Cinema e videogame. Storia di un rapporto sbilanciato, di un amore non corrisposto. Perché quando il cinema prova a mettere in scena un videogame è molto probabile che qualcosa vada storto. Quando accade il contrario, invece, il videogame sembra persino nobilitarsi (non che ne abbia bisogno) proprio grazie a uno stile visivo più cinematografico e a una narrazione più complessa. Una relazione conflittuale e controversa, che oggi vogliamo affrontare da una prospettiva ben precisa. Reduci dall'E3 di Los Angeles, infatti, abbiamo pensato di approfondire le ragioni che si celano dietro le raffinate scelte di casting dei due videogiochi più attesi dei prossimi mesi: Death Stranding e Cyberpunk 2077.
Due titoli dall'evidente vocazione cinematografica: stratificazione della storia, sopraffina qualità registica dei filmati mostrati finora, l'intenzione di dare forma e voce a due immaginari densi. Due titoli che sembrano avere molte cose in comune, a partire da un'ambientazione piuttosto decadente e distopica, in cui il futuro dell'umanità sembra ancora più balordo, feroce e sporco. Però quello che stuzzica la nostra attenzione adesso è un altro punto di contatto. Sia Death Stranding che Cyberpunk 2077 hanno scelto di affidarsi a celeberrimi volti cinematografici per dare ancora più incisività alle loro storie. E lo hanno fatto associandosi a personaggi molto iconici, scelti tutt'altro che casualmente, non badandosi soltanto sulla fama dell'interprete.
Hideo Kojima e i ragazzi di CD Projekt RED, ormai noti per la meticolosità maniacale delle loro produzioni, hanno pescato con grande intelligenza nel cinema per avvinghiarsi a tutti i significati, i vissuti e gli immaginari che quei determinati attori si portano addosso. E allora, ecco perché ci ritroveremo a giocare con Norman Reedus e accanto Keanu Reeves, circondati da gente visionaria come Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn.
Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
Dietro Death Stranding: Norman Reedus e The Walking Man
Quando si scomoda la definizione "videogioco d'autore", il primo pensiero vola allo sguardo vispo e al sorriso leggermente beffardo stampati sul volto di Hideo Kojima. Il geniale creatore della saga Metal Gear si è fatto strada nel mondo dei videogame attraverso titoli mai banali, basati su una narrazione densa, spesso criptica, in cui la componente metaludica era sempre dietro l'angolo. Kojima ha sempre creato videogame in cui anche il gameplay era narrazione (pensiamo all'estenuanti missioni di Metal Gear V: The Phantom Pain), proprio perché dietro ogni videogioco targato Kojima, c'è sempre la necessità impellente di un racconto. Kojima è un uomo di storie. Grande cinefilo fin da ragazzo, Hideo si innamora de La grande fuga, Il pianeta delle scimmie, Terminator e Blade Runner. Senza dimenticare quel 1997: Fuga da New York in cui il mitico Jena Plissken di Kurt Russell servirà come fonte d'ispirazione per i connotati di Solid Snake. Sono opere che lo aiutano a sviluppare una precisa poetica in cui la fantapolitica sposa sempre una morale antibellica e pacifista. Temi che sembrano appartenere anche all'imminente e nebbioso Death Stranding. In arrivo il prossimo 8 novembre solo su PlayStation 4, la nuova proprietà intellettuale partorita dalla mente di Kojima si prospetta come una torbida avventura post-apocalittica in cui una serie di eventi sovrannaturali minaccia una Terra al collasso. In una realtà decadente, che sembra messa in ginocchio da un nemico spietato, Kojima ci fa vestire i panni di un corriere evidentemente portatore di carichi fondamentali per la sopravvivenza del pianeta. Una trama oscura, disturbante, eppure già piena di fascino. Un fascino creato anche dal prestigioso cast coinvolto per dare vita e forma ai personaggi di Death Stranding. Il protagonista ha il volto di Norman Reedus (già coinvolto da Kojima nel progetto poi abortito del nuovo Silent Hill), attore dotato di grande carisma, che rimanda ad atmosfere e caratteri già visti altrove. È innegabile che Reedus, per quanto già apprezzato in opere cult come Blade II e The Boondock Saints, sarà sempre associato al Daryl di The Walking Dead, ovvero un altro personaggio costretto ad abitare un mondo in rovina, assai abituato a lunghi e logoranti spostamenti. Ancora dolore e sopravvivenza associati al volto di un attore che si presta a incarnare personaggi particolarmente afflitti e avvolti dal mistero.
