Pochi autori sanno raccontare con tale forza e poesia il quotidiano: Rodrigo Sorogoyen è sicuramente tra i più innamorati del genere umano tra i registi contemporanei. Dalle sue opere traspare una curiosità e un amore sincero per le persone. Non fa eccezione Dieci capodanni (in originale Los años nuevos), serie presentata in anteprima a Venezia 2024 e ora disponibile su RaiPlay.
In dieci episodi, l'autore, insieme alle sceneggiatrici Sara Cano e Paula Fabra, racconta la storia di Ana e Óscar: si incontrano la sera di Capodanno alla soglia dei 30 anni e li ritroviamo ogni primo dell'anno successivo, per dieci anni. A interpretarli i bravissimi Iria del Río e Francesco Carril: non sembra di guardare degli attori, ma due conoscenti.
Nella nostra intervista Sorogoyen ci spiega la sua passione per le scelte che non capisce. A cominciare da quella di osservare due persone soltanto durante il giorno di Capodanno: "L'abbiamo scelto perché è uno dei giorni più simbolici dell'anno: anche se è un obbligo, qualcosa di imposto. È una festa a cui si guarda con ansia. Quel giorno cerchi di fare un bilancio di ciò che ti è accaduto, ti analizzi e fai progetti per l'anno nuovo, per il futuro. Quindi abbiamo pensato che fosse un ottimo simbolo per raccontare una coppia di cui vediamo solo un giorno ogni anno. Come nel film One day, che è tratto a sua volta da un libro".
Dieci capodanni: intervista a Rodrigo Sorogoyen
Dieci capodanni non è la prima volta di Sorogoyen alle prese con la televisione. Il regista torna a raccontare una storia in cui c'è un forte senso di potenzialità: ci si aspetta sempre che stia per succedere qualcosa di importante, anche se poi non è quello che ci saremmo aspettati. Perché lo appassiona così tanto questo senso di possibilità?
Il regista: "Mi intriga molto. Perché è così che succede, a tutti. O quasi. Ma anche perché penso che sia una forza drammatica per i personaggi. E interpella direttamente lo spettatore. Se lo spettatore si riconosce nel personaggio è sempre una vittoria. E gli fa venire voglia di continuare a guardare la serie".
Il passaggio dai 30 ai 40 anni
I dieci anni della relazione altalenante tra Ana e Óscar sono quelli fondamentali del passaggio dai 30 ai 40 anni: ovvero lo spartiacque tra la giovinezza e l'età matura. È interessante notare come i 30enni di Sorogoyen siano immaturi, quasi degli eterni ragazzi. Cosa ci è successo dagli anni '80 in poi? Perché viviamo in un'eterna adolescenza?
Per l'autore: "Penso che siamo tutti vittime della società, del modo in cui sta andando, da come procede. In passato, cento anni fa, all'età di 25 anni si era adulti. Ora, a 40 anni, se si vuole, si può essere un bambino immaturo, che non prende decisioni. Mi sembrava qualcosa che dovesse essere raccontato. Cosa ci sta succedendo? Sì, penso che siamo vittime della società. Oggi è impostata in modo diverso: da un lato cerca di dirci che dobbiamo fare tutto al più presto e avere successo, dall'altro, allo stesso tempo, la società non ti aiuta a raggiungerlo. Si può vivere quindi una certa frustrazione. E questa però, forse, può farti ribellare all'immaturità".
Sorogoyen e i corpi nello spazio scenico
Vedere come si muovono i corpi nei film di Sorogoyen è qualcosa di ipnotico: pensiamo al lavoro fatto nel magnifico As bestas (recensione qui). Anche in questa serie l'autore racconta i suoi personaggi stando loro addosso, cogliendoli in tutta la loro umanissima imperfezione.
Non chiedetegli però come riesca a rendere tutto così pieno di vita: "Non ho nessuna idea di come lo faccio! O di come si faccia. Non lo so, è solo intuitivo. Non posso dire che ci sia un modo, o che io abbia un metodo. Cerco di raccontare la storia, ogni storia, in modo appropriato. In modo interessante e immediato. Per me la cosa più importante è lo spettatore. Mi piace che lo spettatore sia interessato, che si emozioni e si diverta. Questa è la cosa più importante. Certo, mi piace che lo faccia in modo intelligente. Mi piace trattare lo spettatore come se fosse un essere umano intelligente, o molto intelligente. Perché, se non lo fai, credo che si commetta l'errore di trattarlo come un bambino e questo rende le storie, a mio avviso, poco interessanti. Quando si tratta di filmare corpi e spazi cerco di avere un'intenzione quando li filmo. L'intenzione dipende da ciò che si sta raccontando in quel momento. Che si tratti di una scena a letto, di una scena di sesso, o di una scena di un omicidio, come in As bestas. Dipende da ciò che si vuole comunicare allo spettatore, ma penso che sia pura intuizione".
Non si vive di sola estetica
A proposito di intenzione: molti colleghi di Sorogoyen le preferiscono l'estetica, rendendo le loro immagini molto belle da vedere, ma spesso vuote. Quando lo diciamo scoppia in una risata e ci chiede di fare degli esempi. Pensando al cinema italiano arriviamo agli stessi nomi. Ride di nuovo. Detto questo, un film può vivere di sole immagini?
