Full Metal Jacket, la reunion a Toronto: “Stanley Kubrick era un regista singolare”

Il cast di Full Metal Jacket, penultimo film di Stanley Kubrick, ha introdotto una proiezione speciale al Festival di Toronto.

Dorian Harewood in una scena di Full Metal Jacket
Dorian Harewood in una scena di Full Metal Jacket

Nel 1987 Full Metal Jacket, penultimo lungometraggio di Stanley Kubrick, fu presentato al Toronto International Film Festival, e a tre decenni di distanza è tornato in territorio canadese grazie all'iniziativa Best of TIFF Reunions, con l'anteprima mondiale del nuovo restauro 4K che sarà disponibile commercialmente dal 22 settembre. Come da consuetudine per questo programma del festival, la proiezione è stata introdotta da una conversazione in diretta con alcune persone che hanno lavorato al film: Vincent D'Onofrio ("Palla di lardo"), Arliss Howard (Cowboy) e Katharina Kubrick, figlia del regista e responsabile di parte dei sopralluoghi. Presenti anche, tramite messaggi preregistrati, l'attore Matthew Modine (Joker) e Leon Vitali, che fu l'assistente personale di Kubrick per gli ultimi tre film e ha supervisionato il restauro 4K. Modine ha evocato l'esperienza invitando gli spettatori a leggere ciò che lui scrisse al riguardo (ha pubblicato i diari che teneva sul set), mentre Vitali si è pronunciato sulla natura del film: "Non è a favore della guerra o contro di essa. È un film di guerra, punto."

Un'esperienza epocale

Full2
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Cosa rende Full Metal Jacket un'esperienza cinematografica singolare? Per Vincent D'Onofrio non ci sono dubbi: "È un film di Stanley Kubrick. Lui era un regista singolare, e riconosci subito un suo film." Per l'attore si trattava della prima volta davanti alla macchina da presa, e svela come si sia subito sentito a proprio agio: "Stanley non parlava della trama o del personaggio, eppure ti faceva capire tutto. La prima volta che mi presentai sul set vidi Matthew e Arliss, e pensai immediatamente che fossero perfetti per i rispettivi ruoli. E in quel momento mi resi conto che molto probabilmente dovevo esserlo anch'io." Aggiunge Katharina Kubrick: "Non sei il primo a dire una cosa simile, lo pensava anche Keir Dullea [il protagonista di 2001: Odissea nello spazio, n.d.r.]." Arliss Howard commenta invece la singolarità del progetto all'interno del filone bellico: "La forza del film è che non si tratta di una storia sul Vietnam, quella è solo l'ambientazione. A Stanley interessavano i meccanismi distruttivi delle persone, e questa è una delle elaborazioni di quel pensiero." All'epoca, complice un periodo di riprese insolitamente lungo, da fuori ci fu la percezione di una produzione caotica, impressione smentita categoricamente da Howard: "Noi non notammo alcun caos. La durata delle riprese dipese principalmente dall'incidente di Lee [R. Lee Ermey, interprete del sergente Hartman, si ruppe tutte le costole in un incidente d'auto e non poté lavorare per quattro mesi e mezzo, n.d.r.]."

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Il Vietnam in Inghilterra

Kevyn Major Howard in una scena di Full Metal Jacket
Kevyn Major Howard in una scena di Full Metal Jacket

Come da consuetudine per Kubrick, che non amava viaggiare, le riprese si svolsero interamente in Inghilterra, anche se a un certo punto era previsto che la seconda unità andasse in Spagna o Francia per degli esterni che simulassero i paesaggi del Vietnam, successivamente ricreati lungo le rive del Tamigi. Ne parla la figlia: "Era già successo con Shining, mi aveva mandato in Alaska per trovare una location per la scena in cui Hallorann si reca all'Overlook, e passai cinque settimane lì senza nevicasse. Questa volta invece mi mandò in Spagna, per valutare un luogo particolare di cui aveva visto delle foto. Una volta arrivata mi impedirono di accedervi, perché è una zona protetta. Possono andarci solo gli scienziati e i biologi, e bisogna prenotare con due anni di anticipo. Dovetti contattare la sede spagnola della Warner Bros. per risolvere il problema, e alla fine Stanley decise di rinunciare a quella location." Katharina Kubrick parla anche del metodo lavorativo del padre, noto per una precisione a dir poco maniacale: "In realtà il suo approccio sul set era molto sperimentale, era aperto a qualunque variante, fino ad arrivare al momento in cui diceva di aver ottenuto il risultato magico che cercava. C'era una sceneggiatura, ma cambiava in base alle esigenze sceniche, perché il cinema è un'arte collaborativa. Era un artista che lavorava con altri artisti."

Full Metal Jacket: scrivere la guerra, guardare l'orrore, ricordare Palla di lardo