La prima cosa che ti insegnano in una buona Scuola di Cinema per studiare Sceneggiatura, è che tutto è già stato scritto. Non significa che non ci sia più modo di scrivere qualcosa di originale, bensì che qualunque storia possa essere ricondotta a una struttura classica. All'inizio sembra impossibile crederci, ma quando ti spiegano il modello da applicare e trovi che Guerre stellari, The Blues Brothers, Memento e Pulp Fiction hanno tutti la stessa struttura narrativa, capisci cosa intendevano. Il paradigma hollywoodiano di Syd Field e la teoria del Viaggio dell'Eroe di Chris Vogler (di cui non ci occuperemo qui per motivi di spazio) sono sufficienti a ricondurre qualsiasi storia entro certi schemi. Più gli schemi sono difficili da rintracciare a un occhio profano, più l'opera risulterà originale. Cambiano il montaggio, l'ordine della narrazione, il ruolo dei comprimari e dei protagonisti, ma alla fine tutto torna. Ed è su questo, sulla struttura classica della sceneggiatura, che s'impianta la scrittura televisiva. Se per un film parliamo di soggetto (l'idea, con la storia in termini generici ma con inizio e fine già delineati) e di trattamento (un approfondimento su personaggi, ambientazioni, eventi principali), per una serie TV parliamo di "bibbia". Ovvero di uno scritto che serve agli autori per presentare un progetto alla produzione.
La bibbia
Nella bibbia ci sono la storia e i personaggi principali con l'inizio, il conflitto (determinante per ogni racconto) e la risoluzione, ovvero il finale. Il conflitto è molto vario: può essere un viaggio con varie difficoltà lungo il percorso o una relazione (sentimentale, famigliare, amicale, di lavoro). Nelle sitcom il conflitto è l'occasione per mettere i protagonisti alla prova in ogni nuovo episodio. In The Big Bang Theory, la conquista di Penny per Leonard, la ricerca di un'idea geniale per Sheldon, il furto dell'auto mentre vanno a una convention per tutto il gruppo di amici, e così via. Nelle serie drammatiche il conflitto è di solito "spalmato", come si dice in sceneggiatura, su più episodi. Un grande conflitto - come la ricerca del colpevole da parte di un detective - si protrae per tutta la stagione, mentre in ogni episodio emergono nuovi conflitti: colleghi che mettono i bastoni fra le ruote, testimoni che mentono, prove che spariscono. Ogni occasione è fondamentale per mettere alla prova il protagonista (o i protagonisti, in una serie corale) per far emergere il suo carattere, la sua determinazione, i suoi pregi e difetti; tutte le ragioni per cui, alla fine, otterrà o meno il suo obiettivo.
Nella bibbia, oltre alla delineazione di storia e personaggi, è fondamentale inserire anche l'ambientazione: servirà ai produttori per valutare costi e fattibilità per la realizzazione della serie. A differenza di un romanzo, infatti, una serie TV - esattamente come un film - deve fare i conti con costi, attrezzature, location, eventuali effetti speciali richiesti: le informazioni devono quindi essere il più concrete possibile, per consentire ai produttori di capire a che genere di difficoltà pratiche ed economiche andranno incontro. Un celebre esempio è Lost: nella bibbia, J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber avevano già inserito il disastro aereo, l'isola deserta (con necessità di trovare una location con spiaggia, "giungla" e tutto il resto), le riprese ambientate a Los Angeles con i famosi flashback e il numero dei personaggi. Il pilot di Lost, costato oltre 3 milioni di dollari, all'epoca risultò uno dei più costosi, ma la produzione sapeva già a quale straordinario successo andava incontro.
Fondamentale è inserire nella bibbia tutta la trama della serie, dall'inizio alla fine. Non importa se più avanti andranno inserite altre sottotrame e altri personaggi, l'importante è che ci sia tutto. E nella bibbia di Lost, con buona pace di chi ancora crede in un finale improvvisato, era già stato inserito anche il finale. Così come in quella di X-Files: Chris Carter, non a caso, nella prima stagione fa dire a Gola Profonda qualcosa che vedremo solamente 8 anni più tardi. Il numero delle stagioni nella bibbia non è indicato, se non in rari casi: dipende esclusivamente dalla produzione, in base agli ascolti e al successo di critica e pubblico. L'aumento delle stagioni implica l'inserimento di nuove trame e personaggi, la riduzione porta a finali improvvisati: Joss Whedon aveva già delineato il finale di Angel, quando a 6 episodi dalla conclusione della sesta stagione seppe che la serie non sarebbe stata rinnovata. Fu costretto a improvvisare, rivedendo le sceneggiature per arrivare al finale aperto con l'inizio della battaglia definitiva.
