Chiunque sia o sia stato appassionato di manga conosce Masamune Shirow, autore brillante, profondo ma estremamente complesso, che ha dato vita a fumetti cupi e densi di dettagli e significati, ma stimolanti ed affascinanti. Opere fantasy/mitologiche come Black Magic e Orion, o futuristiche e tendenti al cyberpunk come Appleseed o Dominion. Rientra in questa seconda categoria quello che è forse il più celebre dei suoi manga, quel Ghost in the Shell che ha già giovato di diversi adattamenti per media diversi, dai due film diretti da Mamoru Oshii alle produzioni per la TV ai videogiochi.
Leggi anche: Cinema e videogiochi - L'attrazione (e imitazione) è reciproca
Una serie, quindi, che ha catalizzato attenzione sin dalla sua nascita e l'ha mantenuta a lungo, diventando un'ottima candidata a fare un ulteriore salto: quello verso un adattamento live action che è riuscito a coinvolgere nel ruolo della protagonista una star internazionale come Scarlett Johansson ed un budget di buon livello, assicurato anche dalla coproduzione della Paramount, adeguato a rendere giustizia al complesso mondo futuristico creato da Shirow. Un adattamento che arriverà nelle nostre sale il 30 Marzo e del quale abbiamo potuto gustare un quarto d'ora in anteprima.
Leggi anche: Scarlett Johansson, la carriera della diva dei sogni (foto)
Nascita di un cyborg
L'adattamento di Ghost in the Shell, come il manga e l'anime a cui si ispira, mette al centro del racconto un cyborg, un ibrido umano-macchina, a capo di una squadra speciale denominata Sezione 9 e dedicata a combattere pericolosi criminali ed estremisti. Una prima differenza rispetto all'originale giapponese è già nel nome di questa figura protagonista, che da Makoto Kusanagi viene ribattezzata semplicemente The Major, il Maggiore. Una variazione che, unita al casting della Johansson per il ruolo, ha fatto nascere diverse polemiche ed accuse di whitewashing per aver occidentalizzato la protagonista. Una polemica spenta dalla stessa Kodansha, la casa editrice che ha pubblicato il manga di Shirow, e da Mamoru Oshii che ha diretto i due film d'animazione: entrambi hanno approvato la scelta di Scarlett Johansson ed hanno sottolineato l'opportunità che offre di far conoscere questa storia ad un pubblico internazionale.
Una scelta che dopo i 15 minuti visti in anteprima ci sentiamo di condividere anche noi, perché la Major della Johansson ha la giusta miscela di potenza, eleganza e fascino. A lei è dedicata l'apertura del film, alla nascita, concreta e letterale, del suo personaggio: in quella che immaginiamo sia la sequenza iniziale di Ghost in the Shell, vediamo come il cervello dell'agente gravemente ferita Mira viene innestato in un corpo cibernetico essenziale e grezzo, completato poi con l'immersione in un liquido lattiginoso ed un processo che evoca in ogni senso la creazione. È un momento chiave del film e della storia, perché rappresenta e sintetizza il significato base del titolo internazionale dell'opera: Ghost in the Shell, lo spirito nel guscio, l'anima umana in un corpo sintetico.
L'estetica di Ghost in the Shell
Tale sequenza iniziale ammalia ed affascina, ma non è e non può essere il film, perché la sua messa in scena è più evocativa che narrativa, più spot che racconto: suggestiva, evocativa e simbolica, la creazione di Major, che ci viene descritto come primo esempio di questo tipo di cyborg ibridi, è il punto di partenza necessario per questa storia che non indugia oltre e passa all'azione. Una lenta carrellata in una metropoli futuristica che sa molto di Blade Runner ci accompagna fino alla Johansson subito in missione, in piedi su un tetto in attesa di entrare in azione e sventare un attentato in una sequenza che ci dà un'idea più precisa di come può essere il film di Rupert Sanders: la scena sintetizza infatti componenti da hacker, combattimenti ottimamente coreografati, ed un lavoro notevole su scenografie e robot dal design pulito che strizza l'occhio ad un'estetica di stampo orientale.
Leggi anche: Blade Runner: 10 intuizioni di un capolavoro non replicabile
Il mondo di Shirow
Le immagini potenti, chiaramente omaggianti al lavoro di Oshii, che avevamo visto nei primi trailer funzionano anche in un contesto più ampio, in sequenze costruite ed organiche. Anche i personaggi, per quel poco che si è potuto apprezzare, sembrano forti e interessanti, da Takeshi Kitano a Juliette Binoche. Quello che in 15 minuti è impossibile giudicare è il film nel suo complesso, se la struttura narrativa possa essere all'altezza di una cura visiva notevole e di grandissimo impatto. Se, soprattutto, i temi e la profondità che Masamune Shirow aveva instillato nel suo manga possano essere mantenuti in un'opera più sintetica e destinata ad un pubblico più vasto e meno appassionato. Il tema, chiave, della coscienza e della sua conservazione, l'anima del Ghost in the Shell originale, sembra essere presente anche in questo adattamento, ma va visto se e quanto sia stato affrontato a fondo, se sia il cuore del film o soltanto uno spunto per costruire un blockbuster più tradizionale di quanto sembri. Lo scopriremo solo tra due settimane, ma intanto ci sentiamo di essere fiduciosi.