Michael Mann, con Ferrari (qui la nostra recensione), ha deciso di portare sul grande schermo un mito non solo italiano, ma universale. La storia di Enzo Ferrari, d'altronde, grazie anche al marchio automobilistico che ha saputo portare in auge negli anni in cui era in vita, è quella di un successo su larga scala che parte dall'ingegneria, sfocia nelle competizioni e arriva dritta anche al design.
Quella di Ferrari, però, non è una storia fatta di soli successi, perché sulle colate di asfalto del Cavallino sono state seminate anche tragedie, una delle quali ha segnato per sempre la storia di Enzo Ferrari, e che Mann riporta al cinema: la storia vera della Mille Miglia datata 1957, che vi raccontiamo in tutte le sue sfaccettature.
Cos'era la Mille Miglia
La Mille Miglia è una competizione automobilistica che non si corre più dal 1957: vi sono state 24 diverse edizioni, una ogni anno, e si trattava di una gara di velocità che portava i piloti e le rispettive auto ad andare da Brescia a Roma, per poi rientrare nella città lombarda. La lunghezza del percorso era di 1600 chilometri, ossia mille miglia, da cui il nome di quella che fu la prima edizione del 1927. Per celebrare quello che è stato un appuntamento storico e di grande tradizione, dal 1977 si è deciso di rivedere il format automobilistico, trasformando la Mille Miglia in una gara di regolarità storica a tappe; quindi, riservata solo a un certo tipo di vetture: quella del 2022 è stata vinta, ad esempio, da un'Alfa Romeo 6C 1750, auto che ha trionfato anche nel 2020 e nel 2021, raggiungendo le tre vittorie consecutive. Ma al di là di quella che è la storiografia recente, a noi - per contestualizzare il mito di Enzo Ferrari - serve fare dei passi indietro e tornare a quella che era l'edizione reale della Mille Miglia e non quella edulcorata di oggi.
Negli anni la competizione ha sempre avuto delle modifiche al proprio itinerario, soprattutto a causa di quelle che erano modifiche al territorio dovute a forze di causa maggiore: un esempio riguarda la quarta edizione, quella del 1930, che a causa del crollo di un ponte in provincia di Mantova spinse l'itinerario verso Cremona per poi recuperare il tragitto originale verso Parma; nel 1931 vennero corsi 3500 chilometri in meno per una deviazione che portò i piloti da Villa Potenza a Porto Recanati, piuttosto che a Loreto. Insomma, questa mancanza di un'unità di percorso e di direzione ha, negli anni, reso la Mille Miglia non solo imparagonabile tra un'edizione e l'altra, ma anche un qualcosa di unico nel panorama automobilistico. La prima edizione che, però, passò alla storia per quella che oggi possiamo ritenere una tragedia, fu quella del 1938. Passata agli annali come l'edizione della sciagura di Bologna, il 3 aprile la gara, nel suo percorso di ritorno verso Brescia, vide la Lancia Aprilia di Magnanego e Bruzzi perdere il controllo dopo aver, a velocità sostenuta, attraversato le rotaie della linea tramviara della città felsinea: lo smottamento portò l'auto a rovesciarsi contro la folla che sostava sul marciapiede con un bilancio di 10 morti, di cui 7 bambini, e almeno 24 feriti.
Il primo tentativo di sospensione
Benito Mussolini decise, a seguito di questo evento, che non rappresentò una novità per la Mille Miglia, di vietare la gara automobilistica su strade cittadine e ordinarie. Tale divieto decadde dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la caduta del governo Mussolini, che nel 1939 impedì lo svolgimento regolare della gara e nel 1940 trasferì tutto su un circuito stradale triangolare tra Brescia, Cremona e Curtatone, in provincia di Mantova: un tragitto da percorrere 9 volte per raggiungere la lunghezza necessaria a validare la Mille Miglia. Nel 1947, dopo l'interruzione dovuta alla guerra, fu il momento di tornare al formato originale, aggiungendo però le tappe di Torino e Milano, spingendo la durata della corsa a oltre 1800 chilometri di lunghezza. Enzo Ferrari per ora si limitava a esserne spettatore, mentre la sua Scuderia Ferrari si preparava ad avvicinarsi alla Formula 1: la sua prima gara sarebbe stata al Gran Premio di Monaco, il 21 maggio 1950, ma ancor prima la casa di Maranello aveva iniziato a cambiare le sorti della Mille Miglia.
