Aspettare l'autobus come aspettare Godot e nel frattempo ripercorrere la propria intera, comune, quotidiana e allo stesso tempo straordinaria vita. È quello che succede a Forrest Gump, in attesa di ritrovarsi dopo un sacco di tempo con la sua amata Jenny. Una vita che, nel bene e nel male, tra incontri straordinari, guerre inconcludenti, avventure sul mare e corse infinite, sembrava destinata ad arrivare a quell'incontro finale. Sono passati decenni da quando abbiamo conosciuto "Forrest, Forrest Gump", uno dei personaggi-simbolo interpretati da Tom Hanks e che gli è valso il secondo premio Oscar consecutivo (l'anno precedente lo vinse per il ruolo di Andy Beckett nel Philadelphia di Jonatham Demme) come miglior attore protagonista.
E, forse, più di ogni altro personaggio cinematografico, Forrest Gump è stato davvero uno dei simboli che meglio hanno definito un decennio del grande schermo: il film di Robert Zemeckis racconta la storia americana attraverso gli occhi dell'uomo comune, con l'intelligenza addirittura di poco inferiore alla media, capace di vivere una vita esaltante, ingenuo e allo stesso tempo rivoluzionario. Non si fa fatica a empatizzare con Forrest Gump, anzi l'invito del film sembra essere proprio quello di credere in sé stessi facendo intendere che anche dalle cose più casuali può nascere un evento storico o culturale, tuttavia soprattutto in America negli ultimi anni il film è stato criticato. Soprattutto il finale del film sembra mettere in luce una problematica che, ingenua come il suo protagonista nel periodo di uscita, oggi sembra risaltare con amarezza.
'E' intelligente o...?'
Una domanda che Forrest si sente dire, spesso implicitamente, nel corso della sua vita e che non riesce a non pronunciare nel momento in cui scopre di essere diventato padre. Un piccolo, breve momento in cui il nostro protagonista abbandona i panni del semplicione e dell'ingenuo e sembra diventare un'altra persona, più cinica e quasi estranea al suo carattere. Infatti per tutta la durata del film, Forrest sembra accettare senza porsi troppe domande tutto ciò che il destino gli offre. Stringere la mano al Presidente degli Stati Uniti, incontrare Elvis Presley, partecipare alla guerra in Vietnam o a un incontro delle Pantere Nere, creare la "Smiley Face": sono tutti eventi che vengono spogliati dell'importanza storica o sociale per diventare semplicemente "cose" che sono accadute. Eppure, proprio nel finale, Forrest si preoccupa che il figlio possa aver ereditato la sua intelligenza sotto la media. Uno scivolone di scrittura che sembra andare contro, proprio quando il film è entrato nelle sue fasi conclusive, l'intero messaggio del film, un messaggio, tuttavia, che oltreoceano negli ultimi anni è stato parecchio criticato. Perché se è vero che il film racconta una vita straordinaria dal punto di vista di una persona sottodotata lasciando sottintendere che ogni persona, non importa quanto sia intelligente o da dove provenga (sia in senso culturale ed educativo che sociale), può cambiare il mondo, è altrettanto vero che il modo in cui Forrest Gump affronta l'eccezionalità della sua vita è tutt'al più incurante. Non riconoscendo l'importanza delle azioni che compie, il film acquista una visione disillusa e nichilista della vita.
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Non chiedere se i cioccolatini sono buoni
Una frase memorabile la lezione di vita della mamma di Forrest Gump: "La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita". Una lezione di vita che, però, assume più i contorni del ritratto di un'esistenza caotica dove, oltre a non sapere quale cioccolatino il destino abbia in serbo per te, è meglio anche masticare e mandare giù senza pensarci troppo. Forrest non si crea mai un'opinione decisa e personale su ciò che accade all'America, ai grandi eventi storici che è costretto ad assistere: Forrest accetta il boccone, talvolta dolce talvolta amaro, e deglutisce. Non abbiamo dubbi che il focus del film sia sottolineare le relazioni umane, amorose, affettive, sentimentali e mettere da parte tutto ciò che riguarda in maniera più esplicita un pensiero politico. Forrest Gump racconta sia l'amore tra amici adolescenti, tra genitori e figli, tra veterani sopravvissuti o tra uomo e donna. Racconta sì la storia americana, ma lo fa cercando di non scontentare nessuno, semplicemente osservando gli eventi che nella seconda metà del Novecento hanno formato una nazione. Lo sguardo esterno e passivo di Forrest è la maniera migliore per lasciare che sia lo spettatore a contestualizzare e commentare, col senno di poi, le vicende storiche. Questa scelta, però, rischia di diventare un'arma a doppio taglio perché si rischia di mettere sullo stesso piano un passo di danza di Elvis alla televisione con le lotte sociali e gli scioperi post-Vietnam o ancora una simpatica corsa tra costa a costa degli Stati Uniti con gli abusi sessuali del padre di Jenny alla figlia ancora bambina. Come a dire che se tutto ha la medesima importanza allora niente ha veramente importanza. Forse l'errore di Robert Zemeckis e dello sceneggiatore Eric Roth è stato quello di non avere una visione del futuro, nell'immaginare - proprio in un film che parla di cambiamenti - il mutamento del pubblico e della società nel corso degli anni e dei decenni: Forrest Gump appare, quindi, un film figlio del suo tempo che non tiene in considerazione la sensibilità ben più matura del costume sociale del nuovo millennio.
Il potere di una piuma
Eppure, nonostante queste problematiche, Forrest Gump resta un film immortale che continua a emozionare e a catturare lo spettatore. Quando affronta e mette in scena il suo vero cuore, quello della predestinazione o della casualità della vita, il film come per magia riesce a far dimenticare le sue criticità e a colpire per la sua umanità. Nel suo essere un feel good movie e nell'appiattire ogni evento storico sotto l'ironia e lo sguardo disilluso e ingenuo del suo protagonista, Forrest Gump diventa un film-specchio della trilogia di Ritorno al futuro dello stesso Zemeckis. Là dove il passato era un tempo quasi celebrativo, leggero e spensierato, qui lo spettatore si fa carico (proprio perché, in teoria, più intelligente e scaltro del suo protagonista) della Storia del suo Paese. La distanza emotiva e temporale degli eventi americani raffigurati nel film costituisce un'immagine poco appagante degli Stati Uniti d'America, un'immagine meno celebrativa e gloriosa, una nazione costruita su tentativi falliti, violenza, errori, abitata da personaggi passivi che sembrano più interessati al gelato gratis che ai grandi cambiamenti sociali e politici del proprio Paese (basti ricordare come Forrest riceve una clamorosa attenzione mediatica solo per correre senza motivo). Corre parecchio, Forrest, e sembra sempre correre in tondo (inizio e fine film sembrano comporre un cerchio infinito, gli stessi pochi e intimi invitati al matrimonio di Jenny e Forrest sottolineano come questi due personaggi abbiano una vita composta da poche persone che ciclicamente ritrovano), senza mai un punto di arrivo, come il Paese dove vive. Ecco che quella piuma che vediamo a inizio film, che viene librata in aria e cullata dal vento, nasconde un'ennesima beffa e si fa icona del significato del film: all'apparenza leggero e delicato, una commedia in cui si ride molto, accomodante e "puro" come il colore bianco, è in realtà un ritratto pesante della storia americana e di chi, sia attivamente che passivamente, ne è stato partecipe. Ed ecco che quell'inquadratura conclusiva, la piuma che velocemente va incontro alla macchina da presa rendendo lo schermo nero prima dei titoli di coda ha il sapore di un pugno in piena faccia.