Il regista: "L'estetica pura la trovo molto noiosa. Noiosissima. Mi piace molto, ma l'estetica non è necessariamente qualcosa di bello. Parlo in termini di film, di narrativa. Trovo che anche in qualcosa di brutto, o banale, o normale ci sia un'estetica. Ovviamente, ogni volta che racconto una storia, mi piace un'estetica. La domanda è: che tipo di estetica? Ricordo che As bestas per me è stato un film che si svolge in un luogo molto sporco. Ma volevo che fosse un film molto classico. Nel classico c'è sempre un'estetica molto razionale. Al contrario, in Dieci capodanni c'è qualcosa di così vicino, così reale, così comune, così banale, che quello che mi piaceva erano quelle case, quelle persone, anche quei volti, quegli attori che sono persone normali".
"Sono belli, ma non sono qualcosa di straordinario, sono persone normali. E infatti ne parlavo l'altro giorno con Iria Del Río, l'attrice. Mi sono detto: in alcune scene è molto bella e in altre sembra una persona molto normale. Certo, è una persona molto bella, ma se la vedi per strada sembra una persona molto normale. All'improvviso la vedi inquadrata e pensi: è una ragazza normale. E questo mi è sembrato, per un progetto come Dieci capodanni, molto importante, davvero necessario".
Il lavoro sulle facce di Sorogoyen
Il lavoro sulle facce del regista è notevolissimo: qualcosa che, in Italia, ha fatto molto bene Sergio Leone. Oggi invece, forse condizionati soprattutto dal cinema americano, di visi particolari e interessanti se ne vedono meno. L'autore coglie al volo questa osservazione: "Questa cosa in Italia c'è molto. Più che in Spagna. Tutti gli attori, tutte le attrici italiani che vedo, sono tutti modelli. Penso che sia totalmente assurdo, perché la vita non è così. In questo modo si crea una distanza con lo spettatore. Dici: che bella! Sì, ma non importa. Questo non mi rappresenta, questa storia non può essere mia, non mi sento coinvolto. Faccio sempre questo lavoro sui volti. In Dieci capodanni in modo particolare".
L'importanza del punto di vista
Nelle storie di Sorogoyen il punto di vista è fondamentale. Pensiamo, di nuovo, ad As bestas: nella prima parte, in cui a farci da guida è il personaggio maschile, è un thriller. Poi all'improvviso il punto di vista cambia, diventa quello della moglie, e, di conseguenza, diventa un altro tipo di film.
Quanto si interroga sul punto di vista? L'autore: "Moltissimo. Con Isabel Peña, con cui ho scritto As bestas, e ovviamente Sara e Paula, che sono le sceneggiatrici di questa serie, il punto di vista ci ossessiona, perché è molto interessante, importante e anche divertente capire da quale punto di vista si vuole raccontare la storia. In As bestas è fondamentale: è proprio il motivo per cui è nato il film. Ci interessava lo sguardo della donna. Quello di lui è molto eccitante, è un thriller d'azione, ma è un film che è già stato fatto. Quello che non è stato fatto, o comunque è stato fatto meno, è invece la storia di quella donna che resta in un paese che non è il suo".
"In questa serie invece raccontiamo una storia di coppia, ma anche due individui separati. Bisognava quindi capire quando, e come, raccontare lui e quando lei. Ci interessava l'idea di dimenticarsi dell'altro: ho un partner, ma anche un ex partner. All'improvviso, dopo aver condiviso tanto con quella persona, questa scompare. E ti ritrovi a pensare: cosa starà facendo ora? Forse in questo momento non sta pensando a me, ma magari tra due anni invece sarò io ad averla dimenticata, mentre lei si ricorderà di me. Questo ci succede nella vita reale, quindi è stato molto interessante raccontarlo nella serie".
I personaggi femminili
Tra i tanti doni di Rodrigo Sorogoyen c'è quello di dare grande spazio e raccontare in modo autentico e profondo i personaggi femminili. Non è un caso che lavori spesso con sceneggiatrici. Quando gli diciamo che non è una cosa scontata e che, molto spesso, spettatori uomini, per loro stessa ammissione, non riescono a identificarti appieno con personaggi donne, sgrana gli occhi: "Veramente?! Penso che bisognerebbe chiedere agli uomini italiani perché la pensano così. Posso dire che è un vero peccato. Non tutti, spero. Per me, se sei un regista, uno scrittore, qualcuno che racconta una storia, è un obbligo avere questa empatia. Un'empatia di genere, ma anche un'empatia sociale, o economica. Un'empatia con la vita, con tutti gli esseri viventi che popolano il pianeta. Altrimenti come si può raccontare storie?".
"Molte volte mi capita di guardare film, o serie, in cui c'è uno sguardo troppo poco compassionevole, poco empatico. Ci sono registi che raccontano una storia, non dirò i nomi, ma credo che abbiamo capito cosa intendo, e improvvisamente ridono dei ricchi e delle persone da lontano. Ovviamente ci può essere comicità in un ricco, come in un povero, o una persona normale. Certo che può esserci. Ma ridere dei vostri personaggi, delle vostre creazioni, porta a mettersi su un piedistallo. E credo che questi film siano meno interessanti. Quindi, non so bene cosa stia succedendo in Italia, ma penso che sia un obbligo per il regista cercare di capire. Anzi, finisce per essere il motivo per cui amo questo lavoro: si tratta di capire la vita, di capire un personaggio come la donna di As bestas, che per me è incomprensibile. O di un'altra serie che ho fatto, Antidisturbios: non riesco a capire il poliziotto, quindi ci abbiamo scritto un racconto. Perché sono esseri umani, come me. Quindi mettersi nei loro panni magari non è così difficile".