Berlino, fine febbraio 2020. Pochi mesi ma una vita fa nella percezione attuale. Abbiamo incontrato Jason Segel nella suggestiva location del Axica Convention Center, accanto alla Porta di Brandeburgo, per chiacchierare di Dispatches from Elsewhere, la sua serie tv i cui primi episodi sono stati presentati nella sezione Berlinale Series al festival tedesco. Un'intervista di cui siamo stati particolarmente felici, perché il suo show, che è arrivato su Amazon Prime Video dal 15 giugno, ci ha folgorato sin dai primi due episodi visti a Berlino, e la voglia di approfondirne temi e dietro le quinte era altissima, curiosità che l'attore americano ha soddisfatto con entusiasmo, gentilezza e grande disponibilità.
Mettersi a nudo
Allora, Jason, l'hai diretta, prodotta, scritta e interpretata: perché hai deciso di fare tutto questo?
Jason Segel: è stato come un viaggio, per capire cosa fare dopo e come volevo che fosse la mia carriera dopo la mia serie tv e una sfilza di commedie romantiche che era arrivata alla conclusione naturale. Dispatches from Elsewhere è una sfida con me stesso che mi ha riportato a chi ero quando ho scritto Non mi scaricare. Ho fatto un film con un sontuoso musical con un pupazzo di Dracula perché pensavo che fosse una grande idea e non pensavo alla strategia, mi mostravo per quel che ero e questa nuova serie ne è la versione da quarantenne, la versione adulta.
E hai appena compiuto 40 anni, vero?
Esattamente. Lo vedrete andando avanti con la serie fino al decimo episodio: in Non mi scaricare ho fatto una versione da venticinquenne di un nudo frontale, letteralmente, e questa serie è la versione adulta di quello stesso impulso di mostrare tutto e vedere come viene accolto.
Si tratta di una nudità psicologica. È stato spaventoso?
Sì, ma in questo sono sempre stato bravo, in quanto a voler essere onesto su schermo spingendo i limiti dell'orgoglio e della vergogna. Farlo dal punto di vista emotivo in una serie è stato entusiasmante. Sentivo di non aver vissuto troppo a lungo senza paura dal punto di vista professionale e volevo affrontare di nuovo quella sensazione.
Come ti sei preparato a tutto questo?
L'unica cosa che mi ero ripromesso a 33 anni era che avrei fatto il regista entro i 40, che a un certo punto di questo processo di esplorazione avrei dovuto dirigere perché qualcuno intorno a quell'età mi disse "sembra che la cosa che più ti piace fare, quella con cui ti identifichi, sia fare cose". Penso un'idea e poi do tutto me stesso per renderla tangibile. Ed è qualcosa che dovrei portare fino in fondo e dirigere anche.
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La nascita di Dispatches from Elsewhere
Quel è stato il punto di partenza di Dispatches from Elsewhere dal punto di vista creativo?
Mi stavo preparando per il film The End of the Tour in cui interpreto David Foster Wallace e leggevo tutti questi testi su crisi esistenziali. Ero in quello stato mentale e facevo un percorso simile al mio personaggio nel film e ho visto un documentario su questo esperimento artistico fatto a San Francisco nel 2012. Credo che mi abbia colpito nel momento giusto e per questo mi abbia fatto reagire in modo sproporzionato, ma ricordo che ne ero entusiasta e mi dicevo di aver trovato ciò di cui volevo scrivere. Mi misi in contatto col creatore del vero esperimento e mi riattaccò il telefono in faccia. Gli raccontai la mia idea, mi rispose "è interessante, ma non ora" e riattaccò. Un mesetto dopo ho ricevuto una mail con un orario e un luogo di San Francisco e fu una vera avventura! Andai a San Francisco al momento e luogo indicato e fui sottoposto alla stessa procedura di ammissione che vedete nel primo episodio e quando finì ricevetti un'altra e-mail che mi diceva: "ti abbiamo osservato. Hai una disinvoltura divina e ti diamo i diritti per questo progetto".
Hai basato il personaggio sulla tua esperienza? Quanto c'è di inventato?
Ho vissuto una vita fortunata. Ma essere in una sit-com per dieci anni e poi partecipare a diverse commedie romantiche, che mi hanno dato un successo che ho cercato di prolungare il più possibile, ha significato che a 33 anni mi sono guardato intorno e non avevo idea di chi fossi. Da qui viene Peter, un ragazzo che capisce di non essersi analizzato a lungo e di non aver avere una vera identità.
E come hai creato gli altri personaggi?
