Good Omens è un romanzo scritto da Neil Gaiman e Terry Pratchett, un concentrato di ironia e catastrofismo che, con uno stile umoristico tipicamente british e una sferzata di citazioni, racconta la storia di due amici secolari, l'angelo Aziraphale e il demone Crowley, che decidono di impedire l'Armageddon perché troppo affezionati alla Terra e agli esseri umani. Un libro irriverente e appassionante che, dopo ben 29 anni, ha ispirato una serie televisiva di Prime Video e BBC Two (scritta dallo stesso Gaiman), che è riuscita a catturare perfettamente l'anima del testo. Uno show che tra l'altro, trainato da un duo irresistibile formato da Michael Sheen (Aziraphale) e David Tennant (Crowley), ha fatto una scelta precisa: rimanere fedele al libro, ma adattandosi ai tempi che corrono.
Uno svecchiamento che ha portato alla realizzazione di una seconda stagione di Good Omens, nonostante la prima avesse chiuso tutti i collegamenti con la fonte originale. Mentre attendiamo l'arrivo dei nuovi episodi, previsti per il 28 luglio 2023, è il caso di riflettere sulle opportunità e i rischi di questa operazione.
La miniserie divenuta serie
Prima di andare a vedere nel dettaglio, per l'appunto, quali potrebbero essere le criticità, ma anche i punti di forza di Good Omens 2, è opportuno riflettere dapprima sulla natura stessa del prodotto. Lo show, in particolare, prima dell'uscita effettiva (il 31 maggio 2019) e anche per un paio di settimane post lancio, era stato pubblicizzato come miniserie (in gergo, limited serie) ovvero un titolo a sé che non aveva bisogno di stagioni perché incarnava perfettamente il piccolo libro di provenienza. Successivamente, a fine giugno 2021, è arrivata la notizia della seconda stagione, e, da quel momento in poi, Good Omens è diventata effettivamente una serie vera e propria, con tutti i rischi del caso. Un annuncio totalmente inaspettato che ha fatto crollare molte certezze e alimentato moltissimi dubbi sul ritorno della realizzazione che aveva già detto tutto almeno della fonte principale. La verità è solo una: il pubblico è stato, agilmente, "ingannato" e, probabilmente, gran parte del timore deriva dal fatto che l'opera si è rilevata non una semplice trasposizione, ma un'ambiziosa reinvenzione del libro.
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Lo sperimentalismo di Neil Gaiman
Per chi conosce il modus operandi narrativo di Neil Gaiman, tale approccio non deve stupire più di tanto: basta pensare, ad esempio, a quella perla nascosta di American Gods, serie ispirata all'omonimo romanzo dello stesso Gaiman che, proprio sul piccolo schermo, dalla seconda stagione in poi, ha deciso di andare oltre il selciato sfruttando il medium televisivo per ampliare la storia arricchendola con nuovi guizzi artistici. La differenza che intercorre tra i due prodotti, però, è che nel caso di Good Omens il collante con la fonte principale è già esaurito, mentre American Gods, pur portando parecchie novità, ha continuato a trattare in parallelo il materiale letterario. Ecco che quindi ci risulta difficile, in realtà, prendere anche The Sandman come esempio perché, per quanto ci siano delle intelligenti e virtuose aggiunte rispetto all'acclamato fumetto, anche in quest'occasione lo show e la fonte viaggiano ancora insieme. A conti fatti, quindi, per quanto eravamo abituati a questa filosofia artistica di stampo revisionistico, è la prima volta che l'autore si misura con un'esplorazione che va al di là dell'adattamento.
Faccia a faccia con il linguaggio televisivo
Il famoso sceneggiatore e scrittore britannico, si trova quindi, dopo anni (precisamente dal 1996, anno di uscita di Neverwhere), a doversi confrontare direttamente, senza mezzi termini, con il linguaggio televisivo. Un dettaglio che, a seconda di come lo si guarda, può essere un bene o un male. Sicuramente trovare, finalmente, qualcosa di nuovo ed originale è una conquista molto importante, specialmente in uno scenario televisivo e cinematografico pieno di reboot, sequel, remake e spin-off, ma è anche vero che le abilità narrative di Gaiman non si sono sempre adattate molto bene al mondo filmico e seriale. Tornando a parlare proprio di American Gods, c'è da dire che i momenti totalmente innovativi (senza nessun legame con il romanzo) hanno spesso portato a delle divagazioni poco organiche che hanno appesantito eccessivamente la storia e ciò deriva dal suo eclettico ed esplosivo stile di scrittura, che in alcuni casi si adatta meglio alla carta e poco allo schermo. Con un'intera stagione senza briglie o contenimenti, ecco che l'artista deve dimostrare di aver imparato a conoscere l'alfabeto corretto.
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Una trama avvolta in una coltre di fumo
Un altro elemento decisamente critico è la totale mancanza di informazioni riguardo Good Omens 2. Ad ora siamo certi, solamente, del coinvolgimento di Michael Sheen e David Tennant, oltre che di qualche parola spesa da Gaiman stesso, che ha sostanzialmente anticipato che vedremo nuovi personaggi e nuove storie, ma che ha rivelato, al tempo stesso, che qualche idea sul sequel in realtà era stata già buttata giù all'epoca con Pratchett, ma che poi non è stata realizzata. Se quindi da un lato l'ignoto, come spesso accade, ci terrorizza nel modo più assoluto, sapere che comunque si riparte da qualche punto narrativo stabile fa ben sperare perché perlomeno denota una lavorazione e riflessione continua sulla storia di riferimento. Sempre dalle dichiarazioni dell'autore, inoltre, si comprende come un'altra catastrofe sia pronta per scombinare i piani della nostra coppia preferita e ci auguriamo che, nonostante ci possa essere un incipit similare, lo sviluppo narrativo prenda una deriva differente da quello che abbiamo visto nella prima stagione.
Le giuste aspettative
In conclusione, è chiaro che Good Omens 2 è un prodotto molto delicato che potrebbe regalare tante soddisfazioni o, al contrario, rilevarsi un bluff anche alla luce dell'ottima accoglienza (di pubblico e critica) riservata alla prima stagione. Non ci dimentichiamo, però, che, al di là del risultato qualitativo effettivo, spingersi oltre i limiti che la narrazione letteraria impone, consente anche di esplorare aspetti interessanti, senza temere nessun giudizio o confronto. In altre parole, mettendo in un angolo il parere tecnico ed estetico sui nuovi episodi, si può anche semplicemente ammirare ed elogiare, allo stesso tempo, il tentativo di Neil Gaiman di espandere la sua creatura. Che poi l'avventura di Crowley e Aziraphale si rivelerà più sottotono del solito è comunque una possibilità da tenere in conto, ma con il giusto spirito, chiaramente irriverente e scanzonato, lo show potrebbe divertirci senza troppa pressione, specialmente se partiamo con aspettative coerenti con le difficoltà produttive e contenutistiche del progetto.