Da quando Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, ha esordito sul grande schermo con il sorprendente La Mafia uccide solo d'estate, ogni sua nuova prova al cinema è giustamente attesa con la dovuta attenzione. Ed è forse proprio la perfezione di quel suo primo film, sentito e riuscito, a farci aspettare da Pif, artista intelligente e irriverente, sempre il massimo. Così può capitare che anche un film intelligente ma non del tutto riuscito possa suscitare delusione. È quello che è accaduto al film che vi raccontiamo nella recensione di E noi come stronzi rimanemmo a guardare, presentato alla recente Festa del Cinema di Roma e in onda lunedì 29 novembre alle 21.15, in prima tv assoluta su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. Il nuovo film di Pif è ambizioso per come prova a riflettere sulla tecnologia che abbiamo a disposizione oggi e su come stia cambiando le nostre abitudini, le nostre relazioni e il mondo del lavoro. Ne viene fuori un film pieno di spunti, forse anche troppi, che però non riescono a trovare un centro, una loro unità, che non si trasformano in brillantezza. Quello di Pif è un vero e proprio film distopico, una rarità in Italia, o quasi. E già da questo si può capire come sia un film coraggioso.
Un algoritmo ci seppellirà
Arturo (Fabio De Luigi) e la sua ragazza (Valeria Solarino) si trovano a una festa. Ma restano in disparte, in una camera, per provare a fare un test con un'app che può decretare la loro compatibilità come coppia. Il test dà esito negativo, e lei lo lascia. Ma piove sempre sul bagnato. Così, arrivato al lavoro, Arturo scopre che l'algoritmo che ha creato per evitare gli sprechi ed eliminare spese e personale superfluo, ha ritenuto tale anche lui: così viene licenziato. Prova a trovare un nuovo lavoro, ma sulle app dedicate l'opzione di un'età superiore ai 40 anni non è prevista. Così accetta la proposta di Fuuber, una società di delivery di cibo a domicilio, e comincia a fare il rider. Fuuber ha creato anche un'app per avere vicino la compagna ideale, certo non in carne ed ossa, ma come ologramma. E così nella sua vita appare Stella (Ilenia Pastorelli). Lei sembra conoscere Arturo come nessun altro. Però il periodo di prova scade, e ora per restare insieme a lei Arturo dovrebbe pagare 199 euro a settimana.
Cinema distopico in Italia: si può fare?
E noi come stronzi rimanemmo a guardare è un altro di quei film che ci dimostra come il cinema italiano, finalmente, abbia deciso di guardare oltre il proprio orticello e produrre dei film che non appartengono alla nostra tradizione, quanto a quella anglosassone. Se Freaks Out di Gabriele Mainetti guarda al cinema fantasy, al cinema di Spielberg, Burton e agli X-Men, e Una famiglia mostruosa di Volfango De Biasi alla commedia horror, a La famiglia Addams e Dark Shadows, il nuovo film di Pif si muove dentro scenari distopici che il nostro cinema non ha praticamente mai affrontato, se si fa eccezione per quel folle e meraviglioso esperimento di Gabriele Salvatores di ormai 25 anni fa che si chiamava Nirvana. E noi come stronzi rimanemmo a guardare è a tutti gli effetti un film distopico. E rientra in quella distopia che, da qualche anno, più che al futuro caotico e disordinato di Blade Runner, immagina un futuro dove tutto è pulito, ordinato, ma anche terribilmente freddo e inquietante. Ci sembra di essere dalle parti di film come Gattaca - La porta dell'universo, I'm Your Man e Equals, forse il film che più si avvicina a questo a livello visivo. Alcune scene, come quella dei lavoratori che salgono le scale nella loro azienda, alcuni esterni e alcuni interni così grigi, freddi, privi di calore da lasciare a bocca aperta, sono cose che raramente abbiamo visto nel nostro cinema. E alcuni dei temi trattati, come la tecnologia che agisce sulle nostre relazioni personali, ci portano dalle parti di serie come Soulmatese alcune puntate di Black Mirror. C'è da dire che vedere i nostri attori, quelli da commedia, in un film distopico è piuttosto straniante. E allora una delle cose che dobbiamo chiederci: un film distopico si può fare qui da noi? La risposta è una di quelle che vanno sedimentate, e che è difficile dare con certezza. Resta il fatto che un film così non lo avevamo ancora fatto in Italia.
La mafia uccide ma non solo d'estate. E Pif ne è Il testimone
È un nuovo Pif
È un nuovo Pif, che non avevamo mai visto, lontano della atmosfere "vintage" dei suoi primi film, gli anni Ottanta de La mafia uccide solo d'estate e gli anni Quaranta di In guerra per amore. Ma da come prende in giro il nuovo mondo delle app, quelle delle aziende disruptive, della disintermediazione, ci sembra di capire che Pif vintage lo sia ancora, e che rimpianga parecchio quegli anni Quaranta e quegli anni Ottanta. Proprio per come gioca con in canoni estetici di questo nuovo mondo, per come sa cogliere simboli e stilemi e li accentua, dimostra di non amarlo molto, anzi addirittura di temerlo. E ci fa capire che dovremmo temerlo anche noi, che in questo mondo a portata di click abbiamo dimostrato, soprattutto dalla pandemia in poi, di trovarci comodamente a nostro agio.
