Nemmeno il tempo di uscire, che ha subito conquistato la top 10. Sarà stato il tono leggero, sarà stata la presenza di Arnold Schwarzenegger, eppure Fubar è riuscita ad imporsi immediatamente risultando come una delle serie più viste di Netflix. Come vi abbiamo già raccontato nella recensione, la serie creata da Nick Santora potrebbe non aggiungere (ma nemmeno togliere) chissà cosa al genere, piuttosto è un prodotto a modo suo leggero, che gioca con gli stilemi action e umoristici tipici degli Anni Novanta. Una narrazione chiara, lineare, che non rinuncia né alla risata né all'azione, lasciando grande spazio al rapporto tra i protagonisti: da un lato Schwarzy, nel ruolo di Luke Brunner, dall'altro sua Emma, interpretata dalla rivelazione Monica Barbaro. Entrambi agenti CIA sotto copertura, scopriranno le rispettive (e segrete) vite durante un'inaspettata e pericolosa missione.
Senza dubbio, il fattore Arnold Schwarzenegger ha aiutato, ma è stato poi il tono generale a rafforzare Fubar, sviluppata nel più totale riserbo da Skydance TV. Questo ci spinge ad un riflessione, subito dopo il finale che ha chiuso le otto puntate: probabilmente oggi il grande pubblico dallo streaming chiede serie come questa. Nessuno sforzo, nessun approccio celebrale. L'intrattenimento spensierato come viatico per una visione che non pretende attenzione, ma che anzi conforta in relazione al suo background e alle sue citazioni. Una figura mitica come quella di Arnold Schwarzenegger, e una storia che riprende gli stilemi dei film con cui molti sono cresciuti. Le regole del successo, in fondo, sono poche. Messe sapientemente in ordine, viene fuori l'acronimo perfetto.
Fucked Up Beyond All Repair/Recognition
A proposito: sapevate che il titolo viene proprio da un acronimo? Ovvero: "Fucked Up Beyond All Repair/Recognition", frase usata dai Marines durante la Seconda Guerra Mondiale, ed entrata nel gergo per indicare appunto una situazione impossibile da migliorare. Una rivelazione che arriva proprio a conclusione dell'ultimo episodio, quando Luke Brunner rivela alla sua famiglia (praticamente tutti membri CIA) che: "non si può tornare a casa, i terroristi sparsi nel mondo sono sulle nostre tracce. Siamo Fubar!". Appunto, spacciati. Ma come siamo arrivati a questo punto (di non ritorno)? E soprattutto, il cliffhanger finale può lasciare spazio ad una seconda stagione? È la domanda che ci siamo posti immediatamente dopo la fine, volutamente lasciata aperta dagli autori. Mentre scriviamo non c'è ancora ufficialità, ma i feedback sulle views sono talmente tanto positivi che sembra scontato il ritorno della famiglia Brunner. In mezzo, l'ultima missione di Luke, conclusasi con una puntata che lascia aperti diversi interrogativi.
Fubar, un finale aperto
Per la spiegazione del finale, riassumiamo: Brunner vorrebbe godersi la pensione, e coltiva la speranza di ritornare insieme all'ex moglie Tally (Fabiana Udenio). Prima, però, deve regolare i conti con Boro Polonia (Gabriel Luna), figlio di un terrorista affrontato (e ucciso) molti anni prima. Una missione sotto copertura, a cui prende parte anche la figlia Emma. Trovarla sul campo è stata una sorpresa, in quanto Luke credeva che lavorasse per una no-profit. Così come Emma credeva che suo padre lavorasse per una ditta di attrezzature sportive). Tale padre e tale figlia, segreti dunque rivelati e rapporto in qualche modo recuperato.
Vissero felici e contenti? No: dopo aver apparentemente sconfitto Boro (sì, il nome è terribile), il criminale che ha scoperto i loro veri nomi tornerà (sfigurato) il giorno del matrimonio tra Tally e il suo nuovo fidanzato Donnie (Andy Buckley). Verrà ucciso, ma ormai le identità sono ormai compromesse. Non c'è altra soluzione: bisogna darsela a gambe. Non prima di aver scoperto che Tina (Aparna Brielle), data analyst che si è unita al team di Luke, parla russo e, sotto sotto, potrebbe covare diversi segreti. Insomma, il finale di Fubar è una sorta di porta spalancata. Pronta per una seconda stagione che non dovrebbe tardare nell'essere ufficializzata.