su due possibili soluzioni che non portano a modificare drasticamente gli schemi tradizionali della distribuzione cinematografica: ovvero l'abbattimento del costo dei biglietti e la modifica sostanziale negli orari di programmazione. Sembrano opzioni ragionevoli che ci trovano perfettamente d'accordo, anche per gli scarsi oneri ad esse conseguenti e per gli evidenti ritorni economici che ne potrebbero scaturire. Solo queste due, tra l'altro, ci sembrano le vere due strade da percorrere per salvare il cinema, senza escludere a priori la possibilità di innovazioni distributive, più o meno ingegnose, come quella di H2Odio. Altrimenti non ci resta che aspettare altre operazioni "gemelle" di quella messa in piedi con il film di Infascelli, ed assistere impotenti ad una lotta senza esclusione di colpi. Fino a quando non ci resterà che chiedere, parafrasando la didascalia finale di H2Odio: cinema, sei tu il sopravvissuto?