Dopo un paio di domande, esce di scatto dalla finestra Zoom. Qualche secondo e ricompare, esordendo: "finalmente! Era proprio la consegna che stavo aspettando". Sì, anche Sir Gary Oldman riceve pacchi a casa. Insieme ad un gruppo ristretto di giornalisti, incontriamo l'attore per fare il punto su Slow Horses, di cui si è appena conclusa la quinta stagione. Nell'acclamata spy serie Apple TV, l'attore interpreta Jackson Lamb, il capo scorbutico e geniale della Slough House, il "cimitero" dei falliti dell'MI5. Un personaggio ruvido, sporco, corrosivo e per questo capace di entrare nel cuore degli spettatori.
Riflettendo sull'ultima stagione, Oldman spiega quanto Slow Horses sia arrivata ormai ad una certa maturità. "La quinta stagione, per me, è stata tutta sul raccogliere ciò che si semina", racconta. "Ci sono questi terroristi - o meglio, persone che usano il caos come strumento politico - che di fatto giocano con le stesse regole con cui l'MI5 operava un tempo. È un ribaltamento molto intelligente. Ci ricorda che anche chi si crede 'dalla parte giusta' può finire a usare gli stessi metodi dei nemici", e ancora, "È un'idea brillante, e il merito va tutto a Mick Herron, che nei suoi romanzi ha una capacità incredibile di far emergere l'ironia e la moralità contorta del mondo dell'intelligence. È un ribaltamento affascinante, e credo sia anche ciò che tiene viva la serie dopo così tanti anni".
Slow Horses: il successo della serie secondo Gary Oldman
Dopo cinque stagioni (la prossima è già in lavorazione), l'attore premio Oscar confessa che l'identificazione con Lamb è diventata qualcosa di profondo: "Sai, quando interpreti un personaggio così a lungo, finisce per vivere dentro di te", dice, rispondendo generosamente e gentilmente alle domande dei giornalisti. "Molto del lavoro tecnico lo abbiamo fatto all'inizio: ho incontrato ex agenti dell'MI5, ho studiato il linguaggio, i protocolli, la mentalità. Ora tutto questo è sedimentato. È come accendere un interruttore: mi basta indossare il cappotto, le scarpe, gli occhiali... e lui torna. Lo riconosco dal modo in cui cammina, dal peso sulle spalle. Non devo più pensarci. È come ritrovare un vecchio amico". Poi aggiunge con ironia: "Oggi ho fatto la prova costumi per la sesta stagione. Gli stessi vestiti, la stessa giacca spiegazzata. E appena mi sono guardato allo specchio, ho pensato: eccoti qui, vecchio bastardo. È un momento strano, quasi affettuoso".
Uno degli aspetti più divertenti del ruolo, confessa Oldman, è la totale mancanza di filtri. "Interpretare Lamb è un esercizio di libertà assoluta" confida. "In scena posso dire le cose più sgradevoli, posso comportarmi nel modo più scorretto possibile, e lui rimane credibile. È un uomo a cui non importa di nulla, ma proprio per questo può dire la verità. Non cerca di piacere a nessuno. È liberatorio, perché come attore passi la vita a interpretare persone che cercano approvazione. Lamb no. E questo lo rende paradossalmente affascinante". Poi sorride: "E c'è anche un vantaggio pratico: non devo passare ore nel trucco. Dopo anni di parrucche, protesi e make-up, è bello arrivare sul set, bere un caffè, mettere un cappotto e via. È il ruolo più comodo della mia carriera!"
Il ruolo più "comodo" dell'attore
Slow Horses è chiaramente diversa dal resto delle spy-story, la totale negazione dell'archetipo, ben oltre il fascino di James Bond. "Bond è mito, glamour, fantasia", dice Oldman. "È l'eroe impeccabile con la macchina da sogno e il martini perfetto. Ma Slow Horses e i romanzi di Mick Herron si collocano nel mondo opposto: spie con l'alito cattivo, con la schiena a pezzi, con sensi di colpa. Umani. Quando incontri davvero persone che hanno lavorato per l'intelligence, ti rendi conto che non sono supereroi: sembrano insegnanti, impiegati, persone che potresti incontrare al supermercato. Eppure, prendono decisioni che cambiano il destino di un Paese. È questo il bello: puoi riconoscerti in loro. Puoi pensare 'anch'io potrei essere uno di loro'. È più realistico, ma anche più emotivo".
Altra nota, il rifiuto di Lamb nell'asservirsi al potere, seguendo una sua moralità. "Lamb si trova dove si trova perché ha rifiutato la corruzione e la vanità dell'establishment", riflette Oldman. "Ha affrontato i compromessi, i tradimenti, e ha detto: basta. Ma non può abbandonare del tutto quel mondo, perché non ha altro. Non ha famiglia, non ha una casa, non ha un futuro. Ha solo il lavoro. E nel profondo, crede ancora che catturare i cattivi abbia senso. È quello che lo tiene vivo. È un uomo distrutto che però si alza ogni mattina per fare la cosa giusta, anche se il mondo intorno è marcio".
L'importanza di perdonare (pensando già al finale della serie)
Insomma, oltre ai calzini bucati e al carattere scontroso, Lamb è il perfetto outsider. Un personaggio vero, umano, riconoscibile. Che non ha paura di mostrarsi vulnerabile e fallibile, nonostante la sua scorza di duro cinismo. "Passiamo metà della vita a capire chi siamo e cosa vogliamo. Sbagliamo, cadiamo, facciamo danni. Ma se non impariamo a perdonare, anche noi diventiamo come Lamb: intrappolati nel cinismo. È per questo che il pubblico si affeziona a lui. Perché dentro quella corazza vedono un uomo che ha sbagliato e che continua a provare. Ed è quello che facciamo tutti, in fondo".
Se la stagione 6 di Slow Horses è già in cantiere, divenendo una delle più longeve produzioni Apple TV, Gary Oldman, parlando di una possibile fine del viaggio, non nasconde una certa malinconia "So che un giorno dovrò salutarlo", confida. "E sarà un misto di sollievo e tristezza. Mi mancherà la sua compagnia, la sua ironia, il suo modo di vedere il mondo. Sarà bello tornare a un aspetto più pulito, senza baffi e capelli lunghi - e magari perdere un po' di pancetta - ma so che mi mancherà. Jackson Lamb è stato un compagno straordinario, un sopravvissuto, e in un certo senso mi ci rivedo".