Recensione Eccezzziunale... veramente - Capitolo secondo... me (2005)

L'idea di un secondo capitolo della saga lascia perplessi, e incappa nel rischio di disperdere un cult nel situazionismo e nelle facili gag degli anni '90

Eccezzziunale? Veramente no

Il ritorno dei fratelli Vanzina sul soggetto che aveva creato un cult degli anni '80, quello di Eccezzziunale... veramente, si rivela un successo per alcuni aspetti, ma un boomerang per altri.
Andiamo con ordine.
Lo schema riproposto è quello tradizionale, nella cui semplicità e schematismo si basava l'efficacia dello spunto del film del 1982. Ci sono i soliti tre tifosi, dunque, tutti e tre impersonati da un Diego Abatantuono in forma, che a distanza di tempo, chi più e chi meno, rivivono i vecchi fasti. Donato, il ras della fossa, che ha messo su un ristorante sulla spiaggia, Franco il barista interista, sempre appresso a debiti e fatture, e Tirzan, il camionista juventino, che, dopo un coma di quindici anni, si risveglia senza memoria e con la moglie (Sabrina Ferilli) convivente con un suo compagno delle elementari.
Incipit secco, che sfrutta il radicato ricordo del primo capitolo della saga per saltare inutili introduzioni o lunghi incipit. Stona a questo proposito la voce narrante, che, piena e ovattata che manco nelle puntate più soporifere di Quark, si impegna a spiegare pedantemente alcuni, già evidenti di loro, passaggi della trama.

A parte qualche piccola sfumatura negativa paga l'aver riprodotto, senza troppe aggiunte e arzigogolamenti, lo schema di base del vecchio film di Carlo Vanzina, schema sul quale si fondava il successo e la freschezza della comicità del film.

Mantenuto (e come farne a meno) anche l'altro pilastro dell'architettura filmica, la presenza carismatica del poliedrico protagonista Diego Abatantuono.
Nonostante manchi dell'"effetto sorpresa" di vent'anni fa, e di una carica innovativa che, per certi versi, fece scuola, all'attore milanese d'adozione va riconosciuta una sicura presenza scenica. E' il suo personaggio che si fa fulcro dell'immagine, e imprime il ritmo dettando i tempi a tutte le sequenze.
E questi, che sono i punti di forza del film, ne minano al contempo il brio e la freschezza.
La ricerca di uno stereotipo filmico ormai indissolubilmente legato a una determinata pellicola e a un determinato periodo, rallenta la meccanicità di un ingranaggio che si voleva perfetto.
Lo schema è riproducibile, sì, ma per renderlo appetibile e non pedissequo, deve essere arricchito da un taglio nuovo, da una nuova vis comica. Purtroppo la scelta ricade, non sappiamo con quanta volontarietà, sul situazionismo e sulle facili gag di un "Natale in Uzbekistan" qualunque, non rendendo ragione a una cifra comica che non era di certo sottile, ma che conservava una propria specificità che qui viene accantonata su due piedi.
Anche il ruolo di Abatantuono, per quanto sia l'unico a uscire integro da questa prova, è usurato dagli anni, e privo di quella rivoluzionaria novità che ne favorì il forte impatto.
Si può dire così che quelli che sono i punti di forza del film, sono anche quei passaggi che contribuiscono ad abbassarne il tono, vuoi perché effettivamente logori, vuoi perché sviluppati male.
A noi piace rimanere nell'82, augurandoci che un capitolo terzo non veda mai la luce, anzi, il buio delle sale.