Le contraddizioni di questo mondo
Sì, perché questo nuovo mondo di contraddizioni ne ha tante, e Pif prova a metterle in evidenza. Così ci mostra due persone che comunicano via app e messaggistica anche se sono l'una a un passo dall'altra. Ci parla di professori di filologia romanza (è lo stesso Pierfrancesco Diliberto a interpretare il ruolo) che parlano forbito, ma poi, una volta on line, non si fanno problemi a creare insulti (poi capiremo il perché). E, questo è il caso del protagonista, persone altamente qualificate che, rimaste senza lavoro, si ritrovano a fare il rider. È questo il rovescio della medaglia: dietro alla nostra cena che ci arriva calda a casa c'è sempre qualcuno che si scapicolla in bici per portarcela, a pochi euro. Uno dei momenti più riusciti del film è l'asta al ribasso per trovare un lavoro, iperbole che racconta bene il gioco al ribasso dei datori di lavoro nel mondo di oggi.
Un film che ci spiazza
E noi come stronzi rimanemmo a guardare è un film che ci spiazza perché, nel momento in cui ci aspettavamo una commedia, ci troviamo di fronte a un film che, se lo guardiamo bene, è davvero amarissimo. Il cinema distopico, e in genere le storie che hanno luogo nel futuro, sono costruite in modo da lavorare per iperbole. Si ambientano nel futuro dei problemi odierni, e si accentua, anche di molto, il tutto, per far vedere l'assurdità e la gravità di questi problemi. Si parla di questioni legate all'oggi, ma si deve creare qualcosa che oggi ci sembra ancora lontano. Ora, ambientare una storia nel futuro e mostrare un rider che si ammazza di lavoro, con i tempi contati, con poche ore di risposo e con paghe ridicole, non vuol dire immaginare il futuro, ma guardare esattamente ciò che accade oggi. E fare delle gag sulla condizione dei rider, senza provare in qualche modo ad accrescere la situazione per distanziarla da quella attuale, forse è addirittura di cattivo gusto. Quello che manca a al film di Pif per essere una vera opera distopica, fantascientifica, è quello "scarto" che è sempre necessario tra la realtà e il racconto di fantasia. Altrimenti è meglio andarsi a guardare un film verità come Sorry We Missed You di Ken Loach.
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Andrew Niccol non ci si improvvisa
L'altro problema del film di Pif è che si tratta di un'opera derivativa. C'è una citazione da Ladri di biciclette, e va bene, ma non è questo il punto. Quando si è nel campo del distopico derivativi lo si è sempre. Ma qui forse accade troppe volte. Se, per esempio, abbiamo apprezzato davvero molto Ilenia Pastorelli nel ruolo di Stella, con quel coté un po' anni Sessanta, l'amore tra un uomo e una donna virtuale ci riporta a Lei e a Blade Runner 2049. Così come quando ad Arturo viene proposto un nuovo lavoro, facendo capire che la vera risorsa è il tempo, ci viene in mente In Time, un altro film nato dalla mente di Andrew Niccol, uno che i paradossi li ha sempre saputi raccontare cogliendo nel segno. Ecco, di Pif apprezziamo le intenzioni, ma il problema forse è proprio questo: Andrew Niccol non ci si improvvisa.
Un finale alla Butch Cassidy and the Sundance Kid
Il problema di E noi come stronzi rimanemmo a guardare, un film che tecnicamente è sorprendente e ineccepibile, è quello di non aver trovato il giusto tono, rimanendo sospeso tra il comico, il distopico e il film di denuncia, con una comicità stralunata e troppo poco incisiva per fare satira, per un film che racconta storie troppo tristi e vicine a noi per divertire. É un problema che nasce già in sceneggiatura e continua con la direzione degli attori. Il messaggio del film, anche se non completamente riuscito, in ogni caso arriva. Quando uno dei tycoon delle corporation della new economy che oggi vanno per la maggiore dice "sappiamo di che cosa hanno bisogno di essere felici". Ecco, il film di Pif potrà non piacervi, ma ci sbatte in faccia una verità inconfutabile. Abbiamo volontariamente consegnato le nostre vite - i nostri gusti, i nostri sogni, i nostri desideri - a queste compagnie che si sono presi il mondo e ne hanno cambiato le regole. E noi come stronzi siamo rimasti a guardare: ecco cosa vuol dire il titolo dei film. Che, mentre ferma i nostri eroi in un finale alla Butch Cassidy and the Sundance Kid, ci ha appena detto una cosa che nessuno di noi può negare. Oggi, per la felicità bisogna rinnovare l'abbonamento.
Conclusioni
Nella recensione di E noi come stronzi rimanemmo a guardare vi abbiamo parlato di un film ambizioso per come prova a riflettere sulla tecnologia e su come stia cambiando le nostre abitudini, le nostre relazioni e il mondo del lavoro. Ne viene fuori un film pieno di spunti, forse anche troppi, che però non riescono a trovare un centro, una loro unità. Quello di Pif è un vero e proprio film distopico, una rarità in Italia. E già da questo si può capire come sia un film coraggioso.
Perché ci piace
- Il coraggio di fare un film distopico in Italia oggi.
- I temi affrontati, tecnologia e relazioni, che lo avvicinano a prodotti come Soulmates e Black Mirror.
- La prova di Ilenia Pastorelli, attrice che sembra nata per ruoli insoliti.
Cosa non va
- Per essere un vero film distopico manca quello "scarto" tra realtà e immaginazione.
- Il tono del film non è adatto al racconto, incerto tra una comicità sospesa e momenti drammatici.
- Il film è davvero molto derivativo.