Recensione Tideland (2005)

Uno dei più dolci e imperdibili saggi sull'infanzia e sull'umanità, un film in grado di minare ogni minima certezza del proprio costrutto per sostituirvi il proprio punto di vista. Un film vivo. Puro. Sincero.

Gli occhi dell'Oblio

Oblio è un temine carico di connotazioni negative nell'interpretazione comune: l'Oblio è la perdizione, lo smarrimento, la mancanza di certezze. In Tideland nessuna di queste accezioni potrebbe essere veritiera, eppure questo film fà dell'oblio il suo punto cardine. Quest'inversione linguistico-semiologica è dovuta alle immense capacità del grande burattinaio Terry Gilliam, regista in grado di invertire i valori basilari del pensiero comune e di generare una propria cosmogonia fondata su presupposti antitetici alla realtà ordinaria.
Per Gilliam, la madre di tutte le inversioni è quella del rapporto sogno/incubo, la vera ambizione si manifesta negli incubi e solo attraverso l'oscurità è possibile risalire alla verità prima delle cose in modo da (non) poter superare i propri limiti e le proprie paure. Gli incubi ammoniscono, insegnano ed educano alla vita, i sogni al contrario si dissolvono nella realtà e ricoprono d'amaro la quotidianità.

L'Oblio di Tideland, seppur gerente di perdizione, accetta proprio questa perdizione come un meraviglioso viaggio attraverso un mondo demoniaco e fiabesco dove ogni oggetto o persona realmente esistente si fonde e si dissolve nel suo corrispettivo oscuro, ancora una volta carico di una disattesa luminosità abbagliante.

La realtà è acre e cadaverica, e lo stesso sentore di morte si tramuta in tenerezza e fantasia negli occhi della piccola protagonista, Jeliza-Rose (una disarmante Jodelle Ferland). Una realtà degna dei più rassegnati lamenti dal grunge di Seattle.
Una realtà avvolta in camice di flanella chiazzate d'eroina e Jack Daniels, dove la piccola cresce senza la coscienza dell'esistenza di una realtà esterna alla sua. Tutto è ordinario, il padre Noah (Jeff Bridges) che si trascina stancamente attraverso la vita come l'ultimo sfilacciamento di un laccio emostatico, la madre (Jennifer Tilly), caricatura sfatta di una ballerina di Rhino, ripiegata in se stessa come un'leone marino spiaggiato sotto il sole cocente dei tropici, in attesa di una morte che tanto odia e tanto brama. Un appartamento che esiste solo in virtù delle certosine descrizioni kafkiane d'interni.
In tutto questo, dentro tutto questo, esiste la piccola Jeliza-Rose: mentre gioca con le sue teste di Barbie dai capelli bruciati, mentre prepara la dose quotidiana per i genitori come se stesse riscaldando del latte al microonde, mentre canticchia ritornelli inventati e li diffonde nell'aria spazzando via ogni centimetro di putridume.
Nella purificazione del fuoco, richiamato da una pira funebre a baldacchino, l'hamartia può avere luogo, la storia può cominciare, ciò che è nato libero può realmente liberarsi.

Il viaggio di Jeliza-Rose e di suo padre Noah ha così inizio, un viaggio che li porterà attraverso lo specchio fin dentro alla tana del bianconiglio. Incontreranno animali parlanti (forse non parlano davvero, o forse non sono davvero animali o forse nemmeno esistono), cacciatori di squali di prateria (Dickens, interpretato da Brendan Fletcher, selezionato da Gilliam sulla base di un videotape a lui recapitato, scelto sulla fiducia per il ruolo, senza nemmeno averlo mai incontrato, ha ricompensato Gilliam con una prova magistrale), streghe necrofile (Dell, interpretata da Janet McTeer in un ruolo che capovolge il suo sorriso rassicurante mutandolo incredibilmente in un ghigno malefico rassicurante), e moltissimi altri non-esseri generati dalla fantasia di Mitch Cullin, autore del libro omonimo.
I campi di grano si tramutano in un mare infinito e pericoloso, e viene da pensare che se Gabriele Salvatores aveva definito il suo film Io non ho paura come un film girato dal punto di vista di un bambino (ricordate la scena della corsa a braccia aperte nel campo di grano?) Tideland potrebbe essere definito come un film girato con il cuore di un bambino, permettendoci di vedere quello che solo un bambino potrebbe vedere, non quello che vorremmo che un bambino vedesse.

Partendo da un testo misconosciuto (appunto Tideland di Mitch Cullin), Gilliam riesce a dar voce alla sua volontà di potenza, l'ottimo libro riesce a soggiogare il lettore fermandosi però al grado delle acide novelle che hanno fatto la fortuna di autori come Irvine Welsh. Ed è in questo momento che subentra Gilliam, con un'operazione simile a quella compiuta con Paura e Delirio a Las Vegas (tratto dal libro Paura e Disgusto a Las Vegas di Hunter Thompson), il regista riesce a mantenere intatta la linea narrativa in modo da non alterare l'originalità del soggetto, alla quale però affianca sapientemente la sua folle visionarietà e la poesia contenuta nella deformazione fiamminga del mondo. I personaggi del libro non vengono solo accuratamente trasposti ma vengono fatti esplodere in un coacervo di pulsioni che li rendono reali e vivi. Li rendono esattamente come noi, come il lato oscuro di ognuno di noi. Depravati, corrotti, perdenti eppure così innocenti ed inconsapevoli.
La visione del film spezza l'animo dello spettatore che si sente in un primo momento disgustato dalle molte scene eticamente scorrette per poi sentirsene irresistibilmente attratto e coinvolto. Sono le parti sopite dell'animo umano, quelle che nascondiamo per tutta una vita. La voglia di uccidere, di baciare un essere deforme, di imbalsamare i nostri cari (!), sono tutte cose che il nostro senso etico non ci permetterà mai di fare ma che questo film risveglia prepotentemente. Questo è l'Oblio, quello che rifuggiamo per tutta una vita pensando che sia un passo dietro di noi, senza accorgerci che da sempre è addormentato nel nostro cuore.

Tideland rappresenta una delle opere migliori del regista. E'un'opera completa, definita, infallibile. Un film che vi farà provare amore e disgusto per voi stessi. Che vi farà piangere e ridere.
Che vi farà nuovamente innamorare della vita e delle piccole cose che Roland Barthes non vorrebbe dimenticassimo.

Una piccola nota a margine, Jodelle Ferland e Brendan Fletcher devono moltissimo della loro interpretazione al tono ed all'intensità vocale dei loro personaggi, il doppiaggio potrebbe (!) penalizzare eccessivamente questo film: consigliamo quindi di reperirlo in lingua originale.