"Non avevo idea di cosa stessi facendo e non sapevo con chi avevo a che fare. Ma sapevo che era una storia pazzesca, allora entrai nella prigione con il mio registratore e gli chiesi: 'Che tipo di persona avrebbe potuto fare queste cose?'". La voce che apre Conversazioni con un killer: Il caso Bundy è quella di Stephen G. Michaud, il giornalista che nel 1977, insieme al suo collega Hugh Aynesworth, iniziò un lungo ciclo di interviste a Ted Bundy, accusato di omicidio plurimo. Il risultato di queste interviste, per un totale di un centinaio di ore di registrazioni, è stato pubblicato nel 1989 in un libro dal titolo emblematico, Conversations with a Killer, diventato un best-seller negli Stati Uniti: un titolo ripreso dal documentario a cura del regista Joe Berlinger e prodotto da Netflix, in concomitanza con un altro progetto analogo.
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Ted Bundy: la voce del serial killer
Infatti, in contemporanea all'uscita su Netflix di Conversazioni con un killer: Il caso Bundy, al Sundance Film Festival è stato presentato in anteprima un lungometraggio cinematografico diretto dallo stesso Joe Berlinger: Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile, un thriller incentrato sulla vita di Ted Bundy, con Zac Efron nel ruolo principale e Lily Collins in quello della sua ignara fidanzata, Elizabeth Kloepfer. Una congiunzione che ha fatto tornare a discutere di uno dei personaggi più controversi e inquietanti della cronaca nera americana: uno degli archetipi dei moderni serial killer, tragicamente noto per aver commesso almeno trenta omicidi in sette diversi Stati tra il 1974 e il 1978, in molti casi decapitando o mutilando le proprie vittime e consumando atti di necrofilia sui loro cadaveri.
E nel documentario di Berlinger, sviluppato nell'arco di quattro segmenti per un totale di quattro ore di durata, l'orrore della parabola omicida di Bundy viene rievocato direttamente attraverso la voce di quest'ultimo: la voce incisa da Michaud e Aynesworth su quei nastri e resa disponibile per la prima volta, come una sorta di "narratore inaffidabile" intento a commentare la propria vicenda con calma serafica e perfino con punte di ironia. Una voce a cui Conversazioni con un killer intreccia quella di Hugh Aynesworth, che a distanza di quattro decenni descrive i suoi incontri con l'assassino seriale, con l'ausilio delle immagini dei filmati di repertorio e delle testimonianze di molti altri individui (detective, avvocati, conoscenti) il cui percorso ha incrociato, in un modo o nell'altro, la scia di sangue di Bundy.
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L'uomo, il mostro e l'icona
E la materia narrativa al cuore del documentario è già di per sé talmente scabrosa e angosciante che Berlinger, saggiamente, evita di calcare i toni o di indugiare sugli aspetti più efferati e sensazionalistici. Il racconto, al contrario, è condotto nel segno di un rigore geometrico, in una successione di fatti e informazioni volti ad offrire uno sguardo quanto più possibile ad ampio raggio su Ted Bundy: un uomo istruito, acuto, raffinato, protetto da una patina di rispettabilità tanto più scioccante alla luce del suo mostruoso alter ego. Un perfetto dottor Jekyll e Mr. Hyde della nostra epoca, a cui implicitamente il film riconduce una dicotomia indecifrabile: l'enigma del Male senza spiegazione che si cela dietro la ridente apparenza della normalità. E che trapela solo a sprazzi, in dettagli tanto minuscoli quanto terribili.
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E poi, sullo sfondo, c'è un altro elemento che acquisisce via via maggior spazio, fino a rivelarsi una variabile fondamentale dell'equazione Bundy: la dimensione mediatica dei suoi processi, con il serial killer proiettato ad assumere lo statuto di paradigma del novello antieroe (un paradigma complementare a quello di Charles Manson). Un destino a cui allude in particolare l'ultimo episodio del documentario, Brucia, Bundy, brucia: l'epilogo dell'oscura esistenza di Ted Bundy, ma al contempo il suo ingresso nel nostro immaginario collettivo (già solo come fonte di ispirazione per i romanzi di Thomas Harris) e la sua definitiva canonizzazione a figura iconica. Un altro nome da stampare sulle t-shirt per affidarlo alla consueta folla inferocita, ma sotto sotto impaziente di trovare un nuovo spauracchio a cui dare fuoco.
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Movieplayer.it
3.5/5