Recensione The Tightrope (2012)

The Tightrope non si limita ad essere un interessante dietro le quinte del lavoro di Brook, ma riesce a catturare, e soprattutto comunicare, la grande energia ed intensità che si viene a creare nel corso delle prove.

Dietro le quinte dell'arte

Il cinema è arte. La settima, come usualmente si dice, la più giovane, in evoluzione ed in piena rivoluzione digitale, ma inevitabilmente legata ad altre, da cui proviene e che contiene.
Il cinema è arte, ma sa anche raccontare le altre arti. Lo fa indirettamente con le sue storie ed i suoi stili, ma anche in maniera diretta ed esplicita con i suoi documentari. Tra questi occupa una casella unica e preziosa The Tightrope, presentato a Venezia 2012 dove è stato accompagnato dalle sue due anime: Simon e Peter Brook, figlio e padre, regista ed oggetto del film.

Regista teatrale di fama mondiale, autorità nel suo campo ed artista indiscutibile, Peter Brook ha aperto per la prima volta le porte delle sue prove, mostrando al mondo gli esercizi che ha perfezionato nel corso degli anni per i suoi attori. È centrale il concetto di fune del funambolo, la Tightrope del titolo, che rappresenra l'equilibrio da mantenere tra tragedia e commedia, ma che si può applicare ad ogni aspetto della recitazione, dell'arte, della vita.
È proprio con gli esercizi su una fune immaginaria che apre il documentario, spaziando poi su altre attività di improvvisazione, singola e di gruppo, per perfezionare quell'intesa e quella coordinazione di pensiero che sarà la base del lavoro insieme. Seduti in cerchio in un ambiente caldo e rassicurante, uno per volta si mettono alla prova al cospetto dei colleghi, per poi lavorare in coppie o in tre sulle improvvisazioni, e poi in piedi in cerchio per altre prove.
Girato in multicamera per le due settimane di durata del workshop, The Tightrope è un'accurata selezione del materiale accumulato durante le prove, che Simon Brook mette insieme con metodo e criterio, creando una struttura solida al documentario e dando un'idea precisa dei metodi del padre e della fiducia ed ammirazione degli attori nei suoi confronti. Attori in parte collaboratori di Brook da molti anni, di varie nazionalità ed evidente bravura, dal giapponese Yoshi Oida all'inglese Hayley Carmichael e l'italiano Marcello Magni, che si lasciano trasportare con dedizione.
Ma il film non si limita ad essere un interessante dietro le quinte del lavoro di Brook, sebbene anche solo questo aspetto gli avrebbe assicurato la giusta dose di interesse, per fornire uno spaccato del lavoro di un maestro di questa arte. Oltre a ciò, il film del figlio Simon riesce a catturare, e soprattutto comunicare, la grande energia ed intensità che si viene a creare, che nasce dal lavoro di questi grandi artisti e dalle loro interazioni.
L'arte ha sempre qualcosa di magico ed assistere alla scintilla che le dà vita riesce ad esserlo a sua volta. Forse anche di più.

Movieplayer.it

4.0/5