Girls just want to have fun!
Gli inglesi non godono certo della fama di essere persone calorose e disponibili. Sarà forse per il grigio cielo britannico, sempre minaccioso, che contrasta i colori delle città e manda in cortocircuito gli abitanti, formiche metropolitane sempre di corsa che si sfiorano ogni giorno con squisita indifferenza. Il fatto è che a Londra, come in qualsiasi altra città di questo mondo odierno così egoista, si ha paura anche di guardarsi negli occhi per scoprirsi indifesi di fronte ai fantasmi che si muovono negli sguardi degli sconosciuti. Ci si chiede allora se sia ancora possibile far distendere i nostri volti in una parentesi di serenità, quando le ombre che li oscurano sembrano essere sempre più potenti rispetto a quello che di buono ci tocca e che interviene a instradare la vita su percorsi più esaltanti. Chissà cosa sarà successo a Mike Leigh per fargli decidere di girare un film finalmente solare, ricco di larghi sorrisi senza essere superficiale, volto più a fotografare istanti che a raccontare una storia compiuta, perché forse è nelle storie che si annida il dolore, mentre dalle chiacchiere e dagli incontri quotidiani è più facile estrarre il lato divertente della vita.
Dopo Il segreto di Vera Drake, Mike Leigh sentiva forte il bisogno di riscattare la brutalità della sua precedente pellicola, un vero e proprio horror psicologico al femminile che aveva messo a dura prova la nostra resistenza emotiva. Il suo nuovo film, presentato in concorso al festival di Berlino, continua a parlare di donne, scegliendo però di liberarsi della pesantezza del dolore per recuperare invece quell'umorismo efficace che si insinuava spesso nelle opere precedenti, restando però sempre timidamente sotterraneo. Happy Go-lucky comincia come una commedia tutta al femminile su un gruppo di ragazze sopra le righe che passano il fine settimana a godersi la vita ballando in discoteca Common People dei Pulp, per poi scegliere di concentrarsi in fretta su un unico personaggio. Comincia così lo show dell'esplosiva Poppy, interpretata da una eccezionale Sally Hawkins, che ci mette un po' a conquistare le nostre simpatie, per via di un'allegrezza iniziale immotivata e discretamente irritante, facendoci innamorare di sé, senza più riserve, quando si fa più chiaro il suo mondo e il suo modo di affrontare i problemi con una vivacità e uno spirito irresponsabile invidiabili. Ne escono fuori duetti deliranti che vedono Poppy interagire con una serie di bizzarri, ma umanissimi, personaggi che si bagnano della luce che la ragazza emana.
Poppy, insegnante in una scuola elementare, si confronta ogni giorno con le persone che la circondano, avvicinandosi col sorriso alle loro preoccupazioni per guarirle e cercando di smontare la pigrizia di chi non sa trovare nella vita di tutti i giorni gli stimoli giusti per andare avanti. Londra fa da sfondo silenzioso (ed insolitamente semi-deserto) a queste microstorie, tra Finsbury Park e Camden Town, mentre i dialoghi brillanti ravvivati da uno humour molto più che britannico sublimano i quadretti deliziosi disegnati con bravura straordinaria da un Mike Leigh in grande forma. Il regista inglese crea una galleria di personaggi tridimensionali che rivelano debolezze e improvvisi colpi di genio, mostrando un amore per loro che non sconfina mai nell'eccesso. Bastano poche pennellate a Leigh per raccontare tutto ciò che c'è da sapere su di loro, dall'insegnante di flamenco (protagonista di una delle scene più riuscite del film) all'istruttore di scuola guida che in poche battute svelano sé stessi e i propri sentimenti. Mettendo a confronto vari tipi di insegnamento, Leigh ci ricorda come ogni buon maestro debba essere prima di tutto una grande persona che non manchi mai di entusiasmo. Colori sgargianti e fulminanti battute si fondono in una pellicola onesta che sfrutta al meglio il potere riscattante del sorriso. Una boccata d'aria fresca.