L'episodio pilota
Una volta presentata la bibbia, la produzione ha due possibilità: chiedere la realizzazione di un episodio pilota per vedere come l'idea sulla carta verrà trasferita sullo schermo, oppure ordinare direttamente una stagione - o una mezza stagione, come nel caso di Buffy - L'ammazzavampiri - investendo i mezzi necessari alla realizzazione. A volte si gira un episodio abbozzato, con ambienti e cast ridotti ai minimi termini, tanto per far capire ai produttori a cosa andranno incontro. In questo modo, i costi saranno decisamente inferiori. Ancora una volta citiamo Buffy: nel primo episodio pilota, Willow era interpretata da un'altra attrice e la scenografia scolastica era appena abbozzata. Bastò comunque a convincere la sezione televisiva della 20th Century Fox, ma il pilota venne poi rigirato con cast e scenografia definitivi per la messa in onda.
L'episodio pilota ha una doppia funzione: serve agli autori per farsi dare il via libera alla produzione di una prima stagione (o di un certo numero di episodi, in caso di una miniserie), ma serve anche al pubblico per decidere se continuare a seguire o meno una nuova serie. Per questo, l'episodio pilota è fondamentale. Deve introdurre personaggi, trama, genere, ed essere accattivante tanto quanto complessa è la narrazione. Prendete Star Trek: la serie classica sfruttava la voce del narratore per definire ambientazione e genere (una nave spaziale alla ricerca di strani, nuovi mondi) risolvendo già tutta la parte introduttiva. Agli sceneggiatori bastano pochi e semplici espedienti per ridurre spiegazioni ma soprattutto costi quando presentano una nuova, emozionante avventura.
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La struttura in 3 atti
Il paradigma hollywoodiano (o struttura in 3 atti) è la base anche per le sceneggiature degli episodi televisivi. Per ovvi motivi qui troverete una versione molto semplificata del paradigma.
Il primo atto viene definito impostazione e delinea a grandi linee la storia di quell'episodio, i personaggi che vi prendono parte e i presupposti drammatici (cioè narrativi) per arrivare fino alla sua conclusione: il primo colpo di scena. Può trattarsi di un incidente, una nuova informazione che trascina la storia in nuove direzioni (per esempio un indizio in un'indagine), un evento che in qualche modo cambia lo scenario introduttivo. Nell'episodio pilota di The Walking Dead è l'incontro di Rick Grimes (Andrew Lincoln) con il primo zombie. Un conto è risvegliarsi in un mondo deserto senza sapere cosa sia successo, ben altro trovarsi faccia a faccia con un morto vivente.
Molte serie introducono la trama dell'episodio, come il nuovo caso su cui i detective indagheranno, con il teaser: si tratta di quella parte di narrazione che precede la sigla. Una sorta di anticipazione succulenta per spingere il pubblico a restare sintonizzato. Il secondo atto - detto confronto - vede il protagonista (o i protagonisti) affrontare tutti gli ostacoli che vanno superati per ottenere il suo scopo. In altre parole: il famoso conflitto di cui parlavamo, senza il quale non c'è alcuna trama. Si tratta della parte più lunga e articolata della sceneggiatura. Su un episodio di 4o minuti, il primo atto ne dura circa 10, il terzo altrettanti e il secondo oltre 20. Ci troviamo nella parte centrale della narrazione, dove troveremo quindi il punto centrale: l'esatta metà della storia. Infine arriverà la conclusione del secondo atto, ovvero il secondo colpo di scena. Si tratta di un altro evento (o notizia, o indizio) che cambia di nuovo la direzione della storia. Tornando al pilot di The Walking Dead: il secondo atto coincide con l'incontro di Rick con Morgan (Lennie James) che accoglie, rifocilla e informa il protagonista di quel che è successo mentre lui era in coma. Il secondo colpo di scena coincide con la decisione di Rick di partire da solo per Atlanta, in cerca della sua famiglia.