Nel 1947, infatti, con la ripresa della competizione arrivò anche l'ultima vittoria di un'Alfa Romeo, nello specifico la 8C 2900, guidata da Clemente Biondetti, perché dall'edizione successiva si aprì la lunga schiera di successi della Ferrari. Filotto che venne interrotto soltanto nel biennio 54-55 per mano di Lancia e Mercedes-Benz, ma che poi non poté andare avanti a causa dell'evento che nel 1957 colpì la Mille Miglia e la Ferrari 335 S, che sancì anche la fine della competizione stessa. Mentre, infatti, la stampa annualmente si scagliava contro le modalità della corsa e la sua pericolosità, memori di quanto accaduto a Bologna pochi anni prima, le scuderie continuavano a darsi battaglia a suon di risultati sempre più sorprendenti, grazie all'alta velocità - proporzionate ai tempi - raggiunte delle rispettive vetture. Nel 1955, tra l'altro, durante la 24 Ore di Le Mans si verificò un incidente che ancora una volta mise le corse automobilistiche sotto l'occhio inquisitorio dell'opinione pubblica: la Mille Miglia, però, non si fermava e andò avanti.
Ferrari, Michael Mann e Adam Driver: "La storia di Enzo Ferrari? Puro melodramma"
Ferrari di Mann e la storia vera dietro la tragedia di Guidizzolo
Il 12 maggio 1957, la Ferrari 335 S, guidata da Alfonso de Portago (Gabriel Leone in Ferrari di Michael Mann), si trovava a percorrere la strada che conduceva a Brescia, al traguardo: su quello che era il rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, le vetture erano riuscite a toccare la velocità di 250 km/h. Nei pressi di quello che era il centro abitato della cittadina bresciana, l'auto all'improvviso si ritrovò a dover gestire lo scoppio di uno pneumatico: de Portago non riuscì a evitare la sbandata, con l'auto che finì nel fossato e con un effetto quasi da rimbalzo andò a invadere il ciglio della strada sinistro, colpendo il pubblico lì assiepato. Oltre alla morte di de Portago e il suo copilota, Edmund Gurner Nelson, l'incidente causò la morte di 9 spettatori, tra cui 5 bambini, e numerosi feriti. Si trattò di una tragedia di egual misura a quella di Bologna accaduta vent'anni prima e se all'epoca fu Mussolini a intervenire per bloccare tutto, questa volta le Mille Miglia venne del tutto sospesa, senza possibilità di essere ripresa.
Conseguenze importanti arrivarono anche per Enzo Ferrari, come vediamo nell'ultima parte del film, con protagonista Adam Driver. Ferrari, in quanto costruttore della vettura coinvolta, venne accusato di omicidio e rischiò la galera. Alla fine, il processo lo vide del tutto assolto da responsabilità, ma le gare vennero del tutto bandite e bloccate. L'anno successivo gli organizzatori provarono comunque a tenere in vita l'evento, ragionando su una formula che prevedeva delle tappe ben specifiche, ma soprattutto con velocità contenuta, a una velocità media minima di 50 km/h. La Ferrari vinse questa edizione, la successiva e infine l'ultima, quella del 1961, confermando il proprio primato, ma rassegnandosi al fatto che la Mille Miglia, per come l'avevano conosciuta e creata al principio, era oramai finita e andata, mentre il suo fondatore stava affrontando il processo.
Le ripercussioni e le accuse
La vicenda ebbe dell'assurdo, perché Ferrari venne fermato dalle forze dell'ordine soltanto a funerali svolti e privato della presunzione di innocenza a causa della gogna mediatica subita: venne individuato come unico responsabile della tragedia avvenuta durante una gara che continuò e spinse le auto anche a dover terminare la competizione evitando i cadaveri causati dalla svolta di de Portago. Ferrari venne accusato di omicidio plurimo e in tribunale si scoprì che la sua vettura non avrebbe dovuto correre la Mille Miglia, perché non sicura. Le discusse gomme vennero ritenute non adeguate alle alte velocità, e per questo il costruttore doveva essere incolpato e accusato. L'Osservatore Romano attacca dicendo che Ferrari stesse mandando al macello i suoi piloti, incurante del loro destino: il giudizio parte dalla chiesa, ma arriva anche dal pubblico, come riporta anche Luca Dal Monte nel suo libro "Ferrari, presunto colpevole".
A salvarlo, in quel caso, fu l'avvocato Giacomo Cuoghi, pronto a dimostrare, tramite perizia, che gli pneumatici non erano esplosi per la velocità, ma per l'urto con uno degli occhi di gatto (i riflettenti della segnaletica luminosa). Un processo durato 4 anni, che nel 1961 scagiona definitivamente Ferrari, che può tornare a vivere in serenità e a vedere la sua vettura sfrecciare. Una sliding door enorme, che avrebbe rischiato di consegnare alla prigione per decenni l'artefice di un successo aziendale, automobilistico e di design, macchiato da una terribile tragedia per la quale stava per rispondere per responsabilità oggettiva.