Volevo mettere in piedi quattro personaggi in stati diversi di una crisi esistenziale. Volevo dipingerli il più diversi possibile tra loro e chiedere a ognuno di noi di immedesimarsi in loro. Lo scopo è di ottenere che, entro la fine della serie, ognuno potesse guardare i quattro personaggi e pensare "quello sono io". Se ci riusciamo, forse ci rendiamo conto che non siamo poi così diversi.
Ritrovare se stessi
Molte persone hanno crisi esistenziali. Come si può evitare?
Penso di aver avuto anche io la mia. Penso che si debba essere più onesti con se stessi di quanto i social media ci richiedono di essere. Capita a tutti di sentirsi disconnesso e confuso, bombardati da immagini che ti dicono che hai bisogno di jeans migliori o un'auto migliore. Ma i nostri jeans vanno più che bene.
Capita anche a qualcuno di successo come te?
Ogni storia che possiamo leggere ci insegna che il successo non serve a questo scopo. Ma sono lezioni che tendiamo a ignorare, anche se ci vengono insegnati sin da giovanissimi. La lezione è di affidarsi l'uno all'altro ed è di questo che parla la serie.
All'inizio della serie si dice qualcosa del tipo: "Una vita senza rischi è l'abitudine più devastante." Possiamo considerarlo il tuo motto?
Credo di sì. Una vita senza esperienze è piuttosto triste, ma non c'è bisogno che sia grandiosa. Queste persone stanno cambiando vita soltanto percorrendo una strada che normalmente avrebbero evitato. Una cosa come "oh mio Dio, qui c'è un murales che è sempre esistito nella mia città e non avevo mai notato!" E così inizi a far caso a questi piccoli cenni di magia.
Ed è un rischio che va corso a un certo punto della propria vita?
Un po' sì. Avremmo bisogno di molte di più di queste emozioni, che si possono recuperare anche soltanto accorgendosi che esistono. Che sono lì. Qualche giorno fa non riuscivo a dormire e alle 5 mi sono messo a girare per la città. Sono andato in questo ristorante di brunch chiamato The House of Small Wonder e poi sono finito all'Isola dei Musei e li ho visitati tutti. E ho pensato "Ecco, la bellezza è tutta qui!" ma è molto più semplice starsene seduti e guardare la tv.
Vivi in una fattoria, vero? Dipende dalla voglia di mantenerti legato alla realtà?
Sì, è quello. L'industria dello spettacolo tira fuori il peggio di me e mi sento costantemente non abbastanza. Mi paragono agli altri e mi sento sempre un passo indietro. Ma non appena esco da Los Angeles, mi sento alla grande, allora penso che dovrei vivere in un posto che mi fa sentire felice. Si tratta di un aranceto in un piccolo paese di ottomila abitanti, uno di quelli in cui conosci tutti i tuoi vicini.
Come hai affrontato la fine di How I Met Your Mother?
Penso che tutti sentivamo che fosse arrivato il momento di chiuderla. Avevamo raccontato la storia di un ragazzo che cerca l'amore della sua vita ed eravamo arrivati tra i 30 e i 40 anni, iniziava a diventare inquietante continuare ad andare per locali, a rimorchiare ragazze. Alla fine ero diventato un giudice di Corte Suprema, cosa potevamo fare di più? Diventare Presidente degli Stati Uniti? Però alla fine ho provato una grande nostalgia, ho pianto molto arrivati all'ultimo episodio. Nella scena finale c'eravamo tutti noi nel luogo del matrimonio, dicendoci addio, e ricordo di aver pensato "cavolo, avevo 24 anni quando abbiamo iniziato e ora sono un uomo adulto". Sia io che Alison avevamo figli, anche Neil, Cobie si era sposata e credo che già avesse figli all'epoca. Abbiamo passato insieme gli anni della nostra crescita. Ora ci sentiamo, siamo in contatto, ma non ci siamo rivisti. Non so se la CBS vorrà mai fare una reunion.
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Nel mondo di Dispatches from Elsewhere
L'introduzione di Dispatches from Elsewhere dimostra un senso di rispetto per un pubblico che ama le serie e il linguaggio seriale. Come è nata?
Mi fa molto piacere, grazie! Avevo quell'idea da molto tempo, nasce dalla semplicità con cui si possono guardare anteprime e trailer di film su internet, perché per esempio hai un film su delle persone che salgono su un autobus e attraversano il paese, quindi perché devo aspettare venticinque minuti prima che salgano su quell'autobus?! Lo so di che parla il film, prendete quell'autobus! Avevo questa idea da tempo e ho avuto la possibilità di usarla. È come dire "ok, andiamo avanti, sappiamo già di cosa si parla."
