Recensione Penance (2012)

Dopo alcuni anni di assenza, Kiyoshi Kurosawa torna al festival di Venezia. Lo fa con un'opera peculiare, riduzione per il grande schermo di una sua serie televisiva ispirata ad un romanzo della scrittrice di successo Kanae Minato.

Delitto e castigo a Inaga

La scuola elementare di Inaga, tranquillo paesino del Giappone, è testimone di un delitto agghiacciante. La piccola Emili, mentre è nel cortile della scuola a giocare con quattro amiche, viene attirata con l'inganno nella palestra e brutalmente assassinata. Le quattro bambine vedono il volto dell'omicida, ma non riescono poi ad identificarlo. La madre di Emili, sconvolta dal dolore, accusa le quattro amiche di sua figlia di non volere la cattura dell'assassino, e lancia su di loro una specie di anatema: finché l'omicida non sarà catturato, Sae, Maki, Akiko e Yuka saranno costrette a vivere nel rimorso. Ed è esattamente così che ritroviamo, 15 anni dopo, le quattro ragazze, incapaci di superare il trauma vissuto e convinte di avere una pena da espiare, per non essere riuscite a salvare la vita dell'amica né ad identificare il suo assassino. Ma i fili della vicenda, proprio un quindicennio dopo i fatti, saranno destinati imprevedibilmente a riannodarsi, e nel modo meno immaginabile. Il castigo e l'espiazione si riveleranno concetti validi, e necessari, un po' per tutte le parti in gioco.

Dopo alcuni anni di assenza, Kiyoshi Kurosawa torna al festival di Venezia. Lo fa con un'opera peculiare, riduzione per il grande schermo di una sua serie televisiva ispirata ad un romanzo della scrittrice di successo Kanae Minato. La struttura televisiva di Penance, nella scansione separata di ognuna delle storie delle cinque donne protagoniste, è in effetti evidente, dando vita ad un'opera comunque imponente (270 minuti totali) in cui ritroviamo alcuni dei temi preferiti del regista di Kairo e Tokyo Sonata. Tutto, in questo film, gira intorno ai concetti di colpa, punizione, espiazione: le quattro protagoniste sono tutte costrette a convivere, in modi diversi, con la promessa fatta alla madre di Emili di 'espiare' la colpa di aver lasciato impunito quel delitto (ma anche quella, di fondo, di essere rimaste in vita al posto dell'amica); le quattro ragazze sono mostrate come bloccate nella loro crescita, incapaci, pur nei differenti percorsi, di accettare il passaggio all'età adulta. Sae è sessualmente inibita, e si ritrova sposata a un uomo che fa di lei, letteralmente, la sua bambola; Maki è un'insegnante ossessionata dalla disciplina e dalla necessità di proteggere, con ogni mezzo necessario, le sue alunne dalle insidie del mondo esterno; Akiko è chiusa in sé stessa e quasi autistica, e riesce a stabilire un rapporto sincero solo con la figliastra di suo fratello; Yuka è apparentemente frivola e menefreghista, ma segretamente alla ricerca di una figura che sostituisca quel poliziotto che quindici anni prima l'aveva ascoltata con dolcezza.
Kurosawa gestisce con notevole equilibrio e senso della tensione questa partitura collettiva, accompagnando lo spettatore nelle quattro ore e mezza di durata del film alla scoperta di un dramma in cui personaggi, situazioni e motivazioni cambiano faccia, ed aspetto, più volte. Se ha ancora un senso parlare di un meta-genere come il noir, e di un'idea, un modo di raccontare, una visione del mondo che in esso si incarnano, sicuramente ciò si ritrova in pieno in Penance; con una vicenda, che si svela con reiterati e disinvolti balzi in avanti e all'indietro nel tempo, in cui nessuno è innocente, e i segreti dei singoli personaggi rivelano un'umanità che pare irrimediabilmente contaminata. Il grande tema del male (come entità pervasiva) e della possibilità di una sua pur dolorosa 'purificazione', torna qui in una vicenda complessa, ma gestita con grande sapienza narrativa. L'opera di snellimento della serie originale (che constava, complessivamente, di circa cinque ore di durata) è stata compiuta con intelligenza, senza lasciare buchi narrativi e presentando personaggi che appaiono credibili e pregnanti.
Oltre agli aspetti prettamente tematici, ritroviamo la mano di Kiyoshi Kurosawa anche in alcune soluzioni estetiche, quali l'uso claustrofobico degli interni, le particolari scelte di fotografia, ed alcune aperture oniriche ed horror (il segmento incentrato sul personaggio di Sae, in particolare, è realmente inquietante) pur in un film che resta contrassegnato da un sostanziale realismo. Il regista nipponico, spinto forse anche dalle peculiarità del mezzo televisivo, sceglie comunque di dare alla pellicola un ritmo più sostenuto rispetto alla maggior parte delle sue regie del passato, caratterizzate da tempi più dilatati e da un approccio alla regia più asciutto e minimale. Pur nelle sue peculiarità rispetto agli altri film di Kurosawa, Penance resta comunque un'opera tesa e problematica, caratterizzata da rigore nella scrittura e da un'ottima gestione della tensione, che non presenta cali di sorta. Per un film fatto uscire come opera cinematografica, con una durata così ragguardevole, si tratta di un risultato di assoluta rilevanza.

Movieplayer.it

4.0/5