Il terzo atto, infine, viene definito risoluzione perché conclude la storia. Attenzione, però: nelle serie TV con la cosiddetta trama orizzontale, cioè una trama che si sviluppa nell'arco di una o più stagioni, la risoluzione sarà solamente parziale. Otterremo nuove informazioni o nuove risorse, ma saremo ancora lontani dalla meta. Inoltre, in una serie il terzo atto viene spesso usato per "agganciare" lo spettatore, come succedeva nei film a episodi degli anni '70: l'eroe sconfiggeva il cattivo, ma in un battibaleno si ritrovava intrappolato in un'auto sul bordo di un precipizio. E il film finiva, rimandando al capitolo successivo della saga. La narrazione seriale si nutre di questo: espedienti per fidelizzare il pubblico, spingendolo a continuare a seguire la serie (o la saga) per scoprire come finirà. Nelle serie TV si chiama cliffhanger, ed è uno dei motivi per cui ci ritroviamo con misteri che ci tormentano fin dagli anni '80. Al cinema si chiamava colpo di scena finale, e chi ha visto Ritorno al futuro parte II al cinema sa bene come ci si sente: per un nuovo episodio di una serie devi aspettare una settimana, o qualche mese per un finale di stagione. Per Ritorno al futuro parte III abbiamo dovuto aspettare quasi un anno.
All'interno dei 3 atti ci sono una serie di altri strumenti, che per questioni di spazio non approfondiamo, utili per aumentare la tensione (anche comica, nelle sitcom) e accrescere la complessità della trama.
Il terzo atto di The Walking Dead vedeva il nostro eroe, Rick, entrare a cavallo ad Atlanta, sfuggire agli zombie per ritrovarsi intrappolato, senza via d'uscita, in un carro armato. Fino all'arrivo di quella voce alla radio che avrebbe cambiato tutto.
Nei copioni delle serie TV, alla fine di ogni atto (e a metà del terzo, se necessario) vengono inserite scene specifiche per l'inserimento delle pause pubblicitarie. Purtroppo, spesso negli altri Paesi - come il nostro - non vengono rispettate e si taglia a metà di altre scene).
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La sigla
Un altro importante elemento che le serie hanno spesso sfruttato è la sigla di testa: non solo è utile a fidelizzare lo spettatore con la ripetizione del tema musicale, è anche perfetta per raccontare in breve sia i personaggi che la storia. Vale ancora per la sigla di Star Trek, con la sua chiara definizione di tempo, luogo e missione, e per i prodotti più moderni, da Baywatch - la cui sigla entrò di diritto nei cult TV degli anni '90 - a Il trono di spade, con l'intera mappa dei luoghi della narrazione. Il pubblico li riconosce un po' alla volta, con il procedere degli episodi, e questo la rende sempre più interessante da vedere, fino a comprenderla interamente.
La sigla di testa, come nel già citato caso di Star Trek, è spesso usata anche per introdurre le caratteristiche principali della trama. Buffy ci raccontava che
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mentre l'A-Team ci si presentava così:
Dieci anni fa gli uomini di un commando specializzato operante in Vietnam vennero condannati ingiustamente da un tribunale militare. Evasi da un carcere di massima sicurezza si rifugiarono a Los Angeles, vivendo in clandestinità. Sono tuttora ricercati, ma se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli. forse potrete ingaggiare il famoso A-Team.
Musica, immagini (con i volti dei personaggi, in modo che il pubblico li memorizzi e li riconosca come famigliari), testi introduttivi: tutto questo fa parte della sigla, che in gran parte dei casi viene già "pensata" e presentata nella bibbia, descritta con tanto di note se già si hanno accordi o diritti musicali.
Queste sono le informazioni fondamentali necessarie a comprendere meglio la scrittura di una serie TV, la sua realizzazione e gli imprevisti con cui gli autori hanno spesso a che fare. Con buona pace di noi fan, in balia dello spietato meccanismo del gradimento del grande pubblico.