Recensione Laurel Canyon (2002)

Partendo da uno spunto che potrebbe anche essere interessante, ma che risulta datato e in alcuni momenti involontariamente comico, lo svolgimento diventa presto falso e pretensioso.

Due laureati a scuola di trasgressione

La domanda che sorge spontanea dopo la visione di questo Laurel Canyon è per quale motivo si sia sentito il bisogno di ripescare e distribuire solo ora un film statunitense vecchio ormai di due anni, che ottenne scarsi risultati di pubblico anche in patria. La seconda opera della regista indipendente Lisa Cholodenko, dopo l'interessante High Art (da noi edito direttamente in homevideo dopo un breve passaggio al _ Turin International Gay and Lesbian Film Festival_), pur avendo infatti un cast abbastanza variegato ed interessante, non rappresenta certo un grande richiamo per lo spettatore italiano e inoltre, diciamolo chiaramente, non si può definire di certo un bel film.

Partendo da uno spunto che potrebbe anche essere interessante (una coppia giovane ma perbenista si ritrova a dovere convivere per alcuni giorni con la madre di lui, hippie stagionata ma ancora sostenitrice del mito "sesso, droga e rock 'n' roll" che ha una relazione con il cantante del gruppo di cui sta producendo il disco) ma che, come il personaggio interpretato da Frances McDormand, risulta datato e in alcuni momenti involontariamente comico nel suo voler essere a tutti i costi "alternativo" e "scandaloso", lo svolgimento diventa presto falso e pretenzioso: adottando uno stile volutamente leggero, il film tocca diversi temi importanti come il rapporto madre/figlio e la perdita dell'innocenza e dell'inibizione sessuale, senza però mai approfondire nessuno di questi argomenti e imponendo un'evoluzione a questi personaggi decisamente troppo rapida e soprattutto superficiale. Il film non riesce mai né a farci immedesimare nei protagonisti né a farci comprendere del tutto le loro problematiche e le loro scelte e, considerando che l'ironia manca del tutto e che anche le scene che dovrebbero essere sensuali o perlomeno morbose riescono raramente nel loro intento, non ci vorrà molto prima che la noia prenda il sopravvento.

Anche dal punto di vista tecnico il film non stupisce mai, alternando scene esteticamente curate ad altre poco incisive, con un cast artistico che fa discretamente il proprio lavoro ma, soprattutto a causa della sceneggiatura che non aiuta, senza alcun picco. Da notare come la scena finale contenga una citazione quasi letterale a Il laureato di Mike Nichols, film con cui condivive alcune tematiche ma la cui carica trasgressiva e quasi rivoluzionaria manca del tutto al film della Cholodenko. Ed è questo il motivo principale per cui il film che ha lanciato Dustin Hoffman rimarrà ancora a lungo nella nostra memoria, mentre questo Laurel Canyon tornerà presto nel dimenticatoio cui è stato sottratto.

Movieplayer.it

2.0/5