Stesso destino di Léa Seydoux, che nel poco materiale mostrato ci appare sfuggente e affascinante come ci ha abituato sul grande schermo, e per il mellifluo Mads Mikkelsen, anche lui sulla scia del suo percorso cinematografico, con l'ennesimo villain dal fascino ambiguo della sua carriera. Dopo Casino Royale e Doctor Strange, l'attore danese torna a vestire i panni di un antagonista ancora difficile da decifrare (e sempre affetto da problemi agli occhi, fateci caso), ma che promette di essere un cattivo memorabile. Infine, ecco i due assi nella manica di Kojima: la presenza tra i personaggi di Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn, due registi molto vicini all'immaginario alimentato da Death Stranding. Del Toro è sempre stato affascinato dal mostruoso, dalla diversità che va accolta e mai combattuta con cieca paura. Un messaggio pacifista più forte di qualsiasi scenario bellico che sembra anche alla base del gioco di Kojima, interessato a descrivere un'umanità che, dinanzi a una tragedia, si unisce invece di disgregarsi. Refn, invece, ha sempre messo un'umanità anestetizzata, priva di empatia e stracolma di violenza. Un panorama umano dentro cui andare alla faticosa ricerca di un pizzico di sentimento. Forse la vera missione principale di questo enorme enigma chiamato Death Stranding.
Cyberpunk 2077: l'eletto è Keanu Reeves
"Uscirà quando è pronto". Era il lontano gennaio del 2013 quando CD Projeckt RED giocava con le aspettative dei videogiocatori mostrando il primo, ispirato e succulento trailer di Cyberpunk 2077. Basato sul celebre gioco di ruolo Cyberpunk 2020, il nuovo progetto dello studio polacco che ci ha regalato la meravigliosa trilogia di The Witcher sembra un ambizioso salto in avanti diretto verso una nuova era dell'action RPG. Provando a riscrivere alcuni capisaldi dell'estetica cyberpunk (ad esempio sdoganando la luce solare all'interno della storia) e rispettandone altri archetipi (la scissione tra corpo e coscienza, una società decadente e spersonalizzata), Cyberpunk 2077 è un gioco dalle due anime. Da un lato promette una profondità narrativa senza precedenti, una complessità che si addentrerà nei dilemmi etici e filosofici tipici della poetica cyberpunk. Dall'altra CD Projeckt non vuole disdegnare un po' di sano intrattenimento, grazie a frenetiche sequenze action. Ed è qui, in questo preciso connubio, che entra scena un testimonial d'eccezione. Un testimonial che ha reso memorabile l'E3 per il boato provocato dalla sua sorprendente presenza in Cyberpunk 2077.
L'ultimo trailer del gioco, infatti, si chiude con l'entrata in scena (in grande stile) di un certo Keanu Reeves. Braccio bionico, occhiali da sole, giubbotto antiproiettile e battute epiche subito sulla punta della lingua. Reeves ci guarda in faccia, dritto negli occhi, per far crescere a dismisura le dosi di hype nel cuore dei videogiocatori. "Un piccolo cameo per Reeves, un grande passo per CD Projeckt". Citando imprese lunari, potrebbe essere questo il motto di Cyberpunk 2077. Perché la presenza di una star come Reeves apre il titolo dello studio polacco verso un pubblico ancora più mainstream, e lo fa grazie a un attore scelto con tutti i crismi. Perché Keanu Reeves sposa le due anime di Cyberpunk 2077. È ambasciatore di filosofia cyberpunk e immediato rimando al cinema action. Grazie a una serie di ruoli iconici, l'attore canadese incarna alla perfezione il testimonial perfetto per un gioco come questo.
John Wick: storia di una trilogia sincopata
Nel suo ricco curriculum ci sono due perle dell'immaginario cyberpunk, ovvero quel piccolo cult (spesso sottovalutato) di Johnny Mnemonic e soprattutto quel Matrix che vent'anni fa ha ridefinito i canoni estetici e narrativi del cinema fantascientifico. E poi non va dimenticata la recente rinascita di un attore che negli ultimi anni si stava perdendo dentro progetti tutt'altro che memorabili. Una rinascita che risponde al nome e cognome di John Wick. Non a caso simile al look dell'inarrestabile assassino della trilogia action, il suo personaggio di Cyberpunk 2077 (Johnny Silverhand) promette ingenti dosi di violenza e distruzione urbana. Ecco come anche Cyberpunk 2077 si aggancia con furbizia all'immaginario del cinema, come se grande schermo e videogame fossero due mondi ormai in simbiosi e osmotici. Senza più complessi di inferiorità, il videogioco sfrutta il cinema per giocare ad armi pari. Il definitivo addio alla legittimazione del videoludico passa anche da qui.