Abbiamo visto solo i primi episodi, ma se gli altri sono allo stesso livello può essere una delle migliori serie dell'anno. Come hai lavorato per mantenere il ritmo e il senso d'avventura per tutta la durata della stagione?
Prometto che diventa più strana e più entusiasmante. E, a modo suo, più umana. Senza anticipare molto, credo che la serie sia il mio Mago di Oz, che secondo me è la miglior storia mai raccontata dal punto di vista strutturale. I primi quattro episodi sono le canzoni dei quattro personaggi. Uno ha bisogno del cervello, uno di cuore, uno di coraggio, uno di tornare a casa. Poi tutti insieme vanno a cercare Clara, così come nel film vanno a cercare Oz, convinti che potranno cambiare le cose se troveranno questa persona. Ma come immaginerete nessuno può fare una cosa del genere per te. La cosa importante è il viaggio e ognuno deve fare il suo.
Ultimamente vanno molto le escape room. Secondo te perché la gente cerca questo tipo di illusione e divertimento?
Ci sarebbe da chiedersi se si tratti più di un'illusione o uno stimolo. Perché penso che ognuno possa vivere in quel modo e qualcuno lo fa. Guardiamo a Bill Murray, dà la sensazione di qualcuno che si rifiuta di vedere il mondo come banale e cerca di trovare la bellezza ovunque vada. È un'idea che mi ha ispirato tantissimo e l'esperimento artistico in origine era proprio su questo: se lo facessimo tutti insieme? È l'opposto del Fight Club. Abbiamo tutti la sensazione che debba esserci di più e ci si può arrabbiare, picchiarsi l'un l'altro letteralmente o metaforicamente con alcol e droghe per spegnere tutto, o possiamo usare l'arte per comunicare un atto di ribellione.
Pensi che sia questa la chiave che unisce noi amanti del cinema? Abbiamo tutti a volte questa sensazione di vivere in un film e venendo qui per l'intervista ci siamo sentiti in una sorta di avventura, aspettandoci qualcosa fuori dal comune...
Come vi ho detto, mi hanno fatto partecipare alla cerimonia di ammissione per concedermi i diritti. Ho vissuto la stessa cosa nel farlo, era una sorta di test di purezza magico. Questa persona è degna? È in un libro di Roald Dahl o no? Può diventare il nuovo Harry Potter o no? Penso che la serie vada a stuzzicare lo stesso istinto, ma... non so... se riesce a farvi sentire così allora è qualcosa di concreto.
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Ricordi dal set
Ed è stato un progetto difficile da realizzare?
Ogni volta che cerchi di mettere insieme un progetto è difficile. Ma una delle cose per cui sono straordinariamente portato è non concepire che qualcosa non si possa fare. Non la accetto in nessun modo. La gente mi ha ripetuto per tutto il tempo che non avrei dovuto farlo per tutta una serie di motivi, ma per me erano tutti stupidi. Credo che sia una qualità importante da avere. Qualche volta sbaglio, ma non questa volta.
Quanto è stato divertente avere Richard E. Grant sul set?
Il suo Shakespeare a colazione ha avuto un'influenza incredibile su di me. E il suo monologo di apertura è stato la prima cosa che ho diretto in vita mia. È stato girato il primo giorno e avevo solo Richard E. Grant in scena davanti allo schermo. Mi sono sentito la persona più fortunata al mondo.
E com'è lavorare con Andre Benjamin?
Non potrebbe essere meglio! Lui suona sempre il flauto. Non so se avete mai visto una sua foto, suona sempre questo flauto. Lo calma. Ma io non dormo bene la notte, quindi faccio queste lunghe camminate. Una volta stavamo girando a Philadelphia ed è venuto fuori che anche Andre non dorme bene. Stavo passeggiando a mezzanotte per le strade di Philadelphia e sento il suono di questo flauto. Mi sono detto "è sveglio!" e sono andato verso il suono. Ci siamo incrociati, ci siamo detti "tutto bene?", "sì, tutto bene, non riesco a dormire", "ah ok, a domani capo" e ognuno per la sua strada nella notte. È stato fantastico!
Che farai dopo? Stai ancora finendo la serie?
Ci stiamo occupando del finale, gli ultimi ritocchi, e poi mi prenderò una pausa. Sono stati cinque anni di lavoro da quando ho avuto i diritti alla scrittura e tutto il resto, quindi riposerò e cercherò di capire cosa fare dopo.
Potrebbe esserci una seconda stagione o è autoconclusiva?
È una serie antologica, quindi ogni stagione è autoconclusiva, ma ne ho tre già pianificate e dobbiamo solo aspettare un cenno.