Final Destination: 25 anni di quel cult che doveva essere solo una puntata di X-Files

Nel marzo del 2000 arrivava nelle sale americane il primo storico capitolo. Concepito inizialmente come spec script per X-Files, ha poi dato inizio a un'amatissima saga horror.

I tre protagonisti di Final Destination

Final Destination è arrivato al quarto di Secolo e, grazie delle innumerevoli e barocche morti mostrate nei cinque film uscito finora, la saga è più viva che mai. Già perché a metà maggio, arriverà nelle sale dello stivale Final Destination Bloodlines, sesta iterazione del franchise. Nulla di cui stupirsi. Se siete stati adolescenti, o tardo-adolescenti, a cavallo fra gli anni novanta e i primi anni del duemila, avrete sicuramente vissuto quelle serate fra amici in cui si recuperava a noleggio la VHS o il DVD di un film da vedere in gruppo e chi aveva ricevuto l'incarico di recuperarlo in videoteca tendeva sempre a dover scegliere fra una qualche commedia o un horror.

Final Destination Ali Larter
Ali Larter in una scena di Final Destination

Il primo Final Destination, che già in sala ottenne un notevole riscontro incassando la bellezza di 113 milioni di dollari dell'epoca a fronte di un budget di circa 23, era uno dei più gettonati all'epoca. Il perché è abbastanza chiaro. Per degli adolescenti - per lo meno quelli di quel periodo - non c'era niente di meglio che divertirsi vedendo dei coetanei schiattare in malo modo pensando anche "Beh, sono così idioti che se lo meritano".

Parliamo mica per caso di un progetto nato quattro anni dopo Scream e tre dopo So cos'hai fatto. Tutti parti della fantasia quel Kevin Williamson che, fra cinema e TV con Dawson's creek, trasformava in oro ogni teen story che raccontava. Ma com'è nato Final Destination e come ha avuto il successo da avuto tanto da continuare a generare sequel a 25 anni di distanza? Quasi per caso e grazie a X-Files e Psycho.

Come Scream, ma non proprio

Abbiamo citato Scream e l'abbiamo fatto a ragion veduta. Un po' perché chi vi sta parlando in quegli anni era solito avere delle serate con gli amici simili a quelle descritte nell'esordio di questo excursus, un po' perché, nell'interessante oral history su Final Destination pubblicata da Variety, l'autore della storia dell'iconico horror, Jeffrey Reddick, spiega che i personaggi principali della pellicola dovevano essere inizialmente adulti. Poi però i capi della New Line Cinema suggerirono di trasformarli in teenager "come quelli di Scream".

Suggerimenti sensati a parte, con l'opera di Wes Craven e Kevin Wiliamson ha sicuramente in comune il successo commerciale, in aggiunta ai teenager che muoiono male. Per il resto le somiglianze finiscono qui: Scream è stata, fin da sempre, una saga che ha giocato con i riferimenti metatestuali al genere di appartenenza e, in virtù di ciò, (quasi) sempre i vari capitoli sono stati accolti positivamente dalla critica.

Fin dal primo Final Destination le velleità erano diverse e ruotavano interamente al potere catartico ed esorcizzante delle varie, truculenti morti proposte allo spettatore. Non a caso, il quarto e il quinto capitolo sono stati proposti anche in 3D negli anni in cui quel formato è tornato in auge per un po' e, non ce ne voglia James Cameron, si è trattato di mosse sacrosante.

Final Destination
Il cameo del leggendario Tony Todd

Però ecco, quando il primo lungometraggio della saga esordì nei cinema la stampa lo trattò in maniera molto più sommaria e sbrigativa di Scream che, dietro alla macchina da presa, vedeva quello che ormai era da tempo riconosciuto come uno dei grandi autori del cinema di paura, Wes Craven. Con Final Destination l'approccio degli addetti ai lavori era più snob, con la puzza sotto il naso: pagava lo scotto di essere diretto da un tale, James Wong, che prima aveva fatto solo TV.

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E poco importava che in mezzo a quello che aveva fatto in televisione ci fosse una serie intitolata X-Files dove è stato uno dei più stretti collaboratori di Chris Carter lavorando come scrittore, produttore e regista. Venne bollato, immeritatamente, come un mediocre TV movie. Fortunatamente, alcuni fra i più noti critici di punta americani di quegli anni, su tutti il compianto Roger Ebert, furono in grado di capirne il potenziale, di cogliere e apprezzare il grand guignolesco spasso che offriva e di riconoscere che si trattava di grande cinema d'intrattenimento.

Fra X-Files e Psycho

Effettivamente, Final Destination era stato ideato inizialmente come spec script proprio per X-Files. Quella di Chris Carter era infatti la serie preferita da Jeffrey Reddick che si mise in testa di elaborare appunto una spec script per lo show. In maniera del tutto casuale, le avventure degli agenti Mulder e Scully hanno plasmato il DNA del film ben prima che James Wong e l'altro fedelissimo di Carter, Glenn Morgan, salissero a bordo del progetto. Che venne trasformato in film da Reddick su suggerimento del produttore Chris Bender.

Il primo titolo della storia era Flight 180. Reddick era stato ispirato dalla lettura di un articolo di giornale in cui si raccontava di questa donna che, salita a bordo di un aereo, decise poi di scendere perché aveva avuto questa premonizione sul fatto che il mezzo sarebbe precipitato. Cosa che è puntualmente accaduta.

David Duchovny e Gillian Anderson nel pilot di X-Files
Un momento da X-Files

Racconta Wong a variety che "Esplorando questo concept in un episodio di X-Files, ci si sarebbe concentrati su Mulder e Scully e su come avrebbero reagito a [una serie di morti] alle quali avrebbero dovuto sopravvivere. In un film, la principale differenza da un telefilm è che hai il tempo e il budget per creare qualcosa di spettacolare che davvero catturi il pubblico e lo sorprenda. In una serie TV, è quasi impossibile".

Nella storia originale, quella contenuta nel soggetto finito materialmente nelle mani di Wong e Morgan tramite la New Line, la morte era fisicamente presente in scena e giocava con le sue vittime così come Freddy Krueger faceva con le sue in Nightmare - Dal profondo della notte. Un concept gradito alla dirigenza della New Line che desiderava la possibilità di dare una lettura razionale, per quanto horror, alle varie morti. Vedere gente che veniva fatta fuori con quello che poi il pubblico ha dimostrato di amare, dei letali meccanismi Rube Goldberg innescati da oggetti e mezzi d'uso quotidiano, terrorizzava lo studio.

Per Morgan e Wong, l'idea di vedere la morte presente come autentico personaggio antagonista era ridicola e lottarono per convincere la New Line ad accettare l'idea che la morte non avesse una forma fisica.

Final Destination Facce
Una scena dal film

Ad influenzarli nella scelta fu anche l'amore verso una leggenda del cinema come Alfred Hitchcock e al costante tono d'inquietudine che pervade un capolavoro come Psycho. Una pellicola in cui Janet Leigh viene fatta fuori sotto la doccia dal Norman Bates di Anthony Perkins dopo una mezz'ora abbondante di film.

30 minuti in cui lo spettatore sta sempre sul filo del rasoio con la consapevolezza che qualcosa di brutto sta per accadere. Come, 25 anni fa, si verificava nel prologo di Final Destination con la premonizione sul disastro aereo avuta da Alex Browning poco prima di partire alla volta di Parigi con alcuni compagni e compagne di liceo. Una premonizione che avrebbe ritardato l'appuntamento con la morte solo di un po'. Perché alla morte non si sfugge e neanche al divertimento che questa saga continua a regalare al pubblico dal 2000 a oggi.