Recensione Election (2005)

Un film privo di ammiccamenti o mitizzazioni che esprime in mnaiera naturale la tragicità della violenza e della prevaricazione sistematica come sistema cardine di un modo di vivere.

Dentro le Triadi

Finalmente omaggiato dalla selezione in Concorso, Johnny To, il prolifico regista di culto hongkonghese autore di eccellenti noir come The Mission e PTU, racconta nel suo ultimo Election la mafia, sviscerandola quanto possibile e dimostrando come questa abbia regolamenti che la configurano come una vera e propria società parallela, per gerarchie, istituzioni e regolamenti. L'elezione del nuovo capo delle triadi di Hong Kong segue uno schema tradizionale: ogni due anni avviene una votazione all'interno della Wo Shing Society i cui membri rappresentano la continuità passato-presente del mondo della criminalità organizzata.

La rivalità rappresentata nel film è tra il freddo e riflessivo Lok, rappresentante ideale della vecchia generazione di malavitosi e per questo appoggiato dai grandi vecchi, e l'esuberante Big D, spregiudicato ed eccessivo, pronto a corrompere ed uccidere per la sua scalata al potere. La vittoria di Lok sarà motivo per Big D di minacciare l'apertura di una nuova società e quindi, in sostanza, l'inizio di una nuova guerra che anche le forze di polizia cercano di scongiurare in ogni modo. L'elemento del compromesso sarà rappresentato dal ritrovamento di un antico scettro, simbolo assoluto del potere e dell'investitura a nuovo capo delle Triadi.

Election è un robusto film di genere che si distanzia dai precedenti gangster-movie di To per la totale assenza di romanticismo ed eroismo di ogni sorta. Quello del mafioso è un lavoro a piu livelli di responsabilità che richiede grande ambizione, oltre al necessario pelo sullo stomaco. "Se vuoi essere un gangster, assicurati di arrivare al massimo grado di potenza, altrimenti abbandona subito", dice Lok al suo focoso aiutante; in questa affermazione c'è la sostanza del film ed il motivo per cui il regista rinuncia ad illustrare personaggi che siano in grado di generare immedesimazione ed empatia nel pubblico. Una scelta rischiosa e matura per un autore di indubbio talento ma che a volte pare adagiarsi sugli allori, e soprattutto una scelta che sottrae probabilmente potenzialità al film ma che ne amplifica il realismo descrittivo, senza per questo sacrificare le capacità tecniche del regista di Hong Kong.

La mafia che descrive Johnny To è onnipresente e asettica; è radicata nella ex colonia inglese come i grattacieli e le strade affollate, è parte della struttura sociale e si fonda su una tradizione centenaria e consolidata, ricca di smboli, di regole informali e di retorica. Non c'e comunque cinismo o accondiscenza nel mondo in cui il regista affronta la materia narrata. Ad un'analisi più profonda emerge chiaramente come il film sia privo di ammiccamenti o mitizzazioni ed alcuni dialoghi e l'inequivocabile finale chiarificano del tutto la tragicità della violenza e della prevaricazione sistematica come sistema cardine di un modo di vivere.