Recensione Australia (2008)

Con in mente i grandi classici del cinema, partendo da Via col vento e finendo con Titanic, il regista realizza un'epopea d'amore e d'avventura a cavallo tra i magnifici paesaggi dell'outback australiano, il deserto e le impolverate campagne in cui è nato e cresciuto.

Epopea d'amore tra mandrie e canguri

Australia, 1939. Lady Sarah Ashley è un'algida aristocratica inglese amante dei cavalli che per la prima volta nella sua vita lascia la sua residenza londinese per raggiungere l'altro capo del mondo e arrivare fino a Darwin, la cittadina australiana in cui il marito si è temporaneamente trasferito per badare alla loro proprietà, la tenuta di Faraway Downs. Convinta che lui la stia tradendo e decisa a riportarlo a casa, Sarah affronta la traversata insieme alle sue tante valigie e si mette in cerca di Drover, un mandriano uomo piuttosto rude ma oltremodo affascinante nonché amico fidato di suo marito, da quest'ultimo incaricato di condurla a destinazione. Ma al loro arrivo i due trovano un'orribile sorpresa: Lord Ashley è stato ucciso e la proprietà di Faraway Downs versa in condizioni a dir poco critiche. Qualcosa non quadra nella ricostruzione dei fatti e Sarah comincia a sospettare che si tratti di un omicidio. Si scoprirà di lì a poco infatti che il ricco e facoltoso barone del bestiame King Carney, assetato di potere come pochi altri, è in combutta con il responsabile del ranch per far sì di accelerarne il tracollo e impossessarsene più agevolmente. Ma le sorprese per Lady Ashley non finiscono qui perché ad attenderla a Faraway Downs troverà anche la persona che gli cambierà la vita. Si tratta del piccolo Nullah, un orfano per metà aborigeno e per metà caucasico, braccato dalle autorità come tutti i meticci, che diventerà per lei il figlio che non ha mai potuto avere. Sarà grazie all'affetto del bimbo, all'amore per il suo Drover e alla voglia di risollevare a tutti i costi le sorti della proprietà, che Sarah supererà ogni timore e farà definitivamente suoi quei luoghi sconfinati e polverosi, quella terra primitiva e selvaggia in cui i bianchi controllano il commercio delle carni e gli aborigeni vengono vergognosamente discriminati.

A otto anni dal successo sfavillante di Moulin Rouge, il cineasta australiano Baz Luhrmann torna sul grande schermo confezionando un'opera altrettanto sfarzosa ma di tutt'altro genere, un avvincente kolossal epico d'altri tempi ambientato nella sua terra d'origine, un melodramma intenso ed appassionato che avvolge e coinvolge lo spettatore ininterrottamente per due ore e mezza senza mai annoiarlo. Con in mente i grandi classici del cinema, partendo da Via col vento e finendo con Titanic, il regista realizza un'epopea d'amore e d'avventura a cavallo tra i magnifici paesaggi dell'outback australiano, il deserto e le campagne in cui è nato e cresciuto, una terra selvaggia e ricca di fascino la cui storia è tutt'oggi per lo più sconosciuta. Sullo sfondo di questa love-story bella e impossibile tra il rozzo mandriano e la sofisticata inglesina dal carattere forte e deciso, Luhrman ci racconta anche tante altre cose: l'interessante contrasto tra la tradizione spirituale degli aborigeni e la logica materialista e profittatrice dei colonizzatori bianchi, il dramma delle cosiddette 'generazioni rubate' con i meticci nativi strappati a forza dalle loro famiglie da una legge del governo e allontanati per epurare razze e culture, le lotte di potere tra i proprietari terrieri che riportano la mente ai vecchi western ma anche il pesante attacco aereo giapponese che nel 1942, con una potenza doppia rispetto a quella del bombardamento di Pearl Harbor, distrusse la città di Darwin radendola al suolo.

Gli ingredienti del grande classico ci sono quindi tutti, a partire da due bravi attori protagonisti come Nicole Kidman e Hugh Jackman che però, abituati a ben altre situazioni e ad altri personaggi, non sono mai apparsi pienamente a loro agio nei due ruoli. Niente luccichini, palcoscenico o lussureggianti pacchianerie: in Australia parlano volti, sentimenti, storie e luoghi incantevoli che il cinema ha smesso di raccontare da decenni e che Luhrmann, in un ultimo coraggioso (oseremmo dire disperato e anche troppo costoso) tentativo di revival, ha scelto di immortalare in un affresco narrativo dalle linee semplici (talvolta sin troppo), perdendosi spesso nei meandri dell'eccesso formale e nella pomposità visiva per cercare di rendere ancor più autentico qualcosa che lo era già meravigliosamente di suo. Il fascino immaginifico di Australia è innegabile, non mancano i momenti spettacolari né le risate, tutte concentrate nella parte iniziale, persino qualche lacrima scenderà dagli occhi di chi è più sensibile, nonostante il lieto fine sia non solo scontato ma praticamente annunciato sin dalle prime scene.

Potremmo riassumere il tutto definendo Australia come una versione western de Il mago di Oz (con Over the Rainbow a fare da colonna sonora per buona parte del film), ma anche un po' Pearl Harbor e La mia Africa. Una visione sicuramente piacevole ma non per tutti, consigliata a chi riesce ad accontentarsi di una bella favola d'amore senza dedicare troppa attenzione alle ricercatezze stilistiche o ai citazionismi, a tutti quelli che nel cinema riescono a scorgere ancora il sogno e la magia, a chi non ama la frenesia da sala e ha voglia di riscoprire un cinema che tutti pensavano intramontabile e che ormai, per forza di cose, sta pian piano scomparendo.

Movieplayer.it

3.0/5