Ettore Scola riceve il Gran Premio del Torino Film Festival

Conferenza e celebrazioni per il regista che riceverà il riconoscimento dal direttore artistico del TFF, Gianni Amelio; 'Bisogna amare l'Italia per fare un bel film, per ricostruire le macerie intellettuali del nostro Paese', ha raccontato Scola.

Oltre 40 anni di carriera e sentirli quel tanto da decidere di non voler girare più un film, anche se un progetto ci sarebbe. Brillante, ironico, vitale, Ettore Scola non dà proprio la sensazione di essere un artista in pensione, eppure non chiedetegli di tornare sul set, perché potrebbe innervosirsi. Lo sa bene il direttore artistico del Torino Film Festival, Gianni Amelio, che durante l'incontro con la stampa ha tentato più volte di pressare Scola sull'argomento, ottenendo solo dei fermissimi dinieghi. Amelio allora si è dovuto accontentare, si fa per dire, della soddisfazione di premiarlo con il prestigioso Gran Premio Torino, che gli sarà consegnato in una cerimonia in programma sabato 1 dicembre. Per il regista di Treviso arriva quindi l'ennesimo importante riconoscimento di una vita artistica ricca di successi. "Sono felice di tornare a Torino non certo per il premio in sé, che sarà un altro oggetto impresentabile - ha raccontato tra le risate generali - ma tanto casa mia è un museo degli orrori. Ho addirittura un premio finlandese, una statua ad altezza naturale di un seminatore. Per carità, messaggio lodevole quello dell'artista inteso come seminatore, ma è veramente brutto. Ci sono dei premi che sembrano dei chiodi messi su una bara per non farla aprire, questo invece ha tanti ingredienti che lo fanno più gradito di altri. L'amicizia con Gianni e Alberto Barbera, ad esempio. O il fatto che consideri Torino la mia città d'adozione". Spontanea poi è arrivata la dichiarazione sul rifiuto di Ken Loach a ritirare il riconoscimento. "Ken Loach è un mio amico e l'ho sempre seguito, ma mi ha stupito la sua decisione - ha detto Scola - Non è questo tipo di paternalismo che l'operaio in difficoltà vuole e soprattutto non posso pensare che un vecchio militante comunista decida di non andare a vedere con i propri occhi quello che succede".

Con classici come C'eravamo tanto amati ha saputo legarsi al momento d'oro della commedia italiana, interpretando al meglio il bisogno di novità del nostro cinema con capolavori come Brutti sporchi e cattivi, premiato a Cannes nel 1976 per la migliore regia, Una giornata particolare e La famiglia, opere molto diverse fra di loro. "E' vero, ho abbastanza spiazzato chi mi seguiva, ma l'ho sempre fatto per motivi di pigrizia, perché consideravo quello del regista come il mestiere più difficile fra quelli che ho fatto - ha rivelato - Ho fatto lo studente, il giornalista, il disegnatore, il nero, cioè quello che oggi sarebbe il ghostwriter. Niente che fosse paragonabile ad essere un regista, per questo inventavo sempre qualcosa di nuovo, sia a libello stilistico che di storia. Avevo bisogno di individuare quella novità che non mi permettesse di ripetermi, di annoiarmi". Tra le cose che non gli piacciono, oltre a certi premi, anche il dover parlare di sé. "Io sono un argomento noiosissimo - ha spiegato - lo so che non sono ben visto dai giornalisti, ma non è per spocchia se decido di non concedere interviste, ma solo perché, al contrario di Cesare Zavattini, vorrei che di me si parlasse il meno possibile". Più propenso a parlare invece dei suoi grandi compagni di avventura, come Age e Furio Scarpelli, Sergio Amidei, Ruggero Maccari e Marcello Marchesi. "La commedia all'italiana non è stata grande in sé, c'erano anche film brutti, ma ci si riconosceva un metodo di lavoro, una passione e un interesse verso il proprio Paese - ha aggiunto - Un paese all'epoca pieno di macerie, in cui tutto era da rifare, ma c'era voglia di partecipare e tirare su qualche masso. Anche oggi sarebbe tutto da rifare, ma le macerie sono morali e intellettuali". Il messaggio che lancia ai giovani cineasti, dunque, è uno solo. "Non dedicatevi all'autobiografia, è una brutta bestia - ha spiegato -. Piuttosto, anche se è difficile, amate l'Italia. Se non amate l'Italia è difficile fare un bel film. Questa nazione al momento non è amabile. Non ha partigiani, non ha eroi né solidarietà. La crisi del cinema è legata ad una crisi di coscienza sociale".