Sono passati cinquant'anni da quando Clint Eastwood ha firmato la sua prima regia, anniversario che la Warner Bros. ha potuto festeggiare doppiamente, con un apposito documentario (presentato in Italia al Torino Film Festival come unico montaggio di 135 minuti, mentre in patria è disponibile in nove parti su HBO Max) e con il film che è oggetto della nostra recensione di Cry Macho - Ritorno a casa: il trentanovesimo lungometraggio diretto da Eastwood, che per l'occasione è anche protagonista pur avendo più volte dichiarato (per l'esattezza dal 1992) che non avrebbe più recitato nei propri film, anche se è vero che negli ultimi vent'anni ha considerevolmente ridotto la propria presenza davanti alla macchina da presa (dal 2001 a oggi ha diretto 17 film, di cui 12 in cui non appare). E quando si dà alla recitazione è sempre in ottica un po' crepuscolare, come se dovesse trattarsi dell'ultima volta che lo vedremo sullo schermo, un sentore che accompagna quasi tutte le sue performance sempre dal 1992, quando nei panni di William Munny salutò definitivamente il genere che lo ha lanciato, il western.
Il buono, il bimbo e i cattivi
Cry Macho - Ritorno a casa è la storia di Mike Milo (Eastwood), ex-campione del rodeo texano che non ha più il fisico per simili prodezze. Siamo nel 1979, e Mike ha bisogno di soldi, motivo per cui l'amico Howard Polk (Dwight Yoakam) lo ingaggia per un incarico delicato: Howard ha infatti avuto un figlio, Rafo, con una donna messicana, e il ragazzo è da qualche parte in Città del Messico, presumibilmente in condizioni precarie. Mike deve trovarlo e portarlo oltreconfine, in Texas. Rafo inizialmente non ne vuole sapere, ma quando scopre che il padre ha un ranch dove sarebbe libero di fare come vuole si convince, e comincia un viaggio in macchina reso difficile dal rapporto non sempre roseo tra Mike e Rafo, con l'aggiunta del terzo incomodo Macho, il gallo del ragazzo. E quando la madre di lui scopre cos'è accaduto e manda i propri scagnozzi a recuperare il figlio, l'improbabile duo deve fare il giro lungo per arrivare alla meta...
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Arrivederci, Clint?
L'epitaffio di Clint Eastwood come attore doveva essere Gli spietati, e successivamente si è ripetuto con ruoli spiritualmente simili in Million Dollar Baby, Gran Torino e Il corriere - The Mule (e come solo attore in Di nuovo in gioco). E il paragone con il suo capolavoro western, che gli valse il primo Oscar come regista, non è inopportuno, poiché anche qui si tratta di un progetto che era stato proposto al divo diverso tempo prima, salvo rimanere in un cassetto perché lui all'epoca non era anagraficamente adatto alla parte (nel frattempo si parlò anche di una versione con Arnold Schwarzenegger, il quale ha dato forfait dopo lo scandalo legato a una relazione extraconiugale). Era dal 1975, infatti, che la sceneggiatura circolava a Hollywood, e nel caso di Eastwood il primo approccio serio risale al 1988, quando lui scelse di dire addio a Dirty Harry in Scommessa con la morte. È facile capire perché abbia aspettato, dal momento che il ruolo di Mike è quello di un uomo teoricamente finito e con un piede già nella fossa (descrizione forse non proprio corretta per Eastwood, che però ha comunque 91 anni e comincia a dimostrarli anche davanti alla macchina da presa).
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E come accaduto nelle ultime due-tre occasioni in cui lui si è prestato a questo tipo di ruolo, egli è contemporaneamente il motivo migliore per vedere il film e la sua principale debolezza: da un lato, la sua recitazione granitica, da alcuni bollata come monocorde ma in realtà ricca di sfumature che si intravedono anche in questa sede, si sposa bene con il suo stile asciutto e semplice per raccontare una storia che smonta certi miti della mascolinità e smentisce anche parte della reputazione di Eastwood come uomo schierato strettamente a destra (difficilmente chi sposa le idee più estreme del partito repubblicano USA apprezzerà il ritratto dei messicani nella seconda metà del lungometraggio); dall'altro, però, è innegabile che al quinto giro l'approccio crepuscolare cominci a farsi schematico e prevedibile, e forse anche per questo, al netto della disponibilità in contemporanea su HBO Max nel primo mese di programmazione, il film non è andato particolarmente bene al box office americano. Perché Eastwood sarà anche un'icona immortale, ma i suoi avatar sullo schermo, per quanto carismatici, hanno iniziato a scricchiolare da un po'.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Cry Macho - Ritorno a casa, sottolineando che la nuova fatica registica di Clint Eastwood che ripercorre, questa volta con un po' di stanchezza, sentieri noti della sua filmografia.
Perché ci piace
- Clint Eastwood rimane una presenza carismatica sullo schermo.
- Il cast di contorno è ottimo.
- L'asciuttezza registica è notevole come sempre.
Cosa non va
- Il ruolo "crepuscolare" di Eastwood comincia a girare un po' a vuoto.